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Visualizzazione dei post da febbraio, 2020

ADOMBRARE

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Potrebbe essere una nota a piè del post intitolato “Aduggiare” (Zibaldino del 26.02.2020), ma invece merita uno spazio tutto suo, perché si tratta di un verbo dai sensi diversi, tutti molto bene specificati, o, scusate la banalità della battuta, semplicemente adombrati. Il richiamo all’ombra, che in “aduggiare” era piuttosto negativo, in quanto si era di fronte ad un’ombra in qualche modo nociva, qui assume aspetti diversi che vanno dal semplice “fare ombra”, come nel caso molto favorevole dell’albero sul ciglio della strada, in estate, a quello di “coprirsi”, come quando, con piacevole stupore, ancora in estate, assistiamo al fenomeno dell’improvviso adombrarsi del cielo di nuvole tempestose, che annunciano imminente tempesta, fino alla gamma di significati figurati specie nell’uso del modo intransitivo, “adombrarsi”.                                                              Testa  di ragazza, composizione di Valentina Aielli                                            

STRAMAZZARE

E’ bastata la notizia, neanche confermata, di un caso di infezione da coronavirus nelle Marche, che i supermercati della zona, ben oltre i confini della sola regione colpita, siano stati presi di assalto con scene da apocalisse. Nel periodo di massima virulenza del virus in Cina, pochi giorni fa, con migliaia di contagiati, si è verificata una carenza di carta igienica, cosa che ha messo in difficoltà quella popolazione, per il resto dotata di senso civico e molta disciplina, con qualche episodio di accaparramento di tutte le scorte, laddove erano ancora sussistenti, da parte di alcuni, senza alcuna considerazione per chi ne fosse rimasto sprovvisto. Da noi sono andati a ruba generi alimentari, in primis la pasta, ed alcuni presidi sanitari, come mascherine anti contagio e disinfettanti, manco fosse scoppiata la guerra e si temessero già gli effetti delle ristrettezze conseguenti, come carestie e pestilenze. La parola “accaparramento”, derivata da “caparra”, che a sua volta è f

ADUGGIARE

Confesso che non lo sapevo: il verbo “aduggiare”, che conoscevo soltanto genericamente come voce richiamante in qualche modo la noia, l’uggia, senza peraltro averlo mai collegato ad essa espressamente, ha invece un significato del tutto autonomo, suo, molto particolare, che dall’uggia trae forse la sua origine oltre che un sicuro riferimento, mentre in realtà esprime un concetto molto preciso, che è quello di “nuocere facendo ombra”. I compilatori del blog “Una parola al giorno”, benemeriti per tanti versi, in un loro articolo, molto dettagliato, su questo tema, mettono in risalto l’eccezionalità di un significato così specifico, anche se in esso non ho trovato il collegamento che dovrebbe esistere tra l’aduggiare e l’ombra. Poi però, ho appreso che “uggia” in italiano significa sia “noia” che “ombra”, derivando dal lemma latino “udus” che vuol dire “umido” e, se il posto è umido, vuol dire che è all’ombra. Sotto le grandi piante, il terreno è “rado” (v. “radura”) cioè poco fitto di al

CARNEVALE 2020

Da anni non aspetto più il Carnevale e debbo dire che l’eccessiva euforia di molti per questa festa, mi ha sempre suscitato perplessità, anche nelle rarissime occasioni in cui, in un passato remoto, coinvolto da comitive folleggianti, ho provato anch’io a mettermi nei panni, falsi, del gaudente sciampagnone. Ciò, però, non mi ha impedito di assistere con piacere a manifestazioni e sfilate, e di partecipare dello spirito gaudente dei più. Infatti ora mi rattrista constatare che del Carnevale nessuno parla, sospese tutte le goliardate e, spero, le corse sfrenate di bande di ragazzini che per la verità finivano col trasformare una festa gioiosamente trasgressiva in una cosa molesta. Vietate le feste da ballo, che pure ho frequentato in passato. Invece delle maschere, in questi giorni, molti indossano le mascherine di protezione anti contaminazione, che non hanno messo neanche per lo smog salito a valori 100, 200 volte sopra la norma, ed anche queste, non sono reperibili neppure nelle

IL TONFO

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La serata di poesia, come era prevedibile, risultò un fiasco, di cui tutti furono subito consapevoli, tranne, ovviamente, l’interessato, quel Pancrazio, che ne era stato il promotore e sponsor. Questi aveva cominciato, in apertura, col rileggere la poesia con la quale aveva offerto un saggio della sua bravura, qualche giorno avanti (1), quando si era parlato per la prima volta di questa iniziativa. Si trattava di quello “Strambotto del cuore innamorato”, che aveva suscitato sorrisetti ironici in sala e di cui ora egli si affannava a spiegare il significato, nella convinzione, in realtà non del tutto errata, che non fosse stato inteso appieno dagli ascoltatori. E’ la storia di un uomo che ha molto amato e non si rassegna alla fine del suo amore, al punto di perdere la fede e mettere a repentaglio il destino della sua anima immortale.                                                                       Foto pubblicata da Simone Di Silvestro   Ti è piaciuta, Maurì, la parola re

LA SINDROME DEGLI SCOGLI di Vittorio Aielli

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Dal Diario di Vittorio traggo e pubblico il seguente post: La spiaggia di Villa Rosa è stata oggetto negli anni passati di una devastante erosione marina che ha portato il mare fin sulla strada. In seguito a tale fenomeno erosivo sono stati effettuati con scarso successo diversi interventi a difesa della costa fino ad arrivare a quella tuttora in atto consistente in barriere soffolte cioè nell’apposizione di massi a pelo d’acqua successivamente sopraelevate per meglio contenere la furia del mare durante le mareggiate. Queste barriere di massi sono costituite da tratti della lunghezza di circa 300 ml intervallati da aperture di circa 50 ml per il passaggio dei natanti. In totale sono stati realizzati 5 tratti di scogliere da 300 metri lineari intervallati d quattro varchi di 50 metri per in totale complessivo di km 1.700 a partire da nord ( verso Martinsicuro ) fino alla zona centrale del lungomare di Villa Rosa ( zona degli alberghi ).                                    

IL VUOTO

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Maurizio, la sera, a casa, quando sta con Chiara, a volte gli piace parlare di problemi religiosi. Ma come, dirà qualche malizioso, non hanno niente di meglio da fare questi due, la sera, a casa, che mettersi a parlare di argomenti così noiosi e fuori moda? A chi possono interessare le questioni religiose? Non siamo forse tutti laici, pur non essendo tutti atei, ma comunque con una sensibilità che ci porta sempre più lontano dal porci questioni di fede? A letto ci vanno, sì o no, ‘sti due ragazzi, o sono puri spiriti, “vade retro Satana” e stanno sempre a ragionare di problemi di lingua o di coscienza? Come se una folata di vento avesse portato alle orecchie degli interessati l’eco di simili obiezioni che avrebbero potuto essere mosse da presunti maldicenti, Maurizio in questo racconto, esce momentaneamente dal suo ruolo di personaggio ed assume quello di soggetto narrante e rassicurante. Quello che succede tra me e la mia fidanzata, Chiara, quando siamo soli, è una questione che

IL BIGONCIO

A settembre maturano dei fichi molto buoni. Sono di una qualità che la zia Gina, originaria di Città Sant’Angelo, chiamava, non so se per sua invenzione o perché lì così si chiamassero, fichi “S. Franceco”, i quali avevano un colore esterno di un marroncino stinto, identico a quello dei sai dei fraticelli di quell’Ordine ed un cuore rosso vivo come sangue, riflettendo anche sotto questo aspetto, l’indole dei frati, che era e credo sia tuttora, di grande umanità. La leggenda vuole che la campagna romana, producesse molti di questi fichi S. Francesco, che al momento della raccolta, venivano messi dentro bigonci per essere portati al mercato. Naturalmente, i contadini mettevano sotto i fichi meno appariscenti, mentre ponevano con molta cura, quelli più belli e rigogliosi, con spaccature laterali invitanti, sulla sommità del bigoncio, così da fare la migliore impressione sugli acquirenti. Il bigoncio era un recipiente di legno, fatto a doghe, che si usava soprattutto nella viticoltura

ZERBINOTTO

Lo zerbino è il più vile dei tappetini, quello che si mette davanti all’uscio di casa, per pulirsi le scarpe, le cui suole hanno conosciuto lo sporco delle strade (1). E’ fatto di materia grezza e ruvida, talvolta con scritta sopra una parola di benvenuto tipo “Wellcome” o “Attenti al cane”, seguito a volte, meno gentilmente, dal minaccioso “e al padrone”. Accostare l’idea dello zerbino all’ospite, o a qualunque altra persona, sarebbe cosa gravissima; eppure a volte si fa. Nei confronti di individui disposti a farsi calpestare o mettere i piedi in faccia. Lecchini senza dignità, né onore. Ma v’è un caso in cui lo zerbino, pur ricorrendo a proposito di qualcuno, non è poi tanto offensivo da suscitare sdegno, ma muove invece a considerazioni di più o meno pesante ironia, ed è quando si dà dello zerbinotto ad un tipetto azzimato, curato nella persona e vestito elegantemente, sebbene nella più evidente mancanza di buon gusto. Un cafoncello arzelato, dai modi forzatamente galanti e i

LUPUS IN FABULA

"Lupus in fabula" si traduce 'il lupo nel discorso. La 'Fabula' latina è quindi, in questo caso, il discorso, e affabulare vuol dire saper fare un bel discorso. Normalmente un discorso vuole affermare qualcosa. Mira ad uno scopo. Lo scopo può essere quello di dare un insegnamento , e allora si parla di 'morale della favola'. come avviene per esempio con tutte le favole di Esopo; oppure può tendere ad altro fine, come quello di istruire, di divertire, di sbalordire o di far ridere. Anche purtroppo imbonire, come fanno i ciarlatani, piazzisti o politici da strapazzo. Un buon affabulatore, riesce a fare tutte queste cose, a seconda delle circostanze. Affabula anche chi racconta una barzelletta e sa come richiamare l'attenzione dell'ascoltatore. La storiella dei pazzi che avevano numerato le barzellette di un libriccino e se le raccontavano dicendo ad alta voce ogni volta un numero di riferimento al libro e tutti ridevano, è sintomatica: quand

L'ISOLA MISTERIOSA

Si dà il caso, disse Maurizio con voce grave, che quel ragazzo fossi io. Il ragazzo che patteggiò con Concetta la sua prestazione di lavoro con l’acquisto di libri. Sì, perché, dopo l’esito favorevole della prima prova, Concetta propose di rendere continuativo il rapporto: io andavo nelle ore in cui ero libero nella libreria a svolgere lavori soprattutto di facchinaggio e, periodicamente, lei mi faceva scegliere i libri che volevo entro una certa cerchia. Ero felice per la possibilità che mi veniva offerta di “guadagnarmi” i miei libri, che altrimenti non avrei potuto comprare e nello stesso tempo, mi beavo ad avere in mano così tanti libri, in una girandola di titoli e copertine come non avrei mai potuto immaginare. Di ognuno sbirciavo le pagine e leggevo qualche brano, sognando mondi sempre diversi e straordinari. L’amore per i libri mi era venuto dopo aver visto con quanta passione mio padre, si era costituita una esigua libreria, entro due armadi artigianali con vetrinette, ove,