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LA STRONZATA

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                                                                               Sentite che stronzata, disse Pancrazio entrando nel locale, fragorosamente come al solito; poi si arrestò sulla soglia, con la mano ancora sulla maniglia della vetrina d’ingresso, cazzo! Qui è tutto nuovo! Cominciò a mormorare tra sé, ma a voce alta, Complimenti Sebastiano, ecco perché il bar è rimasto chiuso tutta l’estate, hai fatto una super ristrutturazione! Bello, ora sì che il Circolo può riprendere l’attività: mi siete mancati tutti, lungo questo tempo e si guardò in giro, cercando con gli occhi gli altri soci che non c’erano; c’era solo Maurizio che alzò il naso dal giornale e fece un breve cenno di saluto, stavi dicendo qualcosa? chiese. Pancrazio mollò finalmente la maniglia della vetrina che si chiuse automaticamente, si accostò al primo tavolino e togliendosi la giacca che appese alla spalliera di una sedia, si sedette a cavalcioni su di essa, poggiando i gomiti sulla stessa spalliera ed in

SCENDE LE SERA

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                                                                              È una piccola emozione, dura pochi secondi, sul far della sera, quando si vedono le prime luci che si accendono nel riquadro delle finestre delle case accanto; qualcosa si muove dietro quei lumi schermati, qualcuno vive, partecipe del fenomeno delle ombre che si addensano fuori. Gli animi si aprono al silenzio e quello che si sente è un senso di solidarietà che ci unisce tutti. La nostra condizione umana si disvela nel passaggio dalla luce al buio, rotto dalle lampadine   dell’illuminazione artificiale che aggiunge calore. E c’è del tenero, nel pensare dietro quelle finestre la gente che si muove e si prepara ad affrontare le insidie della notte che si approssima dietro quei vetri appannati. Mi piacerebbe entrare non visto in ognuna di quelle case ed osservare i volti dei componenti dei diversi nuclei familiari per   spiare nei loro occhi i pensieri, e coglierne le emozioni per condividerle.   “Fo

SE ESISTE L'ALDILA'

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                                                                    Se esiste un aldilà, come forma di sopravvivenza individuale, o se non esiste, lo sapremo solo quando saremo giunti al “passo estremo”. O non lo sapremo affatto perché scompariremo nel nulla. Se dovessimo discutere dell’aldilà, sulla base dei nostri convincimenti personali e formulare delle ipotesi nel caso affermativo, su come esso possa essere fatto, non basterebbe l’intera memoria del mio computer. Né io saprei come farlo. So soltanto che anche quelli che si dichiarano credenti, hanno del mondo delle anime, un’idea vaga che prevede una grande luce proveniente dall’alto, un paesaggio nebuloso ed evanescente, un senso di pace diffuso. Certo credo che nessuno si aspetterebbe di trovare in un ipotetico aldilà un mondo fatto a misura di questo nostro, che rimane fino alla fine, l’unica certezza.   Mia madre, negli ultimi anni di vita teneva con sé, sul comodino, un libro dal titolo “La vita oltre la vita” c

IL BOSCO DELLE MERAVIGLIE

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                                                            Giuseppe era innamorato dei boschi, degli alberi dagli alti fusti, delle piante, dei fiori e del velo di nebbia che avvolgeva ogni cosa ed immergendosi in essi, inseguiva i suoi sogni, come testimoniano le centinaia di foto che ci ha lasciato, dove l’elemento umano scompare per lasciare libero spazio alla natura che ha il sopravvento, anche nei confronti dei nostri sentimenti, con i suoi cieli tersi, le atmosfere brumose e la magia delle cose nascoste. Dell’autunno amava i colori: il verde marcio delle erbe e il rosso ruggine delle foglie e i sapori dei suoi frutti,   funghi, castagne e cachi. In una ideale mostra fotografica sul tema, da lui tante volte tentata e a volte realizzata perfino nel cortile della sua abitazione, il visitatore verrebbe inghiottito dalla sensazione di mistero che promana da ogni singola immagine.                                                               Le cime degli alberi si staglian

VALERIA

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                                                                                                                                    Valeria è tornata anche quest’anno a Tortoreto, senza genitori e senza Giulia, ormai autonoma, ma con la sola figlia minore, Elena di 12 anni: è tornata per una settimana, non per vacanze, che sarebbero state tropo brevi, ma per assolvere ad un compito, onorare un ricordo. Ci siamo abbracciati come non avevamo mai fatto nelle precedenti occasioni, per un minuto di muto raccoglimento e lei, commossa, sulla mia spalla, mi ha detto, quasi come in confessione, che l’aver trovato Giuseppe nel periodo più travagliato della sua vita, ha avuto per lei un’t importanza fondamentale:   “Giuseppe mi ha aiutato quando più ne ho avuto bisogno, mi ha salvata, io forse ho salvato lui, non so, ma per me è stato tutto il suo starmi a fianco. E io non dimenticherò ma quello che egli abbia rappresentato nella mia vita” con un senso di gratitudine profonda, senza mai

LA MORTE

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                                                                        Ho visto mio figlio in una bara e questa è stata in assoluto la cosa più straziante ed inaccettabile che io abbia dovuto affrontare nella vita, l’ultima alla quale mi sarei aspettato di poter sopravvivere. L’ho visto in un video girato da mia figlia Valentina, perché le mie condizioni fisiche non erano tali da consentirmi di essere presente alla cerimonia funebre, svoltasi a Bologna a gennaio scorso. Mi è parso di notare che, contrariamente a quanto accaduto in altre occasioni del genere, nelle quali il corpo del defunto, disteso sul catafalco, appariva come appiattito, con il volto solitamente atteggiato ad una serenità innaturale, data dal rilasciamento dei muscoli facciali, il busto di Giuseppe sembrasse proteso in avanti, forse per l’inclinazione della bara, con in volto un’espressione consapevole, quasi pensosa.  Ho provato, oltre allo strazio della privazione, ancora una volta, un senso di colpa, per

LA MORTE DI OGNI UOMO

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                                                                      "Ogni morte di uomo mi diminuisce, perché io partecipo dell'umanità: e così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te". Questa citazione del poeta e religioso inglese John Donne è riportata sulla copertina del libro di Hemingway: "Per chi suona la campana". C’è chi afferma senza esitazione “la morte di ogni persona è la fine di un mondo”, il che contrasterebbe con l’assunto dal quale parte l’affermazione del Donne, che “nessun uomo è un’isola”. All’interno della società di cui facciamo parte, partecipiamo tutti, di tutto, nessuno vive da solo, ma è vero anche che ogni uomo racchiude in sé un piccolo mondo che scompare con lui, quando viene a mancare. Sullo stesso metro è anche l’affermazione di chi paragona la perdita di un uomo – specie se di valore – alla perdita, per l’umanità, di un’intera biblioteca, pensando, immagino, al complesso delle conoscenze acq