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ASSENTI PRESENTI

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                                                                                                   C’è qualcosa di più forte Della morte ed è la Presenza degli assenti Nella memoria dei vivi                  Valérie Perrin La Perrin non è scrittrice da poco; conosce quei piccoli anfratti dello spirito difficili da raggiungere, dove si annidano i sentimenti più intimi che lei illumina amabilmente con la sua grande sensibilità. Una delle sue vocazioni è l’indagine sul rapporto con le persone care defunte, portata con particolare acume a registrare ogni vibrazione interna per restituirci il calore degli affetti delle persone scomparse. L’aforisma riportato sopra ne è prova, affrontando proprio l’argomento doloroso della morte. L’ affermazione quasi perentoria, come scolpita su una lapide, in essa contenuta è un omaggio al nostro culto della memoria dei morti e nella sua concisione, potrebbe apparire una frase ad effetto che denuncia un po’ il nostro umanissimo amore per

AMO IL MATTINO

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                                                               Amo il mattino: nella metafora della vita rappresenta la giovinezza, l’aurora è l’infanzia dorata, il sole che sorge la piena consapevolezza di sé. Vorrei giornate fatte tutte solo di mattinate interminabili, lente soprattutto le prime ore che sono le più belle; già l’approssimarsi del mezzogiorno mi spaventa, i pomeriggi risultano insopportabili, odio la sera, detesto la notte. Quando le stelle cominciano a sbiadire e tra le fessure delle tapparelle filtra la prima pallida luce del nuovo giorno, col risveglio si riaccendono nuove speranze e noi accogliamo con sollievo la fine della lunga notte. Così è per ogni notte, che sia stata lucente di stelle, colma di dolci sensazioni, o passata su un letto di Procuste, ad essa segue un’alba, con la sua aurora tinta di rosa, che inesausta rinnova la magia di ogni giorno e suscita sentimenti di grande tenerezza; la luce del mattino trionfa sul buio nero della notte. Con l

IL BOLLETTINO DELLA VITTORIA

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                                                                      “I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza.” ( Armando Diaz , comandante supremo del Regio Esercito ) In realtà sembra che a scrivere il bollettino della vittoria, di cui quella riportata è l’ultima frase, fosse il generale Siciliani. Il dispaccio fu compilato il 4 novembre 1918, in fretta e, trascinato dall’entusiasmo, lo scrivente   commise un errore semantico, in quanto a risalire le valli furono i resti dell’esercito austriaco, mentre a scenderle era stato l’intero esercito. Ma, tant’è, nel tripudio del momento, nessuno ci fece caso, né Diaz che lo firmò e tanto meno il re che lo ricevette e anche oggi, a noi sembra bello e nella sua concisione, appare un buon esempio di scrittura “a senso”. Evviva la Vittoria!      

GLI ANNI DELLA TENEREZZA

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                                                                        Si tende a ritenere che parlando di anni della tenerezza, si intenda riferirsi a quelli della prima giovinezza, quando ancora tutto è roseo, lo spirito è scevro di preoccupazioni e la tenerezza scaturisce dalla naturale propensione alla bontà dei sentimenti, ancora sotto l’influsso dell’amore materno e, anche, paterno. Io invece voglio parlare della tenerezza che si prova in età avanzata, quando le forze scemano, l’animo si indurisce, ci si può anche incattivire, a causa di disgrazie e malattie, in genere per gli aspetti negativi del periodo declinante della vita, che precede la morte.   Si aprono, in questi anni di smemoratezza, ampi spazi per la riflessione, non su se stesso, tanto quello che è stato è stato e non si può tornare indietro, ma su quello che ci circonda, a cominciare dalle persone, compagna, o compagno che ha le stesse nostre esperienze, e condiviso gioie e dolori, figli amorevoli, parenti e

GESTI E PAROLE

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                                                                                 Con parole suadenti scioglievi ogni nodo senza fare sconti a nessuno Con le mani sapienti accarezzavi gli oggetti con i quali avevi un tuo modo di realizzarti Le tue dita sfioravano le corde della chitarra, come il volto della tua compagna Cogliendone ogni minima vibrazione I tuoi gesti misurati ed esaurienti I tuoi occhi dipingevano i tuoi pensieri Che volavano sempre una spanna più in alto Il tuo sorriso aperto e franco a volte irridente e burlesco La tua presenza colmava uno spazio grande che ora è vuoto e nulla potrà più riempire La tua vita un dono prezioso È stato bello averti anche nei momenti in cui ci siamo contrastati e non volevamo Ma la vita è fatta di niente il tutto è altrove L’amore imperituro La speranza fugace come il tempo  

I MORTI

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                                                                                                                                                                                        Non cercate tra u morti colui che vive   I Si avvicina il giorno dei morti, ma tu non sarai nella turba dei defunti che, secondo una credenza popolare, nella notte tra l’uno e il due di novembre, si affollano in una processione funebre per tornare ognuno nei luoghi dove è stato da vivo. Tu percorri sentieri solitari, libero e felice, leggero come l’aria, volatile come l’etere, lasci una scia sul terreno, che è polvere di stelle. La luce delle stelle spente, come dice Recalcati nel suo libro, che giunge a noi dalle profondità dell’universo, moltissimo tempo dopo l’estinzione della stella che l’ha prodotta. Per modulare il nostro dolore.

IL NARCISISTA

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                                                                     Narciso era un giovane bellissimo, il prototipo della bellezza, non importa se maschile o femminile, era un simbolo e come tale si immolò. La prima volta che si vide, rispecchiandosi in un laghetto, fu così ammaliato dalla sua figura, che si innamorò di se stesso e, nel tentativo di raggiungersi, per abbracciarsi, cadde in acqua ed affogò. Era estremamente bello, ma non sapeva nuotare, era cioè ingenuo, nel senso di senza colpa, conservava l’innocenza ed il candore dei nativi o dei bambini. La favola di Narciso, per mettere in evidenza, una delle caratteristiche peculiari del genere umano, la vanità e la vanagloria, che sono nel patrimonio genetico di ognuno di noi, sono doti o difetti preziosi se posseduti in piccole dosi, perché “bisogna” volersi bene, anche per amare gli altri e possono però, se spinti alle estreme conseguenze, portarci alla rovina. In questo senso siamo tutti dei Narciso, chi più chi m