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Visualizzazione dei post da marzo, 2020

L'ETERNO RITORNO

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Non vi spaventate, cari amici, non vi annoierò con ciò che non so. Dell’eterno ritorno so solo che la combinazione delle due parole, eterno da una parte e ritorno dall’altra, mi attrae, mi procura l’effetto di una sorta di horror vacui, la paura del vuoto, che toglie il respiro, dà le vertigini, ma attira irresistibilmente. Con queste mie chiamiamole pure considerazioni, vorrei soltanto farvi riflettere sulla vastità di un concetto che unisce due temi di grande impatto emotivo, l’eternità e il ritorno e con questo godere del piacere dell’impalpabile. Al centro di tutto questo, c’è la vita, c’è l’uomo e il suo destino. Si parla dell’essere e di un ciclo temporale che si ripete all’infinito Qualcosa che ritorna eternamente, attimi, brandelli di vita che si ripetono in continuazione, con un andamento curvo sena fine. Un’immagine mi ha colpito: pensate ad una porta aperta, dalla quale si dipartono due percorsi, il primo va verso sinistra e rappresenta il futuro (non poteva essere alt

TUTTI I SALMI FINISCONO IN GLORIA

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E’ un componimento poetico a carattere religioso, che si recitava o si cantava con accompagnamento o meno di uno strumento musicale a corde. In quali occasioni? Diverse. Gli ebrei avevano sette salmi che venivano recitati nell’atto di accedere al Tempio. Una raccolta di Salmi è stata inclusa nella Bibbia, Vecchio Testamento; più della metà di essi sono attribuiti al Re David. E perché si dice tutti i salmi finiscono in gloria? E’ un aforisma, un proverbio, un modo di dire. Siccome i Salmi, quale che sia l’argomento trattato, finiscono tutti con la parola Gloria, il detto vuole affermare in modo ironico, una cosa scontata, che cioè di alcune cose si conosce l’esito fin dall’inizio, anche se, stando alle apparenze, le cose sembrino andare in tutt’altra direzione, e quando alla fine si deve constatare che la conclusione era quella prevista, si dice che è stato come nei Salmi, dove la fine è sempre quella. Ad interrogare su questa materia, dopo che se ne era ampiamente parlato, e

IPERSONNIA

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Il mondo si divide tra chi dorme troppo e chi per niente. Naturalmente stiamo parlando del genere homo (e non del gatto, che anche lui, quanto a sonno…). I primi sono i capitalisti del sonno, quelli che, anche se fossero minoranza nel paese (globale, eh?) avrebbero ugualmente più della metà delle risorse di sonno disponibili per l’intera umanità, spesso senza alcun merito personale, avendo ereditato una complessione organica predisposta che non richiede a loro nessuno sforzo per dormire, gli altri sono gli insonni, quelli che, contano le pecore, si sforzano di pensare cose belle, ma immancabilmente si ritrovano a rimuginare le peggiori, le provano tutte, anche quello che sembrerebbe un rimedio infallibile per far venire il sonno, come vedere la TV e invece niente, non chiudono occhio, o se lo chiudono, questo accade giusto quando è ora di alzarsi ed affrontare il nuovo giorno da mortodisonno.                                                     Almeno un bel sogno. Foto di Luci

MANUTENGOLO - MANIGOLDO

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Maurizio era in vena di fare quattro chiacchiere, con il suo uditorio, in piena libertà, così, tanto per passare il tempo, senza rinunciare, come era sua abitudine, a sottolineare le cose interessanti che potessero uscir fuori dai vari discorsi, con opportune precisazioni, per il piacere della scoperta, come direbbe Alberto Angela, ma senza correre il rischio di cadere nella pedanteria. Voi dite Pancrazio, stava appunto dicendo, riferendosi agli ultimi avvenimenti, ma io vi confesso che preferisco Pancrazio, che è genuino e spontaneo, anche se a volte si comporta in modo rozzo e villano, a tanti manutengoli che sotto sotto tengono bordone a personaggi di scarsa o dubbia rilevanza.  E cheddè, un manutengolo? Chiese Cocilovo che da poco si era unito al gruppo. La storia del manutengolo è piuttosto antica, si dispose di buona volontà a spiegare Maurizio, e prende le mosse da una tenera immagine: un adulto, madre, padre o nonno che sia, il quale cammina, tenendo per mano un bambino.

PANDEMIA

Da quando per colpa del coronavirus il Circolo sedicente linguistico-letterario del Bar Dell’Olmo non può più riunirsi nella sua sede che ha assunto il pretenzioso nome di Zibaldino, i soci senza tessera, perché il Circolo non conosce tesseramento, essendo aperto a tutti, si sono organizzati per tenersi in contatto e proseguire, per quanto possibile la normale attività, in via telematica con lo smart working. Ciascuno da casa sua collega il proprio computer con quello di altri partecipanti e con l’uso si Skipe, tutti colloquiano vicendevolmente. Non sono mancati interventi di persone sconosciute, le quali hanno espresso molto liberamente il proprio pensiero, con tesi a volte aberranti, o quanto meno pazzoidi. Il tema era quasi sempre lo stesso: la pandemia che sta facendo vittime in tutto il mondo, facendo crollare quelle che fino a poco fa erano le nostre certezze, basate sulle conquiste scientifiche da noi fatte e i progressi nel campo della tecnologia, che oltre a renderci la vit

IL RITORNO

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Ho chiesto a De Albentiis, (ricordi Vittorio, era il nome del proprietario della casa di via Trento e Trieste, tante volte sentito nominare da nostra madre e mai visto, un autentico fantasma), di darmi le chiavi di quella casa, nelle condizioni in cui era allora, quando c’eravamo noi ad abitarla e, lo crederesti? Egli non ha avuto difficoltà a corrispondere al mio desiderio. Tu mi hai raccontato una volta di esserti recato colà e di aver chiesto a dei nuovi occupanti, di poter rivedere i luoghi della nostra infanzia e prima giovinezza e di essere rimasto deluso, in quanto gli ambienti erano stati tutti modificati e adattati addirittura ad uso uffici, un insulto ai nostri ricordi. Ed il giardinetto abbandonato, era uno squallido sterpaio, l’albero di fico abbattuto. Foto di Luciana Del Grande Io invece, avrò adesso la possibilità di rientrare nella nostra casa, come era e così come eravamo noi, la nostra famiglia, nostra madre, nostro padre, la zia Gina, Rita, Myriam, Maria Gab

CHIACCHIERICCIO

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Sebastiano aveva servito da poco l’ultimo cliente della serata – un caffè corretto - e si annoiava nel locale deserto. Gli “accademici” del Circolo erano andati via da un pezzo e nella piazza non si vedeva nessuno. Di solito non chiudeva prima delle undici, ma quella sera gli sapeva che avrebbe chiuso prima. Mi sa che non verrà più nessuno, diceva fra sé. Quasi quasi me la filo e vado a casa a cambiarmi sto cerotto che domani lo tolgo e non lo metterò più. Mi frega se la gente si impressiona di fronte al naso operato! Posso? E si girò per vedere chi era entrato. In realtà già lo sapeva dalla voce e ne rimase sconcertato. Pancrazio, il braccio sinistro a mantenere la vetrina dell’ingresso con la chiusura a molla, era fermo sulla soglia del bar, incerto se avanzare o fare marcia indietro. Vieni avanti, gli disse, ma la sua voce tradiva il disappunto che in quel momento lo aveva colto, per quell’accidente del tutto imprevisto ed anche fuori luogo. L’amico, col quale aveva avu

RESPIRARE e nuotare

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Erano in tre nella stanza, lui, Chiara e la voce sconosciuta. Assorto, di fronte al suo ridotto uditorio, Maurizio meditava pensando le cose più diverse; in tempo di coronavirus, con migliaia di ricoverati in ospedale, che lottavano per la vita con gravi difficoltà respiratoria, non era igienico riunirsi in una stanza a parlare e per questo gli accessi al circolo erano contingentati. Poi, quando si riebbe, cominciò:                                                                                       Foto di Luciana Del Grande La zia Gina… Tu sempre con la zia Gina, ma non ti sei stufato? La voce gentile che parlava, appariva dolce, ma annoiata. Più ancora, stanca, come di chi avesse fatto dei turni in ospedale interminabili ed intensissimi. Gli altri due ne ignoravano l’identità. E’ della vita che dobbiamo parlare, di oggi, di questa contingenza…non ce lo aspettavamo, vero? La zia Gina non potrebbe aiutarci. Maurizio guardò verso il punto dal quale proveniva la voce La zia Gina

GLI ULTIMI SARANNO I PRIMI

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Sono arrivato dalla parte di via Carlo Forti, passando, come ai vecchi tempi, davanti al palazzo delle Poste; la via appariva come sempre. C’era lo slargo dal quale partiva la ruvetta, quasi parallela a via Trento e Trieste, dove paziente aspettava, sfrogiando di tanto in tanto, il cavallo di Giovanni il carrozziere, così chiamato da noi, perché era l’ultimo cocchiere della città ed aveva una bella carrozza con i sedili imbottiti con la quale faceva il suo servizio di trasporto pubblico. Aveva una gualdrappa buttata sul dorso, il sacchetto del fieno appeso alle orecchie con il muso dentro e ruminava tranquillo, ogni tanto aveva uno scarto, battendo uno zoccolo sul selciato ed agitando la coda come una ventola, per scacciare mosche e tafani che lo infastidivano. Al punto mediano della via, l’abitazione di Nunziata appariva nuova e ridente. Anche gli abitanti, che non so come, erano visibili dall’esterno, erano sereni puliti e ben vestiti. Prima di tutti, lei, la padrona, bella, solare

PANEGIRICO

Il panegirico, per come lo conosciamo ora,  altro non è che un giro di parole arzigogolato per vellicare la vanità di qualcuno, col tesserne le lodi in modo sperticato, tanto da rendere manifesto che chi lo sta facendo non crede affatto alla veridicità della cosa in sé. Specialmente quando si parla di “tono” encomiastico, di un discorso fatto pubblicamente a favore di qualcuno sul cui effettivo merito non tutti sono d’accordo, proprio il fatto di calcare troppo la mano, può far nascere nell’animo dell’ascoltatore, il sospetto che il panegirico nasconda, in modo più o meno velato, un intento derisorio, o comunque di presa in giro. Questo stava dicendo Maurizio, quando nel locale entrò Sebastiano, reduce da un periodo di convalescenza per la frattura del setto nasale. Tutti si alzarono e gli fecero corona, per salutarlo e festeggiarne il ritorno, dopo l’incidente avuto con Pancrazio qualche giorno prima. Portava ancora in cerotto a cavallo del setto ricostruito, ma aveva un aspetto a

FULMINE A CIEL SERENO

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E che potevamo fare? E’ accaduto tutto in un lampo; un vero fulmine a ciel sereno. Sebastiano, ignaro di tutto quello che si era detto fino ad allora, era entrato nella stanza della biblioteca, dove i soci erano riuniti ed avendo sentito l’invito rivolto da Maurizio a Pancrazio a tenere una lezione sulle origini della letteratura italiana, si mise clamorosamente a battere le mani, dicendo: Illustrissimo dottor professor Pancrazio dei Pancrazii, prego ci illumini sul tema proposto dal Presidente. Dal canto mio, successivamente, vi terrò una dotta lezione sulla scomposizione dell’atomo, dalla preistoria ad oggi e fece un inchino con tanto di cappello (che non c’era), portato col braccio in alto e con ampio gesto, fatto roteare, fino a strusciare sulla superficie del pavimento polveroso. Nessuno aveva notato Pancrazio che si era alzato e portato davanti a Sebastiano, impegnato nella sua pantomima. Quello che si materializzò sotto gli occhi di tutti fu l’immagine di Pancrazio che all’

LA VANTERIA

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Già il fatto di vantarsi di un qualche merito, non è una bella cosa; è una civetteria alla quale ricorrono coloro che non avrebbero molto da vantare, e non quelli, invece, che non hanno bisogno di magnificare alcunché di relativo alla propria persona. Ciò anche nel caso in cui l’oggetto del vanto sia reale e tale da recare lustro. Se poi sussistono dubbi sulla natura di tale oggetto, la cosa diventa esecrabile. Per esempio, sentire Salvini, dichiarare di essere orgoglioso di aver preso, quando rivestiva il ruolo di ministro dell’Interno(!) della Repubblica, alcune decisioni per le quali la magistratura lo ha iscritto nell’albo degli indagati per gravi reati, aggiungendo che sarebbe disposto a farlo ancora, nel caso in cui, per disgrazia della Nazione, glie se ne desse di nuovo l’occasione, sembra proprio di essere di fronte ad una spacconata degna di un gradasso. La vanteria poi è una versione degradata del vanto, in quanto è caratterizzata dalla qualità della cosa che ne costituisce

DI QUALCOSA SI DEVE MORIRE

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Figurati se non lo so! Sbotta Pancrazio all’affermazione (di Maurizio?). Non ci dobbiamo preoccupare del coronavirus perché tanto di qualcosa si deve pur morire. Galimberti afferma – dice Chiara – che non moriamo perché ci ammaliamo, ma ci ammaliamo perché dobbiamo morire. Questo può valere per gli anziani, che sono vicini all’età in cui di solito si muore; ma non per i giovani, i quali, per quale motivo dovrebbero morire? La zia Gina, con il suo solito parlare sentenzioso, dichiara solennemente: La mort’ vo’ la scus’. Ogni motivo è buono. Sottinteso, quindi bisogna fare in modo da non dargliene. Qualunque sia l’età. La vera perla di saggezza arriva da Valter, col suo    N’ hè tant’ lu murì, quant’’ lu mal’ campà! Che poi sarebbe – affermava il nostro amico – un raro esempio di sintesi illuminante di un principio filosofico corrispondente a quello degli scettici di Epicuro. Beh…diciamo che ci trovo un chiaro parallelismo, precisa Valter. Comunque la zia Gina non

IL COLLOQUIO

Cosa vorresti sapere da me, com’è il mondo di là? Se c’è un Inferno, un Purgatorio ed un Paradiso? Se siamo vivi, se esistiamo? No, caro padre. So che non potresti darmi queste informazioni e, poi, sai una cosa? Non sono nemmeno tanto curioso di saperlo. Tanto, tra non molto, l’appurerò da me. Ed allora, sì, che sarò molto elettrizzato: sarà il momento supremo; per un uomo, pensare di essere ad un passo dalla verità, dopo una vita passata ad arrovellarcisi, sarà veramente fondamentale e, come dire senza cadere in contraddizione? anche finale. Non vorrei deluderti…Ma tu di me che pensi? Vuoi dire di dove sei ora? Niente, non penso niente. Ma il fatto di vedermi qui, potrebbe essere un elemento di certezza. Caro padre, tu sai bene che su questa terra nulla è certo. Il fatto di vederti qui potrebbe essere frutto della mia mente, una mia immaginazione. Mio padre mi fissava dalla sua parte della panchina, gli occhi leggermente appannati, il sorriso appena accennato ed un’espress

DUEMARZOMILLENOVECENTOSESSANTA

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Caro padre, domani ricorre il sessantesimo anniversario della tua morte. Era di carnevale e sotto la finestra della tua camera si sentiva il chiasso festoso di quelli che folleggiavano per godersi la festa più conformistica nella sua trasgressività, che ci sia. Nella nostra città il carnevale conservava e tuttora conserva caratteristiche di festa paesana, ingenua, innocua, non particolarmente rumorosa. Anzi di quella circostanza, mi è rimasto un ricordo, come se, da parte dei partecipanti, vi fosse una certa considerazione per chi, come noi, si fosse trovato nelle condizioni di non poter festeggiare, per il grave momento che stavamo attraversando. O forse le nostre orecchie non erano propense a sentire quei rumori, tutte intente a percepirne altri, flebili e terribili, quelli dei tuoi affannosi ultimi respiri. Ricordi? Un anno fa ci siamo dati appuntamento, come avvenuto già in anni precedenti, per incontrarci, domani presso quella panchina, posta un po’ fuori città, dove altre volt