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Visualizzazione dei post da novembre, 2018

LA DISCENDENZA 17

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All'inizio degli anni ’30 le cose non andavano tanto male nella casa dell’ex caporale Di Eugenio Domenico, calzolaio, conosciuto nel paese come Lu scarparon' per via della sua alta statura. A svolgere l’attività di calzolaio erano in due, lui e suo nipote Simplicio, con una resa abbastanza soddisfacente. Ricordiamoci che Domenico fabbricava scarpe su misura, mentre le figlie gestivano una sartoria con annessa modisteria. Si può dire che coprivano in famiglia quasi per intero il campo dell’abbigliamento. Il figlio Eliseo studiava in seminario con profitto e diligenza. Quando tornava a casa per le vacanze, si trovava attorniato da un nugolo di ragazze che ruotavano intorno al laboratorio delle sorelle e la cosa influiva non poco sulla sua scarsa vocazione per la missione sacerdotale. In occasione di uno dei suoi periodici ritorni il giovane Eliseo, diplomando maestro, conobbe nell’ambito della sartoria, una ragazza di straordinaria bellezza che fin dal primo momento suscitò in

LA DISCENDENZA 16

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Mancano documenti relativi al ritorno in famiglia di Domenico in quel primo dopoguerra successivo alla vittoria, ma è presumibile che egli, a parte le difficoltà di reinserimento nella vita civile, dopo la lunga permanenza in quella militare, non abbia trovato condizioni economiche favorevoli, data la generale situazione dell’Italia per le ferite aperte dalla guerra e per lo scontro che subito si annunciò durissimo fra le diverse componenti della società, da una parte le classi lavoratrici salariate e dei braccianti dell' agricoltura, i cui interessi erano rappresentati da un forte partito socialista, dall'altra quelle dominanti, formate dai datori di lavoro, industriali ed agrari con in mezzo la borghesia e una gran quantità di reduci dalla guerra, disorientati che facevano affidamento sulle promesse fatte di agevolazioni che essi avrebbero ricevuto a guerra finita, per il reinserimento nel contesto sociale e lavorativo, e che invece si ritrovarono abbandonati a se stessi, cos

LA DISCENDENZA 15

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Domenico Di Eugenio conobbe i rigori della disciplina militare con molto anticipo; era già sotto le armi nel 1891 e fu nuovamente richiamato nel 1898, l’anno in cui si fidanzò con Crocetta e successivamente nel 1916, per quella che fu chiamata la Grande Guerra, alla quale la giovane Italia partecipò con spirito irredentistico, combattendo contro l’Impero Austro Ungarico la sua quarta guerra d’indipendenza. Il suo primo impiego fu nella zona del Carso. All’epoca Domenico aveva già tre figli, Maria, Azelia ed Eliseo di appena cinque anni. Rimase in servizio ininterrottamente fino alla fine della guerra, salvo un periodo di convalescenza a casa, per ferita. Non è possibile determinare il periodo di congedo, anche se esiste una minuta, purtroppo senza data, di una domanda avanzata dalla madre Filomena Di Ferdinando, bisnonna di Fiorella, Sua Eccellenza Generale Armando Diaz, Comandante in capo dell’esercito ed artefice della vittoria, di proroga del congedo perché il figlio non era ancora

LA DISCENDENZA 14

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I documenti in possesso di Fiorella abbracciano un ampio arco di tempo che va da episodi accaduti nell'ultimo decennio del 1800, alla prima guerra mondiale, (con protagonista Domenico, il nonno di Fiorella); attraversa poi il periodo grigio del dopo guerra e l'avvento del fascismo ed investe in pieno la tragedia della seconda guerra mondiale (con le vicende accadute a Eliseo/Raul, il padre di Fiorella ed altri soggetti di contorno), arrivando fino ai primi anni '50 del 1900. Si comincia con un reperto veramente originale: è una lettera d'amore inviata nell'anno 1891, da un giovanissimo Domenico, classe 1876, ad una destinataria senza nome. Siamo sul finire del 1800; dall'unità d'Italia (1861) e dalla successiva annessione di Roma al Regno d'Italia (1870), sono passati appena pochi decenni. Il giovane a quel tempo aveva solo 15 anni ma risultava già richiamato alle armi (cosa che sembra improbabile, forse un errore di datazione), però dimostrava

LA DISCENDENZA 13

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Fiorella conserva una vecchia cartella, ereditata dalla madre, gelosamente custodita, in cui sono archiviati documenti di grande importanza per le memorie di famiglia, alcuni perfino di rilevanza storica, visto che si riferiscono a momenti della storia nazionale, quali ad esempio l'8 settembre 1943 e il così detto "sbandamento" dell'esercito italiano, oppure il 18 aprile 1948, data di quella prima votazione politica dopo il ventennio di dittatura fascista, il cui esito fu veramente decisivo per il corso successivo degli avvenimenti. Si tratta di lettere, appunti, scritti vari, di componenti della famiglia, e conoscenti, alcuni dei quali erano emigrati da tempo in altri Paesi, ma avevano mantenuto i contatti con il paese di origine, Bellante. Esse denotano due cose abbastanza significative: l'abitudine che c'era fra queste persone di servirsi della comunicazione scritta per dibattere di argomenti vari, dagli interessi, agli affari, alle questioni di fa

LA DISCENDENZA 12

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Nel precedente post ho accennato al discorso dei cugini, 22 nella mia famiglia di origine, compresi i 5 Aielli (io, mio fratello e le tre sorelle). Questi 22 hanno generato altri figli, che nei confronti di ciascuno dei 22 si possono chiamare bis-cugini, mentre nei confronti dei figli degli appartenenti al gruppo dei 22, sarebbero bis-bis-cugini. Assurdo, qui il filo si perde...                                     Alberto Sordi nel film di F.Fellini "I Vitelloni", Italia, 1953 L’origine della parola “cugino” è incerta; le ipotesi più attendibili sono due, entrambe dal latino: o deriva da “consobrinus”, un derivato dalla unione di “cum”, con, più “sororinus”, che significa “della sorella”, quindi in origine la parola doveva valere solo per i figli della sorella e non del fratello (“fraternus”), oppure discenderebbe da “congenius” con il significato di “generato insieme”, “consanguineo”. Comunque sia, i cugini nel nostro ordinamento sono i figli nati sia dal fratello che

LA DISCENDENZA 11

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Nel giro della parentela così come l’ho descritta, non sono riuscito a dare il dovuto risalto alla nuova generazione, che eravamo noi, ben 22 cugini rampanti, usciti dai lombi di tanta stirpe. O meglio ho detto qua e là, senza alcuna sistematicità. La cosa in fondo non ha poi tanta importanza e che io non voglia dargliene più di tanto, spero che si rilevi dal tono sottilmente ironico col quale ho iniziato. Cosa? Non si rileva l’ironia? Forse è troppo sottile dite? Vabbè, lo scherzo finisce qui. Ora parliamo di cose serie. Prima di chiudere questa rassegna, intendo rivederne l’iter per mettere ancora qualche pezza laddove il flusso dei miei ricordi ha lasciato lacune non più colmabili, per l’intempestività dell’operazione. Vittorio e Bruno Per cominciare vorrei tornare a Città Sant’Angelo, da dove sono partito, ripercorrerne le viuzze, le vie periferiche, il grande corso, poggiare il piede là dove anche mio padre, in un’epoca a me ignota, ha posato il suo, forse trascorso nella

LA DISCENDENZA 10

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Zio Remo, ragioniere, il fratello minore di nostra madre, era il più mite degli uomini. Ultimo della casata Bernardi, al contrario di Anzino che era il primo, menò una vita tranquilla, molto domestica e benché occupasse nell’ambito cittadino una posizione apicale,  Ragioniere Capo della Provincia, conservò sempre un atteggiamento modesto, quasi da impiegato con la mezza manica. Di statura piuttosto piccola, portava occhiali da vista che gli conferivano, insieme al suo comportamento generale, un’aria da intellettuale un po’ distratto, come chi insegua pensieri non ancora ben definiti, di cui si vorrebbe conservare la memoria per un’elaborazione successiva, in un momento di interiorità al di fuori della contingenza. Aveva sposato Vanda, una nobildonna bionda slavata, della famiglia Cerulli,  piuttosto appartata rispetto al resto dei parenti, di cui sapevamo ben poco. Si sforzava di apparire tranquilla, ma sotto sotto mostrava un nervosismo inquieto, che la faceva essere sempre un po’ imb

LA DISCENDENZA 9

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Eccoci dunque arrivati a parlare dell’ultimo rampollo o dovrei dire rampolla (1) se me la lasciate passare, visto che si tratta di una femmina, la più piccola delle sei sorelle. Si tratta di zia Nina (Gaetanina all’anagrafe), “la pescarese”, se non la più bella, la più appariscente fra tutte, con una personalità sviluppatissima, (come spesso avviene tra gli ultimogeniti che debbono vedersela con fratelli più grandi di loro), due occhi di falco ed una voce possente. Lei ragioniera, aveva sposato un romagnolo, come tale di sangue caldo, Giuseppe Guiducci, anch’egli ragioniere, il quale, per averla prescelta, doveva avere un carattere almeno altrettanto forte di lei. In effetti la loro unione fu salda, ma abbastanza turbolenta. Risiedevano a Pescara, a metà via Venezia in un bell’appartamento al terzo piano. Gim Toro Zia Nina era una smaliziata maschilista (ricordiamoci l’epoca che era sempre quella), non tanto perché difendesse i privilegi del genere, ma perché era amante delle

LA DISCENDENZA 8

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Non credo di millantare alcun credito se dico che io nella mia vita ho avuto la fortuna di godere, non per meriti miei, ma per bontà loro, della stima e della simpatia di tutti questi parenti di cui sto parlando, in particolar modo le zie e gli zii, i quali mi hanno riconosciuto qualità senz’altro superiori a quelle da me possedute. A cominciare dalla zia Gina, la quale di fronte a problemi che imponevano scelte coraggiose, mi chiedeva consigli che io, data la giovane età, non sempre ero in grado di dare. Ma lei si fidava di me e mi attribuiva più capacità rispetto ad altri e corrispondentemente, quando c’era da convincere la zia che aveva un carattere fermo su qualche punto importante, magari per il suo bene, come per esempio lasciarsi ricoverare in ospedale quando era gravemente malata, mia madre chiedeva a me di intercedere nei confronti di lei, non ignorando che tra noi due intercorreva un feeling particolare, capace di far superare certe asperità. Zio Anzino (data scon.)

L'ARTE DELLA BANALITA'

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Umberto Eco dall’alto del suo magistero poteva ben permettersi di dire che FB e tutti gli altri “social” fra i pochi meriti effettivi può annoverare il torto di aver dato la parola agli stupidi. Quelli che una volta consci della propria insipienza tacevano, ora parlano liberamente in quanto la tecnologia ha consentito loro di sproloquiare senza tema di essere smentiti o insolentiti, data la possibilità di nascondersi dietro l’anonimato. Penso che abbia tutte le ragioni di affermare questo, ma non mi azzarderei a ripetere la stessa cosa, perché allora dovrei anche interrogarmi sulla posizione che occupo io con i miei extra-vaganti scritti nella scala di questi valori o disvalori. Se rientro cioè tra quelli che possono parlare o tra gli altri che farebbero bene a stare zitti. Diorama, 2013 Più che parlare della stupidità di cui alcuni fanno spudoratamente mostra o della volgarità che di solito ad essa si accompagna, appunterei la mia attenzione sulla banalità di molti che si

LA DISCENDENZA 7

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Ho detto di zia Stella e zio Berardo, ma i ricordi incalzano mano a mano che vado avanti, per cui mi riprometto di riportare l’attenzione su di loro, come pure sugli altri personaggi che compaiono in questa rassegna, alla fine, quando farò una ricapitolazione di tutta la materia, prima di chiudere il libro della memoria. Foto d'epoca La nonna Rita   .                                                      Ora, invece vorrei intercalare, cioè inserire tra un capitolo e l’altro dedicati ai protagonisti di età più avanzata, il discorso sui cugini, che rappresentano la seconda generazione, quella alla quale appartengo anche io. I quattro figli maschi della famiglia Parmegiani, i quattro dell’Orsa Maggiore, rappresentavano per me e per mio fratello Vittorio un esempio fulgido al quale uniformarsi e nel contempo una sfida, perché nel confronto, amichevole finché vuoi, non bisogna mai cedere. E più era l’ammirazione, più la voglia di eguagliarli. Nessuna chance ci era consentita

LA DISCENDENZA 6

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Olga sposò felicemente quel giovanottino venuto da Città Sant’Angelo per partecipare al concorso magistrale durante il quale si conobbero. Fu amore a prima vista e si sposarono dopo non molto tempo. Se di mio padre ho cercato di immaginare la vita pre-matrimoniale, la brillante carriera scolastica, il paese, i compagni, l’influenza di un insegnante benemerito che si adoperò verso suo padre (mio nonno) affinché il ragazzo continuasse gli studi e poi gli ardori giovanili patriottici che lo portarono a fare scelte rivelatesi poi ingannevoli, di mia madre, da ragazza, l’unica immagine che ho è quella che mi sono fatta, a sentire i racconti di quando usciva insieme alle sorelle, inquadrate per due, con la nonna e la zia che chiudevano la colonna, e niente altro. In quell’austero gineceo possiamo immaginare un’atmosfera simile a quella di “Piccole Donne”, il film tratto dal fortunato romanzo omonimo di quell’epoca, che fece conoscere (ma non credo che le sorelle Bernardi a quel tempo andas

LA DISCENDENZA 5

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Delle sei sorelle Bernardi, si può dire che soltanto la prima, Elvira, fece un matrimonio infelice; Giosafatte Pupo di Barletta, il marito, un uomo più giovane di lei, che a detta di zia Gina era un gran giovialone, simpatico e farfallone, dopo qualche tempo, deluso forse da un matrimonio che si rivelò sterile, ad un certo punto abbandonò la sua sposa e se ne tornò nella sua città dove si unì con un’altra donna che gli dette parecchi figli. A quel tempo non c’era ancora il divorzio e per la povera Elvira fu una tragedia. Delle altre, per fortuna si hanno solo buoni ricordi. Città Sant'Angelo (Vittorio Aielli, 2010) Ilda, la secondogenita, insegnante elementare, dalla penna molto forbita, sposò un suo collega maestro, Vincenzo Pilotti, con l’hobby della compravendita di case e terreni, dal quale ebbe tre figli, Giuseppina (Pina), Mario ed Edda, cugini ai quali noi della famiglia Aielli, per un certo periodo di tempo, siamo stati molto legati. Altrove ho già riferito di alcun