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Visualizzazione dei post da dicembre, 2019

DOVE FINISCONO I SOGNI

“Licio , che ci fai qui a quest’ora? Ti togli per favore da lì, ché debbo aprire la saracinesca?”. Sebastiano era sbalordito. Non gli era mai capitato, e sì che faceva quel lavoro da dodici anni, mai nessuno si era fatto trovare addormentato, davanti al suo bar, con la schiena appoggiata alla saracinesca, all'ora in cui lui regolarmente apriva. Erano circa le sei e non era ancora giorno, data la stagione di inizio primavera. “Era ora” rispose Licio, sobbalzando e tirandosi su, a fatica ritornando alla realtà da quella strana posizione di abbandono. “E’ un po’ che aspetto e sono molto stanco. Ho passato tutta la notte fuori. Se non mi fai un caffè subito, muoio.” “Dammi il tempo di aprire e te lo faccio doppio il tuo caffè”. Il rumore della saracinesca che scarrellava verso l’alto, coprì in parte la sua voce. Sebastiano aprì la porta a vetri ed accese la luce. Il bar s’illuminò tutto, proiettando una luce rettangolare sul quell’angolo di piazza ancora buio. “Entra, disse, e

IL GELATO BIGUSTO

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Ovvero perché, in metafisica come nei gelati, “tu gust’ is megl’ che uan’. Si deve a Emanuele Kant, come noto, la definitiva condanna senza appello della metafisica, con conseguente ostracismo della medesima dal dominio del pensiero razionale, dell’episteme (non è che il pensiero metafisico non si possa più esercitare in assoluto dopo Kant, è solo che, come le pratiche sessuali più sfrenate e lussuriose, “si fa ma non si dice”, in ottemperanza alla VII Proposizione di Wittgenstein). Senonché la filosofia greca classica (da Talete ad Aristotele, per intenderci) è per intero una metafisica, avendo posto sin da subito la ricerca del principio primo, dell’archè, alla base del discorso. Fondamento che già con l’apeiron di Anassimandro si fa una grossa fatica a tenere nel novero di ciò che è fisico, nel senso di sensibile, tangibile. Ma la metafisica greca vera e propria “decolla” solo quando Platone intuisce che per dar conto pienamente del mondo, fisico e politico (a lui interessa

INZICCARE

Maurizio da sotto le coperte, allungò una mano, come faceva ogni sera, dalla parte opposta del letto, dove di solito incrociava quella di Chiara. Era un modo di darsi la buonanotte, dopo le effusioni amorose, o anche in sostituzione di esse, come pure avveniva di tanto in tanto. Le dita delle due mani di intrecciavano, restavano così per poco tempo, poi, con una carezza prolungata, si scioglievano e ciascuna tornava al suo posto. Quella sera, dopo aver assistito, al buio, agli ultimi preparativi della compagna, che stavano richiedendo più tempo del solito ed avendo finalmente sentito la rete della seconda metà del letto, oscillare come quando ella si sdraiava sotto le coperte, non trovando la mano di lei al solito posto, alquanto meravigliato, con spirito forse non troppo cavalleresco, ma con le intenzioni più pacifiche ed intonazione lievemente ironica, disse: “Ti ‘nzicchit? O ancor ‘nd ‘nzicch?”. La risposta più che stizzita della ragazza, fu furiosa: “No! Ancor ‘nm ‘nzicch

ONIRICO

“Avete fatto bei sogni?” chiese Maurizio al suo, come al solito, affollato uditorio (oggi poi, S. Stefano, il giorno dopo Natale, erano solo tre non del tutto svegli). “io ho fatto sogni pazzi” annunciò Licio. “Ma non ricordo quasi niente”. Pancrazio taceva e sembrava poco interessato all’argomento. “Che sono i sogni?”, chiese infine un po' immusonito. “Sono il prodotto di una seconda vita che noi conduciamo, senza rendercene conto, contemporaneamente alla prima, che è quella cosciente. Noi viviamo, nello stesso tempo, due realtà, una è quella nella quale ci avvolgiamo nel periodo della veglia, l’altra ci appare a tratti nel sonno sotto forma di sogni che non sappiamo da dove vengano. Vi è un momento, che è quello che precede l’immediata caduta nel sonno, in cui conserviamo ancora la coscienza, sebbene affievolita della realtà che ci circonda, e già si presentano in contemporanea, visioni dell’altro mondo, quello onirico, che poi prendono il sopravvento, via via che il sonno s

PALINGENESI

Non storcete subito il naso; non voglio assolutamente catechizzarvi. La palingenesi è un moto dell'animo, che si produce spontaneamente o a seguito di un avvenimento, in conseguenza del quale si verifica un totale rinnovamento di tutta la persona, o di un gruppo di persone, di un popolo, o di tutti gli uomini, tale da far pensare ad una rigenerazione, una vera e propria nuova nascita, o un ritorno alle origini. Natale è per eccellenza tempo di palingenesi, riscopriamo i buoni sentimenti, ci sentiamo tutti migliori. Gesù, venendo sulla terra in una notte piena di presagi, avrebbe voluto provocare la più grande palingenesi che l'umanità abbia mai conosciuta. Avrebbe voluto travolgere tutte le barriere e indurre il più grande mutamento della storia nelle condizioni di vita degli uomini, ha creato bensì un grande movimento al quale hanno aderito miliardi di uomini, ma la palingenesi totale non è ancora avvenuta. La sua predicazione è ancora da verificarsi. Dopo duemil

SACROSANTO

“Ma questo è sacrosanto!” Affermò con forza Licio appena entrato. Era il secondo giorno che frequentava la sala del circolo e già pensava di dettare legge. Aveva fatto amicizia con tutti, si muoveva a suo perfetto agio e su ogni cosa che veniva detta, aveva qualcosa da ribattere, con dolcezza e finta umiltà, ma facendo sempre prevalere il senso della sua presunta superiorità. E molti lo guardavano ammirati, come si guarda un profeta a natale. “In questi giorni di Natale si fa un gran parlare di santo e di sacro, ma figuriamoci! La gente parla per sentito dire; io vi posso assicurare che ci sono cristiani che non distinguono ciò che è sacro da quello che è solamente santo, ignorando il significato della parola sacrosanto che le unisce tutt’e due.” “Ma scusa, Licio, non è la stessa cosa se dico "la Sacra Bibbia e il Santo Natale", o invertendo i termini, "la Santa Bibbia e il sacro Natale", ?”, chiese umilmente, Pancrazio, conquistato fino al midollo dalla s

LICIO

Licio è un gran rompiballe, ma a lui non importa niente, tira dritto per la sua strada ed è convinto che la sua sia una missione. Su facebook ha fatto colpo con l’ardita affermazione posta sulla sua immagine di copertina “sono quello che sono: se vi sta bene, bene, se no fa lo stesso” conquistando così la simpatia, ma che dico, l’adorazione da parte di un sacco di follower, nei confronti dei quali è portato a svolgere il compito di battipista, quello che detta la linea da seguire, in ogni circostanza, su qualunque cosa accada o su qualsiasi argomento venga sottoposto all’attenzione pubblica. Il tutto con le migliori intenzioni. E’ approdato allo Zibaldino quasi di soppiatto alla vigilia di Natale, attirato da non so quale fumus di novità che aveva captato nell’aria ed aveva deciso che se c’era qualcosa di vero in quelle avvisaglie, di qualunquue cosa si fosse trattato, non sarebbe comunque avvenuta senza di lui. La prima volta che ha aperto bocca è stato per dire “La svolta, ho

LA SVOLTA

Pancrazio si presentò tutto sussiegoso, quasi mellifluo e depose sul tavolo una bottiglia di Ferrari formato Magnum che aveva preso al bar. Maurizio non si lasciò impressionare. Si vedeva lontano un miglio che il compare era in vena di fare il gigione e questa volta non gliel’avrebbe fatta passare. Perché la bottiglia? Penserete; vuoi vedere che Pancrazio si è pentito del suo comportamento nelle passate stagioni e ha deciso di farsi perdonare, offrendo il calumet della pace? No amici, non è così. Pancrazio non ha nulla da farsi perdonare e tanto meno intende recedere dal suo modo di fare, che a suo dire è ineccepibile e anzi rappresenta un’oasi di lealtà in un mare di ipocrisia. E’ semplicemente che ha scoperto che oggi si conclude il biennio dalla nascita dello Zibaldino ed il risultato, non è un bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto, come si dice in queste occasioni, ma è invece quello di un carniere zeppo di selvaggina, chiediamo scusa ai vegetariani, ma qui si va a tutta

PARALIPOMENI DI UN PRESEPE

“Ti piace o’ Presepe eh?”, domanda Eduardo, pieno di speranza rivolta al figlio malmostoso, sul palcoscenico di “Natale in Casa Cupiello”. “ No!” E’ la risposta disarmante del giovane abulico, ”u m’ piace, u m’ piace, u m’ piace!”. ‘Mbè, allora te ne vai da ‘sta cas, perché in questa casa s’ fanno e’ presepii”. Ben altre nubi si addensano sull’ingenuo protagonista di questa commedia, che non il disappunto per questa scaramuccia tra padre e figlio, che segna comunque il distacco che corre tra una visione poetica e sentimentale del Natale ed un senso di disincantato realismo, contrario alla rappresentazione falsa ed edulcorata della natività. Oggi, nella società, tende a prevalere questa seconda tendenza. C’è disamore per la stanca ricorrenza delle feste natalizie e per il presepe che la rappresenta. C’è addirittura qualcuno che dice: vorrei prendere un sonnifero e svegliarmi tra quindici giorni. “Uffa, è già Natale. Scrivevo l’anno scorso. Natale nonostante tutto. Il dissesto cli

TOCCARE

“Nessuno tocchi Caino” disse enfaticamente Maurizio, rivolgendosi ad un pubblico come al solito numeroso (quattro persone) e attento (di quattro uno mangiava un panino, un altro leggeva un giornale e gli altri due erano seraficamente addormentati). Per la verità questo è quello che si deduce dal discorso di Dio (Genesi 4.1-15), che all’obiezione di Caino, maledetto per aver ucciso il fratello, “girerò ramingo e chiunque mi potrà uccidere”, risponde che così non sarà, in quanto lui gli appone un segno che lo proteggerà da chiunque volesse colpirlo. Dunque il tema di oggi è “toccare”. Toccare come? Il senso della Bibbia esclude che si possa ”toccare”, nel senso di “fare del male, punire” Caino, il fratricida, nonostante la sua maledizione. Il perché di questo divieto è materia per i teologi. Io mi limito a citarlo, per introdurre il tema della estrema versatilità di questo verbo. Per tutto quanto dirò in questa conversazione, farò riferimento ad uno scritto che ho trovato,

MAMMALUCCHI di Paolo Araclio

MAMMALUCCHI di Paolo Araclio Da una parola al giorno https://unaparolaalgiorno.it/ Mammalucco Nome di un'antica milizia mediorientale che conquistò grande potere in Egitto fra il XIII e il XVI secolo; sciocco, babbeo dall'arabo mamlūk posseduto, e quindi schiavo, poiché il corpo dei mammalucchi era inizialmente composto da schiavi. Come è che il nome di un'antica milizia mediorientale diventa un sinonimo di sciocco? Agli albori del secondo millennio, nel mondo mediorientale, il decadente potere del titanico califfato abbaside, che stava cadendo a pezzi, si munì di un nuovo corpo militare: i mamelucchi - o mammalucchi. Era composto da schiavi provenienti dal cuore dell'Asia, che dapprima avevano la caratteristica di non essere islamici - una qualità apprezzabile, dato che agli islamici era fatto divieto di combattere altri islamici; i suoi membri erano addestrati con rigore e profondità. Le sorti di questa milizia si svincolarono presto da quelle del califfat

GIANNIZZERI

Non potevano portare la barba, ma avevano grandi baffi, come segno distintivo. Penso che chiunque di noi ricordi anche visivamente dalle illustrazioni dei libri di scuola, chi fossero i Giannizzeri, una soldataglia al servizio del sultano che per secoli ha imperversato nell'Impero Ottomano, sempre dalla parte del più forte. Fedeli difensori dei privilegi e delle prerogative imperiali, vessatori dei sudditi. Sgherri che facevano il bello e cattivo tempo, attaccatissimi al rispetto delle regole dello stato islamico. Più interessante sarebbe capire perché la parola venga usata ancor oggi, con un senso tra l'ironico e il dispregiativo, come quando si sente dire "ma chi è quel giannizzero?", nel senso di “bellimbusto”, oppure "si è presentato il Presidente, accompagnato dai suoi giannizzeri", come dire “guardie del corpo”. La fortuna di certi termini, rispetto ad altri, che conservano nei secoli una validità, magari a senso stravolto. Un modo di dire, dunque

BEOZIA

“In Italia si legge poco”, è il mantra che si sente ripetere di continuo, da parte dei promotori di cultura, sacerdoti ed improvvisati diaconi di quella fede tutta particolare che va sotto il nome di passione letteraria, che poi, in molti casi, si identificano con quei neofiti, folgorati dell’ultima ora sulla via di Damasco, che hanno da poco scoperto il potere salvifico dei libri, come Saulo della Croce. Ed è bello sentirli esplodere d’entusiasmo per la recente scoperta e la voglia di far sapere a tutti che quello che è capitato a loro, può capitare a tutti. Non so se sia vero e fino a che punto, ma ho la strana idea che da noi, come per altre cose importanti, si faccia poco da una parte, troppo dall’altra. Il morbo della lettura, in Italia a me sembra che si presenti come un fenomeno a macchia di leopardo. Su un tessuto di un unico colore, che è quello base, corrispondente alle zone del paese dove non si legge affatto, o poco, si sovrappongono macchie più o meno grandi di colore di

COSPICUO

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Fatti che ebbe pochi passi, rimuginando su quanto discusso fino a poco prima con Sebastiano (senti poi da che pulpito…Sebastiano e chi è Sebastiano per dare lezioni a me?), Pancrazio fece un rapido dietro-front e quasi di corsa inseguì l’amico che aveva preso la strada di casa. “Senti spaccone, allora che mi dici di “cospicuo”? Non viene pure dal latino, cazzo, come perspicuo? E che vuol dire, lo sai?” Sebastiano aveva sonno e nessuna voglia di continuare la polemica. “Dimmelo tu, per me è troppo difficile e poi vorrei mangiare qualcosa e andare subito a letto. Non possiamo fare domani?”. “No, sbruffone, tu ora e qui mi devi dire che intendi per cospicuo e come mai è imparentato con il perspicuo che tanto ti piace.“ “A spanne ti posso dire che secondo me, anticamente non c’era molta differenza tra le due parole, derivando entrambe da “spicio” latino che vuol dire guardare. Ma successivamente deve aver acquistato un significato autonomo che da “evidente, bene in vista”, è pas

LINGUACCIUTO

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“Ho già parlato del linguacciuto, di passaggio, nel precedente post “Ciarlatano”, pubblicato sullo Zibaldino il 12.10.2019, con uno strano accostamento alla voce dialettale “fafficcione”, per l’affinità che tra i due termini si può trovare, non per altro, che per la singolarità del suono delle due parole che rende quanto mai palese il loro senso al solo pronunciarle. Così come ho parlato anche, un po’ sullo stesso tema, dell’altro bel termine onomatopeico, “scilinguagnolo”, in due post pubblicati sullo stesso blog, rispettivamente del 12.11.2018 e del 25.5.2019”. Maurizio parlava davanti ad un gruppetto di una decina di ascoltatori, ma sembrava piuttosto assorto in un suo pensiero, per cui le sue parole cadevano sull'uditorio piuttosto anòdine, svagate, con tono quasi burocratico. “Scordiamoci quanto detto finora e vediamo di concentrarci sul solo linguacciuto, parola che individua molto chiaramente, un individuo senz'altro fornito di un buon scilinguagnolo, qualità sen

PERSPICUO - PRECIPUO

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Quando al bar è ora di chiudere, a notte inoltrata e gli avventori e i soci del circolo sono andai tutti via, nel locale rimane solo lui, il buon Sebastiano, che spegne l’insegna, rimanendo qualche attimo in contemplazione della scritta “Bar dell’Olmo”, con il pensiero che gli corre sempre ai primi tempi, alle difficoltà che dovette affrontare in quel periodo iniziale di quando scelse quel nome, poi, scacciando le insorgenti melanconie, abbassa la saracinesca a metà e si sobbarca all'ultima fatica della giornata, ripulire e rimettere in ordine le due stanze che compongono il suo regno. Qualche volta si avvale della collaborazione gentilmente offerta da Pancrazio, il quale, mentre gli altri escono vociando, si sofferma sulla soglia e gli dice, “Ti serve una mano?”, al che lui risponde: “Grazie, se non ti dispiace, puoi dare una botta di scopa e poi di straccio bagnato nella saletta delle riunioni, mentre io faccio il bar.” Così, mentre lavorano, i due si scambiano battute d