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Visualizzazione dei post da luglio, 2020

PAURA DELLA CONOSCENZA

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                                                                         Un giorno Mauritius se ne venne con questo bel rompicapo: è meglio sapere o non sapere? Aveva appena letto il grido di dolore di un frequentatore dei social, il quale aveva postato… che c’è di strano? Non si dice così sui social? Se preferite dico pubblicato, nel senso di esternato, fatto conoscere il suo pensiero, affidandolo alle labili ali di FB, circa un punto di autocoscienza che sembrava fatto ad hoc per definirne la personalità, non proprio preminente, dell’agente.   Diceva infatti il poveretto, constatando amaramente, più cose imparo, più scopro quanto sia grande la mia ignoranza e la cosa mi spaventa. Ecco è di questa sua paura che vorrei parlare oggi, trascurando il punto da cui parte, la scoperta di un’ignoranza che supera il livello di accettabilità dell’individuo.     La domanda è : è lecito avere paura della propria ignoranza? O meglio, avere questo timore, arricchisce lo spirito del so

GLI SCHERZI DEL CASO

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                                                             Ma guarda un po'gli scherzi del caso: leggi l'argomento di questo libro da supermercato che sembra imparentato col mio breve racconto. Quando ho letto la sintesi in copertina mi ha fatto sorridere divertito. Il libro in questione è Le Intermittenze della Morte di Josè Saramago, libro da supermercato, dice Licius, nella sua sconfinata ignoranza, seconda solo alla mia (le cose che io so e lui non sa sono pari a quelle che lui sa e io non so. E’ Mauritius che parla). Invece si tratta di uno dei libri più fantasiosi e avvincenti sul tema della morte e le sue dinamiche, che la fantasia umana sia mai riuscita a concepire. Del resto nessuno è tenuto a saper tutto sul grande scrittore portoghese di recente scomparso. Se non che si colloca sul filo di una tradizione che si riallaccia a Fernando Pessoa, il padre della moderna letteratura portoghese ed europea, uno dei grandi dell’Olimpo degli Spiriti Magni. In

CICIOMBRE

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                                                                            Zia Gina lo diceva, “sta abbuttat’ come nu ciciombr” e noi non capivamo. IL ciciombre per noi era come un cece enorme o qualcosa del genere, di gonfio e spropositato e nessuno si chiedeva l’oscura origine della parola, quella, come di tante che uscivano dalla bocca sempre prodiga di termini nuovi e misteriosi, di zia Gina. A proposito di zia Gina, aveva cominciato Maurizio a nominarla, chiamandola “mia”; subito dopo Chiara, e passi per Chiara; ma Silvana, Marta, Ottavio, Sebastiano e perfino Pancrazio tutti a rivendicare l’appartenenza a lei, come nipoti, sembra impossibile. Ognuno vantava di avere avuto come zia una Gina, che forse erano tante zie e forse una sola, non si è appurato mai, lei, il prototipo delle zie che tutti i tempi, che ogni nipote vorrebbe avere, nel corredo della propria infanzia. Ora so che il ciciombre è un tamburo incorniciato, non mi chiedete che vuol dire l’aggettivo, n