ZERBINOTTO
Lo zerbino è il più vile dei tappetini, quello che si mette davanti all’uscio di casa, per pulirsi le scarpe, le cui suole hanno conosciuto lo sporco delle strade (1). E’ fatto di materia grezza e ruvida, talvolta con scritta sopra una parola di benvenuto tipo “Wellcome” o “Attenti al cane”, seguito a volte, meno gentilmente, dal minaccioso “e al padrone”.
Accostare l’idea dello zerbino all’ospite, o a qualunque altra persona, sarebbe cosa gravissima; eppure a volte si fa. Nei confronti di individui disposti a farsi calpestare o mettere i piedi in faccia. Lecchini senza dignità, né onore.
Ma v’è un caso in cui lo zerbino, pur ricorrendo a proposito di qualcuno, non è poi tanto offensivo da suscitare sdegno, ma muove invece a considerazioni di più o meno pesante ironia, ed è quando si dà dello zerbinotto ad un tipetto azzimato, curato nella persona e vestito elegantemente, sebbene nella più evidente mancanza di buon gusto. Un cafoncello arzelato, dai modi forzatamente galanti e inadeguatamente mondani.
Sebbene in ambito diverso, lo zerbinotto potrebbe essere accostato allo zuzzurellone, ultima parola del vocabolario italiano, alla quale è anche logisticamente affine. Anche se qui siamo in campo caratteriale, essendo lo zuzzerellone un individuo adulto che seguita a mantenere modi di fare infantili e per questo oggetto di ironia da parte degli altri, ma senza pretese di affermazioni sociali.
Si sparse la voce che Pancrazio stesse scrivendo delle poesie e intendesse proporre al circolo, una serata dedicata alla lettura in anteprima di alcune di esse e stesse all’uopo facendo ricerche per trovare un fine dicitore, in grado di rendere al meglio il senso delle sue composizioni.
Maurizio quel giorno stava parlando svogliatamente di quelle figure di uomo marginali, come sopra illustrate. Negli ultimi tempi, il dibattito all’interno di quella che considerava una propria creatura, languiva e, nel poco entusiasmo generale, egli si arrabattava per sollecitare l’interesse di qualcuno del gruppo a proporre qualcosa di prorompente, che potesse fornire materiale per un rilancio delle iniziative del sodalizio.
Quando seppe delle intenzioni di Pancrazio, a proposito della serata poetica, rimase sbalordito. E’ vero che si aspettava da parte di qualche volenteroso, una iniziativa per rianimare le attività del circolo, e l’idea di una serata dedicata alla poesia lo era, ma è altrettanto vero che Pancrazio era l’ultimo dal quale si sarebbe aspettato una proposta quale che sia, figurarsi poi una serata di poesia, per la lettura di cosa? delle ‘sue’ poesie. Roba da non credere!
Quando lo vide entrare, in compagnia di altri, chiassoso come sempre, notò subito che qualcosa era cambiata nel suo portamento, che gli fece pensare che ormai pretendesse maggiore considerazione per la sua persona, in virtù proprio della sua nuova veste di poeta, che egli si attribuiva e della cui cosa pensava che lo stesso Maurizio dovesse ormai essere informato e fosse tenuto a tenerne conto.
Vestiva in modo più ricercato e i suoi modi erano affettati come non mai.
Manco a farlo apposta, Maurizio stava parlando proprio quella sera del tipo di uomo descritto con parole abbastanza fuori moda, come burbanzoso, grossolano, zerbinotto, azzimato, farfallone, che descrivevano comunque un modo di essere ridondante e oltre misura, tale da apparire difettoso per eccesso.
La prima era “burbanzosetto”, più ci pensava più ci credeva: Pancrazio si era trasformato in un burbanzosetto, metà ridicolo, metà pericoloso. La seconda “zerbinotto”, chissà poi perché. Forse per l’aspetto affettato e il modo di fare sopra le righe.
Decise di prendere il discorso alla larga.
Sapete voi cos’è la burbanza? Esordì del tutto inaspettatamente. Di questa parola abbiamo già parlato in uno scritto pubblicato su questo blog il 5 gennaio 2018, ma non mi era ancora capitata l’occasione di un uso proficuo del termine, per mancanza di un soggetto che rispondesse al profilo della parola stessa.
Il tipo burbanzoso, che si nasconde dietro una maschera di severità scontrosa, per offuscare le proprie deficienze, mentre cerca di acclarare una sua autorità che non tiene in nessun conto il parere degli altri, credo che sia difficile da trovare, oggi come oggi.
Bisogna risalire a ‘bomba’ per capire ‘burbanza’; nel latino tardo ‘bombus’ significava ‘frastuono’, o più genericamente ‘rumore’. In senso figurato ‘millantazione’, che appunto significa vantare doti che non si hanno. Con chiasso, raffazzonatamente.
Per il burbanzoso, un velo sottile di disprezzo copre tutto ciò che proviene dagli altri, ma si fa fatica a trarre da lui alcunché di utile. Di vantaggioso per tutti, di assolutamente chiaro ed inoppugnabile.
La sua è una prosopopea ammantata da un senso di superiorità che non trova riscontro nei fatti obiettivi.
Tra di noi, cari compagni, non vedo nessun tipo burbanzoso nel senso classico, che, vi ricordo, esprime un giudizio negativo su tutta la persona.
Piuttosto uno zerbinotto, tronfio e vanesio.
A questo punto Maurizio si interruppe e fissò lo sguardo verso il punto in cui, in mezzo ad un circoletto di fans, si pavoneggiava Pancrazio.
Dopo aver fissato a lungo, in silenzio, il quadretto offerto da costoro e ricevuta la conferma di avere attirato l’attenzione di tutti su di loro, con voce volutamente melliflua, dìsse:
Pancrazio, ho sentito che scrivi poesie e che hai intenzione di deliziarci una sera con le tue composizioni. Mi rallegro e ti faccio i miei migliori auguri, ma, siccome la notizia che ci è giunta è troppo sensazionale e noi tutti siamo estremamente curiosi di conoscere questa tua nuova dote, ti chiedo, a nome penso di tutti i presenti, saresti tu in grado di darci, qui, stasera un saggio della tua bravura?
Nella stanza si creò un silenzio che si poteva tagliare con il coltello. Nemmeno un fiato. Solo un debole scricchiolio di sedie, sotto il peso degli occupanti che cercavano un assetto più comodo, muovendosi appena nell’atmosfera di generale imbarazzo.
Nell’aria rarefatta, Pancrazio lentamente si alzò, imponente nella sua figura, uscì fuori dalla riga di sedie, e si avviò senza fretta lungo il corridoio centrale e, raggiunto il tavolo della presidenza, si voltò verso il pubblico. Con gesto ossequiente, gettò uno sguardo interrogativo verso Maurizio che in piedi, dietro al tavolo, lo stava guardando e al suo cenno di assenso, si dispose a parlare, atteggiandosi come un consumato attore:
Reciterò per voi, disse, una mia poesia, intitolata
“STRAMBOTTO DEL CUORE INNAMORATO”
Accostare l’idea dello zerbino all’ospite, o a qualunque altra persona, sarebbe cosa gravissima; eppure a volte si fa. Nei confronti di individui disposti a farsi calpestare o mettere i piedi in faccia. Lecchini senza dignità, né onore.
Ma v’è un caso in cui lo zerbino, pur ricorrendo a proposito di qualcuno, non è poi tanto offensivo da suscitare sdegno, ma muove invece a considerazioni di più o meno pesante ironia, ed è quando si dà dello zerbinotto ad un tipetto azzimato, curato nella persona e vestito elegantemente, sebbene nella più evidente mancanza di buon gusto. Un cafoncello arzelato, dai modi forzatamente galanti e inadeguatamente mondani.
Sebbene in ambito diverso, lo zerbinotto potrebbe essere accostato allo zuzzurellone, ultima parola del vocabolario italiano, alla quale è anche logisticamente affine. Anche se qui siamo in campo caratteriale, essendo lo zuzzerellone un individuo adulto che seguita a mantenere modi di fare infantili e per questo oggetto di ironia da parte degli altri, ma senza pretese di affermazioni sociali.
Si sparse la voce che Pancrazio stesse scrivendo delle poesie e intendesse proporre al circolo, una serata dedicata alla lettura in anteprima di alcune di esse e stesse all’uopo facendo ricerche per trovare un fine dicitore, in grado di rendere al meglio il senso delle sue composizioni.
Maurizio quel giorno stava parlando svogliatamente di quelle figure di uomo marginali, come sopra illustrate. Negli ultimi tempi, il dibattito all’interno di quella che considerava una propria creatura, languiva e, nel poco entusiasmo generale, egli si arrabattava per sollecitare l’interesse di qualcuno del gruppo a proporre qualcosa di prorompente, che potesse fornire materiale per un rilancio delle iniziative del sodalizio.
Quando seppe delle intenzioni di Pancrazio, a proposito della serata poetica, rimase sbalordito. E’ vero che si aspettava da parte di qualche volenteroso, una iniziativa per rianimare le attività del circolo, e l’idea di una serata dedicata alla poesia lo era, ma è altrettanto vero che Pancrazio era l’ultimo dal quale si sarebbe aspettato una proposta quale che sia, figurarsi poi una serata di poesia, per la lettura di cosa? delle ‘sue’ poesie. Roba da non credere!
Quando lo vide entrare, in compagnia di altri, chiassoso come sempre, notò subito che qualcosa era cambiata nel suo portamento, che gli fece pensare che ormai pretendesse maggiore considerazione per la sua persona, in virtù proprio della sua nuova veste di poeta, che egli si attribuiva e della cui cosa pensava che lo stesso Maurizio dovesse ormai essere informato e fosse tenuto a tenerne conto.
Vestiva in modo più ricercato e i suoi modi erano affettati come non mai.
Manco a farlo apposta, Maurizio stava parlando proprio quella sera del tipo di uomo descritto con parole abbastanza fuori moda, come burbanzoso, grossolano, zerbinotto, azzimato, farfallone, che descrivevano comunque un modo di essere ridondante e oltre misura, tale da apparire difettoso per eccesso.
La prima era “burbanzosetto”, più ci pensava più ci credeva: Pancrazio si era trasformato in un burbanzosetto, metà ridicolo, metà pericoloso. La seconda “zerbinotto”, chissà poi perché. Forse per l’aspetto affettato e il modo di fare sopra le righe.
Decise di prendere il discorso alla larga.
Sapete voi cos’è la burbanza? Esordì del tutto inaspettatamente. Di questa parola abbiamo già parlato in uno scritto pubblicato su questo blog il 5 gennaio 2018, ma non mi era ancora capitata l’occasione di un uso proficuo del termine, per mancanza di un soggetto che rispondesse al profilo della parola stessa.
Il tipo burbanzoso, che si nasconde dietro una maschera di severità scontrosa, per offuscare le proprie deficienze, mentre cerca di acclarare una sua autorità che non tiene in nessun conto il parere degli altri, credo che sia difficile da trovare, oggi come oggi.
Bisogna risalire a ‘bomba’ per capire ‘burbanza’; nel latino tardo ‘bombus’ significava ‘frastuono’, o più genericamente ‘rumore’. In senso figurato ‘millantazione’, che appunto significa vantare doti che non si hanno. Con chiasso, raffazzonatamente.
Per il burbanzoso, un velo sottile di disprezzo copre tutto ciò che proviene dagli altri, ma si fa fatica a trarre da lui alcunché di utile. Di vantaggioso per tutti, di assolutamente chiaro ed inoppugnabile.
La sua è una prosopopea ammantata da un senso di superiorità che non trova riscontro nei fatti obiettivi.
Tra di noi, cari compagni, non vedo nessun tipo burbanzoso nel senso classico, che, vi ricordo, esprime un giudizio negativo su tutta la persona.
Piuttosto uno zerbinotto, tronfio e vanesio.
A questo punto Maurizio si interruppe e fissò lo sguardo verso il punto in cui, in mezzo ad un circoletto di fans, si pavoneggiava Pancrazio.
Dopo aver fissato a lungo, in silenzio, il quadretto offerto da costoro e ricevuta la conferma di avere attirato l’attenzione di tutti su di loro, con voce volutamente melliflua, dìsse:
Pancrazio, ho sentito che scrivi poesie e che hai intenzione di deliziarci una sera con le tue composizioni. Mi rallegro e ti faccio i miei migliori auguri, ma, siccome la notizia che ci è giunta è troppo sensazionale e noi tutti siamo estremamente curiosi di conoscere questa tua nuova dote, ti chiedo, a nome penso di tutti i presenti, saresti tu in grado di darci, qui, stasera un saggio della tua bravura?
Nella stanza si creò un silenzio che si poteva tagliare con il coltello. Nemmeno un fiato. Solo un debole scricchiolio di sedie, sotto il peso degli occupanti che cercavano un assetto più comodo, muovendosi appena nell’atmosfera di generale imbarazzo.
Nell’aria rarefatta, Pancrazio lentamente si alzò, imponente nella sua figura, uscì fuori dalla riga di sedie, e si avviò senza fretta lungo il corridoio centrale e, raggiunto il tavolo della presidenza, si voltò verso il pubblico. Con gesto ossequiente, gettò uno sguardo interrogativo verso Maurizio che in piedi, dietro al tavolo, lo stava guardando e al suo cenno di assenso, si dispose a parlare, atteggiandosi come un consumato attore:
Reciterò per voi, disse, una mia poesia, intitolata
“STRAMBOTTO DEL CUORE INNAMORATO”
Fece una breve pausa per creare un’atmosfera di ispirata precognizione, chiuse gli occhi, impostò la voce, con le mani dipinse un panorama davanti a sé. Quindi parlò, con voce ferma e ben calibrata:
“Oh l’amore, l’amore che di questo cuore
pane sei tu dolcissimo e soave",
breve sosta ad effetto, poi di seguito:
"senza di te la vita è ben più grave
senza passion si muore ignavamente".
Altra sospensione, poi, di getto:
"Perciò non mi lasciar, tienilo a mente
tanto se dici quelle cose strane
(come pensieri esuli e strambieri,
entro tramoggia per i truscolieri),
o se nel folto del mister ti mesci"
Un sospiro per riprendere fiato, poi a voce un poco più alta:
"bene facesti
quando mi avvertisti
<<forse non duro,
ma tu, perché manifesti
gioia o dolor pel bene che prendesti,
con le tue mani dentro la mia cesta?>>,
dopo di allor, sbollita la mia estasi,
non più mi curo di restare in resta,
ormai null’altro penso che mi resti
che possa fare di tutt’erbe un fascio
per riscattarmi l’anima al Nefasto."
brevissima pausa, poi con voce melodrammatica:
"E Dio mi guardi dal starmene in convescio.”
pane sei tu dolcissimo e soave",
breve sosta ad effetto, poi di seguito:
"senza di te la vita è ben più grave
senza passion si muore ignavamente".
Altra sospensione, poi, di getto:
"Perciò non mi lasciar, tienilo a mente
tanto se dici quelle cose strane
(come pensieri esuli e strambieri,
entro tramoggia per i truscolieri),
o se nel folto del mister ti mesci"
Un sospiro per riprendere fiato, poi a voce un poco più alta:
"bene facesti
quando mi avvertisti
<<forse non duro,
ma tu, perché manifesti
gioia o dolor pel bene che prendesti,
con le tue mani dentro la mia cesta?>>,
dopo di allor, sbollita la mia estasi,
non più mi curo di restare in resta,
ormai null’altro penso che mi resti
che possa fare di tutt’erbe un fascio
per riscattarmi l’anima al Nefasto."
brevissima pausa, poi con voce melodrammatica:
"E Dio mi guardi dal starmene in convescio.”
Licenza poetica.
Quella sera Maurizio, dopo che tutti furono andati via, e inchinandosi col busto per passare sotto la saracinesca abbassata a metà da Sebastiano per la chiusura del locale, pensava tra sé: “ Quando racconterò a Chiara quello che è successo qua stasera, sono sicuro che non mi crederà”.
1) Dicono che lo scrittore napoletano Salvatore Rea, possedesse un armadio pieno di scarpe nuove, che non calzava mai. Interrogato sul perché andasse in giro con scarpe vecchie, avendone di nuove, rispose “mica le posso sporcare con le fetenzie delle strade di Napoli!” (a proposito di zerbini).
Quella sera Maurizio, dopo che tutti furono andati via, e inchinandosi col busto per passare sotto la saracinesca abbassata a metà da Sebastiano per la chiusura del locale, pensava tra sé: “ Quando racconterò a Chiara quello che è successo qua stasera, sono sicuro che non mi crederà”.
1) Dicono che lo scrittore napoletano Salvatore Rea, possedesse un armadio pieno di scarpe nuove, che non calzava mai. Interrogato sul perché andasse in giro con scarpe vecchie, avendone di nuove, rispose “mica le posso sporcare con le fetenzie delle strade di Napoli!” (a proposito di zerbini).
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