CHIACCHIERICCIO
Sebastiano aveva servito da poco l’ultimo cliente della serata – un caffè corretto - e si annoiava nel locale deserto. Gli “accademici” del Circolo erano andati via da un pezzo e nella piazza non si vedeva nessuno. Di solito non chiudeva prima delle undici, ma quella sera gli sapeva che avrebbe chiuso prima.
Mi sa che non verrà più nessuno, diceva fra sé. Quasi quasi me la filo e vado a casa a cambiarmi sto cerotto che domani lo tolgo e non lo metterò più. Mi frega se la gente si impressiona di fronte al naso operato!
Posso? E si girò per vedere chi era entrato. In realtà già lo sapeva dalla voce e ne rimase sconcertato.
Pancrazio, il braccio sinistro a mantenere la vetrina dell’ingresso con la chiusura a molla, era fermo sulla soglia del bar, incerto se avanzare o fare marcia indietro.
Vieni avanti, gli disse, ma la sua voce tradiva il disappunto che in quel momento lo aveva colto, per quell’accidente del tutto imprevisto ed anche fuori luogo.
L’amico, col quale aveva avuto quel brutto episodio, mollò la vetrina, che cominciò a chiudersi lentamente, mentre egli faceva il primo passo; poi avanzò decisamente nello spazio davanti al bancone.
Ti chiederai come mai…cominciò.
Non ci posso credere, fu la risposta. Con quale faccia ti presenti qui ed a quest’ora…
Ti giuro Seba, nulla di personale. Ho perso la testa, avrei fatto lo stesso con chiunque.
Ma come cazzo ti è venuto in mente…
Pensavo che ci fosse una manfrina fra te e Maurizio, quel gesuita, non perde occasione per sfottermi…Mi devi perdonare…Ma tu pure…
Senti Pancrazio, mi hai aggredito davanti a numerosi testimoni e mi hai provocato delle serie lesioni, per le quali sono andato in Ospedale e sono stato operato. Se volevo, ti mandavo in galera e ti facevo sganciare una bella somma per il risarcimento, ma io non ho voluto…di questo dovresti essermi grato…
I due si fronteggiavano da una parte all’altra del bancone, il primo con aria contrita, manteneva lo sguardo basso, all’altezza del piano di servizio, verso il quale tendeva le mani, come se avesse voluto appoggiarsi; l’altro invece aveva le braccia penzoloni lungo i fianchi e gli occhi rivolti verso l’alto che guardavano oltre le figura del suo interlocutore, verso la porta d’ingresso e oltre la strada, immobile, con il volto atteggiato ad una strana forma di perplessità.
Perdonami, Seba, se puoi…farò ammenda davanti a tutti e tu pronuncerai la sentenza. Se sarà di assoluzione, ti prometto che in avvenire non succederà più nulla del genere, almeno per parte mia; se invece mi condannerai, mi allontanerò dal circolo e non mi farò più vedere. Giuro però che mi dispiacerà molto.
La pesca del martin pescatore (povero pesciolino) Foto e rammarico di Luciana Del Grande
Nel bar deserto, con le luci soffuse, Sebastiano aveva attenuato l’illuminazione in attesa di chiudere, successe qualcosa di strano.
Il primo ad accorgersene fu Sebastiano, il quale, scese dalla pedana del bancone e si avvicinò alla porta chiusa dl locale adibito a sede del circolo, facendo segno a Pancrazio di fare silenzio, ed avvicinò l’orecchio allo stipite; ascoltò trasecolando e fece segno a Pancrazio di avvicinarsi e fare come lui.
Pancrazio cautamente (non voleva correre il rischio di cadere in una nuova trappola), si avvicinò alla porta ed accostò l’orecchio per origliare. Dall’interno veniva un mormorio di più voci, un chiacchiericcio indistinto e fastidioso. Continuo, insistente, sommesso, come di cospiratori in una loggia segreta che parlassero sottovoce pronunciando formule esoteriche.
C’è qualcuno? Chiese Pancrazio.
No…che io sappia, rispose Sebastiano
Allora apriamo, suggerì il Pancra.
Aspetta, rispose Seba bloccandogli la mano sulla maniglia della porta. Tese di nuovo l’orecchio.
Il mormorio, che si era interrotto per un attimo, riprese con maggior vigore. A Sebastiano sembrava a tratti di riuscire a decifrare qualche parola, mozziconi di frasi, tra bisbigli, sospiri, lamenti.
Mortali…inani…dolenti…pietà…rimorso…umana debolezza…Poteva dire di aver sentito queste parole? O forse la sua mente le aveva immaginate?
Premette sul dorso della mano di Pancrazio e la maniglia si abbassò. Buio e silenzio uscivano dalla fessura della porta, appena scostata. Eppure si avvertivano delle presenze. Qualcuno dietro la porta tratteneva l fiato per nascondere l’affanno del proprio petto.
Fece per aprire di più la porta: quel mistero doveva essere risolto, non poteva essere che avvenisse nel suo bar qualcosa di inesplicabile. Con la poca luce che filtrava dal locale del bar, la stanza appariva vuota, ma man mano che la luce rischiarava l’ambiente, sottraendo spazio alle tenebre, folle di ombre sembravano agitarsi nella stanza, arretrando di converso.
Chi è là? Gridò Sebastiano.
Entrambi sentirono come un frullare di ali, un frusciare di vesti che andarono subito a scomparire. Tutto era in ordine, il tavolo, le sedie, la libreria…il secchio del mocio col manico in alto.
Sul tavolo qualcuno aveva dimenticato qualcosa, un oggetto, un pupazzetto, videro, avvicinandosi. E due tessere con due numeri diversi, 15 e 85. Poteva essere l’esito di una votazione. Si era forse svolto un processo nell’ultima seduta del circolo? E se sì, quale l’oggetto? E come interpretare i due numeri, 15 a favore e 85 contro, o viceversa?
Il mistero si infittiva.
Dopo il fracasso della saracinesca che cadeva giù, Sebastiano sovrappensiero, stese la mano a Pancrazio, che la strinse contento.
Teniamoci per noi quello che abbiamo visto, disse. Per me è come se non fosse successo niente.
Mi sa che non verrà più nessuno, diceva fra sé. Quasi quasi me la filo e vado a casa a cambiarmi sto cerotto che domani lo tolgo e non lo metterò più. Mi frega se la gente si impressiona di fronte al naso operato!
Posso? E si girò per vedere chi era entrato. In realtà già lo sapeva dalla voce e ne rimase sconcertato.
Pancrazio, il braccio sinistro a mantenere la vetrina dell’ingresso con la chiusura a molla, era fermo sulla soglia del bar, incerto se avanzare o fare marcia indietro.
Vieni avanti, gli disse, ma la sua voce tradiva il disappunto che in quel momento lo aveva colto, per quell’accidente del tutto imprevisto ed anche fuori luogo.
L’amico, col quale aveva avuto quel brutto episodio, mollò la vetrina, che cominciò a chiudersi lentamente, mentre egli faceva il primo passo; poi avanzò decisamente nello spazio davanti al bancone.
Ti chiederai come mai…cominciò.
Non ci posso credere, fu la risposta. Con quale faccia ti presenti qui ed a quest’ora…
Ti giuro Seba, nulla di personale. Ho perso la testa, avrei fatto lo stesso con chiunque.
Ma come cazzo ti è venuto in mente…
Pensavo che ci fosse una manfrina fra te e Maurizio, quel gesuita, non perde occasione per sfottermi…Mi devi perdonare…Ma tu pure…
Senti Pancrazio, mi hai aggredito davanti a numerosi testimoni e mi hai provocato delle serie lesioni, per le quali sono andato in Ospedale e sono stato operato. Se volevo, ti mandavo in galera e ti facevo sganciare una bella somma per il risarcimento, ma io non ho voluto…di questo dovresti essermi grato…
I due si fronteggiavano da una parte all’altra del bancone, il primo con aria contrita, manteneva lo sguardo basso, all’altezza del piano di servizio, verso il quale tendeva le mani, come se avesse voluto appoggiarsi; l’altro invece aveva le braccia penzoloni lungo i fianchi e gli occhi rivolti verso l’alto che guardavano oltre le figura del suo interlocutore, verso la porta d’ingresso e oltre la strada, immobile, con il volto atteggiato ad una strana forma di perplessità.
Perdonami, Seba, se puoi…farò ammenda davanti a tutti e tu pronuncerai la sentenza. Se sarà di assoluzione, ti prometto che in avvenire non succederà più nulla del genere, almeno per parte mia; se invece mi condannerai, mi allontanerò dal circolo e non mi farò più vedere. Giuro però che mi dispiacerà molto.
La pesca del martin pescatore (povero pesciolino) Foto e rammarico di Luciana Del Grande
Nel bar deserto, con le luci soffuse, Sebastiano aveva attenuato l’illuminazione in attesa di chiudere, successe qualcosa di strano.
Il primo ad accorgersene fu Sebastiano, il quale, scese dalla pedana del bancone e si avvicinò alla porta chiusa dl locale adibito a sede del circolo, facendo segno a Pancrazio di fare silenzio, ed avvicinò l’orecchio allo stipite; ascoltò trasecolando e fece segno a Pancrazio di avvicinarsi e fare come lui.
Pancrazio cautamente (non voleva correre il rischio di cadere in una nuova trappola), si avvicinò alla porta ed accostò l’orecchio per origliare. Dall’interno veniva un mormorio di più voci, un chiacchiericcio indistinto e fastidioso. Continuo, insistente, sommesso, come di cospiratori in una loggia segreta che parlassero sottovoce pronunciando formule esoteriche.
C’è qualcuno? Chiese Pancrazio.
No…che io sappia, rispose Sebastiano
Allora apriamo, suggerì il Pancra.
Aspetta, rispose Seba bloccandogli la mano sulla maniglia della porta. Tese di nuovo l’orecchio.
Il mormorio, che si era interrotto per un attimo, riprese con maggior vigore. A Sebastiano sembrava a tratti di riuscire a decifrare qualche parola, mozziconi di frasi, tra bisbigli, sospiri, lamenti.
Mortali…inani…dolenti…pietà…rimorso…umana debolezza…Poteva dire di aver sentito queste parole? O forse la sua mente le aveva immaginate?
Premette sul dorso della mano di Pancrazio e la maniglia si abbassò. Buio e silenzio uscivano dalla fessura della porta, appena scostata. Eppure si avvertivano delle presenze. Qualcuno dietro la porta tratteneva l fiato per nascondere l’affanno del proprio petto.
Fece per aprire di più la porta: quel mistero doveva essere risolto, non poteva essere che avvenisse nel suo bar qualcosa di inesplicabile. Con la poca luce che filtrava dal locale del bar, la stanza appariva vuota, ma man mano che la luce rischiarava l’ambiente, sottraendo spazio alle tenebre, folle di ombre sembravano agitarsi nella stanza, arretrando di converso.
Chi è là? Gridò Sebastiano.
Entrambi sentirono come un frullare di ali, un frusciare di vesti che andarono subito a scomparire. Tutto era in ordine, il tavolo, le sedie, la libreria…il secchio del mocio col manico in alto.
Sul tavolo qualcuno aveva dimenticato qualcosa, un oggetto, un pupazzetto, videro, avvicinandosi. E due tessere con due numeri diversi, 15 e 85. Poteva essere l’esito di una votazione. Si era forse svolto un processo nell’ultima seduta del circolo? E se sì, quale l’oggetto? E come interpretare i due numeri, 15 a favore e 85 contro, o viceversa?
Il mistero si infittiva.
Dopo il fracasso della saracinesca che cadeva giù, Sebastiano sovrappensiero, stese la mano a Pancrazio, che la strinse contento.
Teniamoci per noi quello che abbiamo visto, disse. Per me è come se non fosse successo niente.
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