RESPIRARE e nuotare

Erano in tre nella stanza, lui, Chiara e la voce sconosciuta.

Assorto, di fronte al suo ridotto uditorio, Maurizio meditava pensando le cose più diverse; in tempo di coronavirus, con migliaia di ricoverati in ospedale, che lottavano per la vita con gravi difficoltà respiratoria, non era igienico riunirsi in una stanza a parlare e per questo gli accessi al circolo erano contingentati.

Poi, quando si riebbe, cominciò:

              

                                                                       Foto di Luciana Del Grande

La zia Gina…

Tu sempre con la zia Gina, ma non ti sei stufato? La voce gentile che parlava, appariva dolce, ma annoiata. Più ancora, stanca, come di chi avesse fatto dei turni in ospedale interminabili ed intensissimi. Gli altri due ne ignoravano l’identità.

E’ della vita che dobbiamo parlare, di oggi, di questa contingenza…non ce lo aspettavamo, vero? La zia Gina non potrebbe aiutarci.

Maurizio guardò verso il punto dal quale proveniva la voce

La zia Gina era un concentrato di saggezza antica, quella che proveniva dalla natura; ed inoltre aveva vissuto da piccola l’esperienza di un’altra epidemia, la spagnola a proposito della quale narrava episodi tristissimi. E’ stata per me maestra di vita. Una seconda madre, senza far torto alla prima, che era la più amorevole delle madri, dolce e soccorrevole in ogni occasione. La zia Gina rappresentava la materia, sangue carne ed escrementi di cui siamo fatti, mentre mia madre era una promanazione dello spirito universale, che trascendeva l’amore terreno, per mirare più in alto.

Ma la zia Gina si sporcava le mani. Ebbene, nella sua semplicità, quando uno le chiedeva: di che è morto Tizio? Di che è morto Caio? Per tutti rispondeva è morto per mancanza di fiato. Una verità inconfutabile al pari di quelle di monsieur De La Palisse, che lei non aveva mai sentito nominare.

Maurizio non poteva rassegnarsi al fatto che da parte di molti non si capisse che l’unico modo per arrestare il contagio era eliminare i contatti tra le persone e per questo era indispensabile che ognuno rimanesse quanto più possibile dentro la propria abitazione, abolendo per il momento, ogni forma di socialità.

Lo sapete, sì o no, che si muore sfiatati?

Questo nella sua immediatezza, era il grido di una persona responsabile nei confronti di quanti, di fronte all’inasprimento dell’infezione da coronavirus che mieteva ogni giorno più vittime, si ostinavano a rimanere indifferenti e a non osservare le regole cogenti per il contenimento del contagio.

Vo tutti la conoscete, Roberta è ginecologa e medico di base in un paese della provincia, che all’insorgere della malattia, ha chiuso il proprio studio specialistico, per dedicarsi interamente alla battaglia contro il covid 19. Il suo messaggio è accorato ed inequivocabile. Nessuno pensi che questa infezione sia come una comune influenza. Essa ha piuttosto i caratteri e la virulenza della famigerata Spagnola che nei primi decenni del novecento, decimò le popolazioni di tutto il mondo.

Morire soffocati è il rischio che si corre a non collaborare attivamente a questa campagna di informazione.

I primi a cadere sono gli anziani e i portatori di altre patologie, ma il virus non risparmia nemmeno i giovani, per cui siamo tutti su una stessa barca, o ci salviamo (quasi) tutti o in massa affonderemo e si salverà chi sarà più bravo a nuotare.

Nuotare.

Maurizio ripensò a quante volte in mare aveva fatto lunghe traversate, nuotando come un pesce, respirando a pieni polmoni ad ogni bracciata. Il suo non era uno stile perfetto, ma libero lo era per davvero. Libero di sguazzare in acqua senza alcun timore, nuotare come sapeva fare lui, senza provare mai stanchezza. Aveva imparato da piccolo; i suoi maestri erano stati i pescatori che per scherzo lo buttavano in mare, dicendogli di cavarsela da solo e lo riacchiappavano ogni volta che andava giù. Con questo aveva acquisito una grande acquaticità, che vuol dire considerare l’elemento liquido, come il proprio e capacità di tenersi a galla in ogni circostanza e condizione.

Il trucco per non stancarsi era alternare spesso stile di nuoto e passare dal libero alla rana, al dorso o anche al delfino che era il più faticoso e per questo riservato alle esibizioni.

Sapeva che fondamentale per fare il delfino, come il cetaceo omonimo, era mantenere un giusto equilibrio tra l’energia occorrente per fendere l’acqua e il fabbisogno di aria per respirare, senza andare mai in debito di ossigeno. Perciò procedeva regolarmente, ad ogni spinta in avanti con le braccia, una immersione per espirare e subito dopo una riemersione per respirare. Sapeva fino a quanto poteva spingere e quando invece gli conveniva rallentare.
E’ facile respirare, pensava a voce alta, che neanche ce ne accorgiamo, di stare respirando. Spesso ce ne scordiamo e quel che ci basta, di aria, entra ed esce dai nostri polmoni, in modo automatico, fino a quando non interviene qualche fattore, esterno, o interno, a farcelo ricordare; allora ci soffermiamo un attimo a fare un bel respiro pieno, e la vita, che è sempre attaccata ad un filo sottile, non lo dimentichiamo mai, riprende vigore e le idee si schiariscono.

Quel giorno fu la medusa: mai vista una così infida e malefica; aveva tentacoli filamentosi che si estendevano in acqua per oltre un metro quasi invisibili, che lo avvolsero tutto intorno al torace, producendo sulla sua pelle l’effetto di una scudisciata inferta con un gatto a nove code.

Dio dopo aver creato l’uomo, con la creta inerte, per dargli vita, lo insufflò con il suo respiro ed Adamo aprì gli occhi al mondo. Il flatus divino che ci tiene in vita e ci anima di potenzialità che nemmeno avremmo immaginato.

L’istinto di sopravvivenza, certo, la capacità di trattenere il respiro per il lungo tratto di tempo in cui rimase immerso con la testa sott’acqua, il sangue freddo anche di fronte ad un’ipotesi estrema, che pure si affacciò alla sua mente, quando finalmente riuscì a trarre un respiro, profondo, attento a non ingurgitare acqua dalla trachea per non morire soffocato, scoprì la gran cosa che era respirare.

Voi tutti la conoscete, Roberta è ginecologa e medico di base in un paese della provincia, che all’insorgere della malattia, ha chiuso il proprio studio specialistico, per dedicarsi interamente alla battaglia contro il covid 19. Il suo messaggio è accorato ed inequivocabile. Nessuno pensi che questa infezione sia come una comune influenza. Essa ha piuttosto i caratteri e la virulenza della famigerata Spagnola che nei primi decenni del novecento, decimò le popolazioni di tutto il mondo.

Questa dottoressa, regina del buon seno e del buonumore, ama la vita e il prossimo ed ha la rara capacità di rivolgersi a tutti, anche ai più umili, con espressioni che vanno incontro ai bisogni della gente e si adeguano alle condizioni di ciascuno, senza perdere la loro efficacia, con il ricorso anche, perché no? Ad un po’ di ironia.
Pochi giorni fa, in piena emergenza da coronavirus, così ha sintetizzato le raccomandazioni del SSN in merito al modo di comportarsi da parte degli utenti, nei confronti dei medici di base: “Non entrate dentro al medico, ma telefonatelo.”

Di recente, a me che mi complimentavo con lei per il suo impegno ha risposto:

Capitano, mio capitano, …torneremo al nostro mare e al nostro sole…Torneremo a respirare liberi e vicini,

Non è meraviglioso?

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