LA VANTERIA

Già il fatto di vantarsi di un qualche merito, non è una bella cosa; è una civetteria alla quale ricorrono coloro che non avrebbero molto da vantare, e non quelli, invece, che non hanno bisogno di magnificare alcunché di relativo alla propria persona. Ciò anche nel caso in cui l’oggetto del vanto sia reale e tale da recare lustro. Se poi sussistono dubbi sulla natura di tale oggetto, la cosa diventa esecrabile. Per esempio, sentire Salvini, dichiarare di essere orgoglioso di aver preso, quando rivestiva il ruolo di ministro dell’Interno(!) della Repubblica, alcune decisioni per le quali la magistratura lo ha iscritto nell’albo degli indagati per gravi reati, aggiungendo che sarebbe disposto a farlo ancora, nel caso in cui, per disgrazia della Nazione, glie se ne desse di nuovo l’occasione, sembra proprio di essere di fronte ad una spacconata degna di un gradasso.

La vanteria poi è una versione degradata del vanto, in quanto è caratterizzata dalla qualità della cosa che ne costituisce l’oggetto. Infatti, mentre nel vanto, il merito può anche esserci, nella vanteria, che si definisce come “compiaciuta ostentazione” di meriti inesistenti, è proprio l’oggetto che viene a mancare, o peggio, consiste in cose, come comportamenti, idee, fatti, tali da non costituire merito agli occhi degli altri, ma anzi demerito.

 L'immagine può contenere: cielo, nuvola, montagna, natura e spazio all'aperto
A volte il vento si diverte a strappare  le nuvole e a spargere il cielo ovunque (Foto e pensiero di
                                                                                                         Luciana Del Grande)


Di questo si parlava un giorno allo Zibaldino, in una discussione sorta tra alcuni soci, in merito ad un vezzo abbastanza diffuso tra gli appartenenti a circoli o gruppi che si fregiano di appellativi come “intellettuale”, “culturale” e simili, fra i quali è forte la propensione a ritenere che la semplice appartenenza ad un sodalizio che si richiami a quegli ideali, comporti uno status symbol da esibire pubblicamente, pur nel riserbo di una misurata modestia.

In Italia pochi leggono, stava dicendo Maurizio, o almeno questo è quello che si sente ripetere in giro e in continuazione, come un mantra. Pochi, ma buoni, vorrei aggiungere. A fronte di una massa di persone indifferenti al fascino delle buone letture, abbiamo numerosi gruppuscoli di lettori accaniti, pasdaran della pagina scritta, che ostinatamente ed orgogliosamente si dilettano della pratica costante di mettere il naso tra le pagine di libri, giornali, riviste, ecc., correndo dietro ad idee, sogni, ed illusioni e sentendosi per questo giustamente o no, di livello intellettuale un tantino al di sopra della massa, quel tanto che basta a fare la differenza. Che ne pensate?

I volti perplessi del pubblico esprimevano chiaramente un certo disorientamento per l’argomento, non sapendo dove con quelle affermazioni, si volesse arrivare.

Cominciamo col dire, intervenne Chiara, che siamo tutti un poco narcisisti. Amiamo farci belli di fronte agli occhi degli altri. Siamo vanitosi e crediamo di essere sempre un passettino avanti rispetto a coloro coi quali ci confrontiamo e se scopriamo qualcosa che ci piace, ce ne appropriamo e ci sembra che la nostra scoperta possa essere condivisa, a patto di conservare il privilegio della primogenitura, cioè il merito della scoperta. E se qualcuno, in maniera autonoma, giunge al medesimo nostro risultato, ne siamo gelosi.

Io, quando per merito di Trabucchi, venni a conoscenza di un oscuro portoghese di nome Pessoa, poeta, pensatore e scrittore tra i più rilevanti del novecento, credetti di essere il solo a saperlo e quando sentii altri che lo nominavano, ebbi un moto di rivolta, confessò Ottavio.

A me capitò lo stesso con Solochov, disse Giuliano, avevo appena letto Il Placido Don ed era come se qualcuno volesse portarmelo via.

Nessuno ha letto il Mulino sul Po, allora?

Va bene, si intromise Vittorio, che era la prima volta che parlava, io avevo uno zio, Orlando si chiamava, grande appassionato della musica della Belle Epoque, il quale diceva che Strauss aveva scritto i valzer viennesi appositamente per lui e che alla sua morte desiderava portarseli con sé nella tomba.

Questo è vero, affermò Licio, ma diverso è il caso di chi, con sprezzo del pericolo, si slancia in una lotta impari, novello Don Chisciotte, contro le forze dell’oscurantismo, in nome id una libertà di lettura che non è stata mai negata a nessuno.

Lasciamoli perdere – questa volta è Pancrazio a prendere la parola – questi facinorosi che credono di sapere tutto loro e disprezzano quelli che sono diversamente colti.

Il richiamo a quel modo di alludere all’andicap di cui si può essere portatori, fece sorridere alcuni degli astanti, che si misero bonariamente a prenderlo in giro, lui, poco propenso allo scherzo.

Non dirci che ti proponi per partecipare alle paraolimpiadi della parola del prossimo anno? disse qualcuno e si sentirono degli sghignazzi.

Sono i tipi come voi, rispose indignato Pancrazio, pervicaci e incalliti denigratori di coloro che da soli si sono fatti una cultura, o ingenui catecumeni (leggi zeloti, anacoreti o semplicemente neofiti), all’apparenza disposti a dare la vita per la diffusione del sapere e dell’amore per i libri, che, poi, però, quanto a considerazione per l’altra parte del cielo, quella che secondo voi è formata dai ciechi e dai sordi ad ogni richiamo, ne hanno ben poca, appena quel tanto che equivale a pietà, perché essi, poveretti, non conoscono le esaltanti vette cui sono pervenuti i pronubi, per via di quell’attitudine alla lettura.

Come cazzo parli? gli chiese Giustino, dove hai imparato quelle parole?

Non sai che significa catecumeno o anacoreta? Te lo spiego io: il catecumeno è chi deve essere istruito, chiaro, no? Tu non sai niente e io debbo istruirti; mentre l’anacoreta è il misantropo, ti basta? Sono come il succubo e l’incubo, ma tu non sai neanche questo…valà, valà.

Se vuoi provocarmi, rispose Giustino, allora ne vedrai delle belle. Hai detto “pronubi”. Pronubo è il paraninfo, il mezzano, il ruffiano, in questo caso della cultura e questo saresti tu, ma fammi il piacere.

Ma non potette continuare, perché molti altri si affrettarono a citare autori e libri che avevano letto, dichiarando le proprie preferenze ed esprimendo giudizi su questo e su quello.

Voi tutti sapete, cominciò Maurizio, che Camilleri ha dato al suo eroe più famoso, il Commissario Montalbano, il nome di un grande scrittore spagnolo, che si chiamava Manuel Vasquez Montalban…

Non riuscì ad andare oltre, perché intervenne Alfredo: io ormai non leggo più niente. Leggo solamente i libri di Montalban che hanno come protagonista Pete Carvalho. Subito un altro: Io preferisco Simenon con Megret, e, ancora , a me piacciono i Delitti della via Morgue e leggerei solo Edgard Allan Poe. Altri citarono chi Melville, chi Lovercroft e decine di altri autori e libri, alla rinfusa, ognuno aveva un suo beniamino, Faulkner, Mutis, Foster Wallace, Bolano, Modano, Monroe, e vattelappesca quanti altri.

Non siamo ad una gara, disse alzando la voce Maurizio. Per favore fate silenzio Ha ragione Chiara: siamo tutti vanagloriosi e nessuno vuole rimanere indietro.

Siamo tutti come quello che torna da un lungo viaggio e deve mostrare a tutti le foto delle cose che solo lui ha visto o fatto: è il caso del cacciatore col fucile a tracolla, che poggia lo stivale sulla carcassa della preda abbattuta nel recente safari. Immagine truculenta, specie in questa fase evolutiva della società che condanna le violenze perpetrate contro gli animali.

Così sarei io, vero? E’ questo che pensate? Chiese fuori di sé, Pancrazio.

Senza tener conto dell’interruzione, Maurizio seguitò a parlare. Guardate, stiamo facendo proprio come quel cacciatore. Tutti smaniosi di esibire l’ultima preda. Questa è vanteria, ragazzi. Notate il parallelismo tra il cacciatore di leoni nella savana e il cacciatore di libri rari, tra i quali, uno dei meno noti può essere per alcuni La Coscienza di Zeno.

Entra in quella un avventore che si ferma ad ascoltare la discussione e pensa subito di poter intervenire.

Io sto per finire La Recherche…dice con aria trasognata, come ll Barone di Charlus, la cui immagine era nei suoi occhi, (immaginate il cacciatore con la sahariana che dicesse: sto tornado dall’Africa, pensa Maurizio), l’intruso, con nonchalance lascia passare qualche secondo… un’opera immensa, pensate sette volumi fitti fitti (egli non ci tiene a far risaltare l’immensità della propria impresa, pur sapendo che molti stupiranno nell’apprenderla e moriranno di invidia)…certo che mi mancherà non poco il grande Marcel Proust…( il famoso mal d’Africa, di cui tanto si parlava ai tempi di Hemingway, nel pensiero di Maurizio); sa già, cioè, che sentirà la nostalgia per un bene che non ha ancora perso. Proust imbalsamato, come la testa del leone, da appendere come trofeo sullo stipite della porta. Poverino, come farà?

Magari leggerla un’altra volta, no? Suggerisce Paolo, tanto per non sentire la mancanza.

Ormai la cosa volgeva in gazzarra.

Nel silenzio generale, si levò una voce che cominciò a declamare in modo soave:

I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino, di mezzo maggio in un verde giardino. (Angelo Poliziano).

Propongo un ritorno alle origini, amici, alla fonte originaria e primaria, dalla quale tutti abbiamo da attingere per apprendere e non per esibire.

Breve sospensione, prima di riprendere, con diverso e più forte tono di voce:

S’io fossi Cecco come sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre
le vecchie e laide lasserei altrui. (Cecco Angiolieri, appartenente all’Ordine dei Frati Gaudenti…avete sentito bene? Frati Gaudenti; ma non era ancora il Medioevo? E non ci avevano detto che quelli erano tempi bui? Allora viva l’allegria!).

Ancora un attimo di silenzio. Poi:

Pancrazio, perché non ci parli del Dolce Stil Novo e della Poesia Giocosa?

Maurizio chiese questo e sul suo volto non un muscolo tradiva alcuna emozione.

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