DI QUALCOSA SI DEVE MORIRE

Figurati se non lo so! Sbotta Pancrazio all’affermazione (di Maurizio?). Non ci dobbiamo preoccupare del coronavirus perché tanto di qualcosa si deve pur morire.

Galimberti afferma – dice Chiara – che non moriamo perché ci ammaliamo, ma ci ammaliamo perché dobbiamo morire. Questo può valere per gli anziani, che sono vicini all’età in cui di solito si muore; ma non per i giovani, i quali, per quale motivo dovrebbero morire?

La zia Gina, con il suo solito parlare sentenzioso, dichiara solennemente:

La mort’ vo’ la scus’. Ogni motivo è buono. Sottinteso, quindi bisogna fare in modo da non dargliene. Qualunque sia l’età.

La vera perla di saggezza arriva da Valter, col suo
  
N’ hè tant’ lu murì, quant’’ lu mal’ campà!




L'immagine può contenere: persone in piedi, cielo e spazio all'aperto




Che poi sarebbe – affermava il nostro amico – un raro esempio di sintesi illuminante di un principio filosofico corrispondente a quello degli scettici di Epicuro.

Beh…diciamo che ci trovo un chiaro parallelismo, precisa Valter. Comunque la zia Gina non si batte.

Pancrazio insiste Meno male che erano tutti vecchi e già con un piede nella fossa.

Chi? Gli chiede Maurizio.

Quelli che sono morti col coronavirus.

Innanzi tutto bisogna distinguere, interviene Chiara, quelli che sono morti “di” coronavirus, da quelli che invece sono morti “col” corona virus.

Perché, che differenza fa? Chiede Pancrazio.

Le vere vittime del covid 19 sono solo i morti “di” coronavirus. Mentre gli altri, pur avendo contratto il contagio, sono morti per altri motivi, perché erano già gravemente malati. Chiara.

Questa è una stupidaggine, afferma Pancrazio. Metti uno malato di cancro, in fase terminale. Mica sappiamo se muore oggi o fra tre mesi. Se viene contagiato dal virus e muore domani, come facciamo a dire se è morto “di” o “con”? Può darsi benissimo che il virus abbia accelerato la morte.

Senza contare che alcune volte, capita, purtroppo, come dicevate prima, che il malato terminale sia giovane, conviene Chiara, anche in questo caso la distinzione non ha senso.

Giusto, interviene Ottavio, qui si parla di anziani come fossero dei numeri o dei bussolotti. Tot morti, di cui però più delle metà erano anziani con la salute già compromessa. Quindi la perdita pesa di meno. Forse addirittura ha fatto un piacere.

Adesso qualcosa si muove sotto questo punto di vista. Qualcuno ha cominciato a far notare che non è proprio una buona cosa ragionare così. E’ una specie di razzismo. Ricordate la storiella di quello che diceva sono venuti ed hanno preso gli ebrei, non sono ebreo e non ho detto niente, poi sono venuti ed hanno preso i gay, non sono gay ed ho lasciato perdere,poi i neri, gli zingari, gli handicappati ed ugualmente non ho parlato, perché il prolema non mi toccava. Poi un giorno sono venuti ed hanno preso me. Che ci fosse stato uno a difendermi!

Qui hanno cominciato con gli anziani ultraottantenni, poi hanno abbassato l’asticella, over 70. Ora quelli che hanno più di 65 anni non possono uscire di casa. Ma siamo pazzi?

Meno male che Mentana, l’altra sera, stigmatizzando questo modo di parlare in TV, ha detto con la massima serietà che gli anziani, tutti da una certa data in su, sono persone, tali e quali a noi.

Avete bisogno di una conferma?

Ecco Licio che, per concludere, afferma: anch’io, avendo superato una certa età, pur dicendo a volte che vorrei abbandonare sta umanità, non ho fretta di andarmene

E allora, di che parliamo? E’ vero che di qualcosa bisogna morire, ma, come diceva Eduardo? E’ morto Pascale? E di che è morto. E’ morto di morte. Non poteva essere altrimenti.

Il mio amico Pinuccio, invece, morto a novant’anni, in perfetta salute, per quanto possibile, anche mentale, fino a poco prima di morire, diceva: io voglio morire VIVO.

E Falasca, allora, ma in quella occasione si trattava di terremoto e si parlava di scappare: vui murì dentr’ a lu lett’ a mì. E non si mosse. Per la cronaca, fu risparmiato.

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