MANUTENGOLO - MANIGOLDO

Maurizio era in vena di fare quattro chiacchiere, con il suo uditorio, in piena libertà, così, tanto per passare il tempo, senza rinunciare, come era sua abitudine, a sottolineare le cose interessanti che potessero uscir fuori dai vari discorsi, con opportune precisazioni, per il piacere della scoperta, come direbbe Alberto Angela, ma senza correre il rischio di cadere nella pedanteria.

Voi dite Pancrazio, stava appunto dicendo, riferendosi agli ultimi avvenimenti, ma io vi confesso che preferisco Pancrazio, che è genuino e spontaneo, anche se a volte si comporta in modo rozzo e villano, a tanti manutengoli che sotto sotto tengono bordone a personaggi di scarsa o dubbia rilevanza.

 E cheddè, un manutengolo? Chiese Cocilovo che da poco si era unito al gruppo.

La storia del manutengolo è piuttosto antica, si dispose di buona volontà a spiegare Maurizio, e prende le mosse da una tenera immagine: un adulto, madre, padre o nonno che sia, il quale cammina, tenendo per mano un bambino. Manutenere, era il verbo che i latini usavano per dire appunto condurre tenendo per mano.

Poi, col passar del tempo, il significato di questa parola si è modificato spostandosi gradualmente da quello ampiamente positivo delle origini, in uno via via sempre più adatto a descrivere situazioni meno edificanti, fino a dare il peggio di sé. Così abbiamo l’incapace che deve essere guidato per mano anche nella effettuazione di operazioni semplici, come pure e questo è il senso comune di oggi, il furbastro che tiene per mano, o meglio dà una mano al delinquente, nel compimento di un’azione illecita, senza apparire personalmente. Oggi ricadrebbe sotto il reato di concorso o favoreggiamento di attività illegali. Tipico l’esempio del notabile che partecipa coprendole alle azioni delittuose di organizzazioni di tipo mafioso.

Ma anche il soggetto che in questo rapporto è tenuto per mano, può a mio parere rientrare nella fattispecie del manutengolo, l’affiliato, la guardia del corpo, lo sgherro del potente, cioè colui che anziché agire nell’ombra a favore del capo, agisce in prima persona, agli ordini del capo.

Vi piace parlare o sentir parlare di queste cose? Chiese Maurizio ad un tratto. Al cenno assertivo che provenne da diversi visi a lui rivolti, il compiaciuto maestro continuò.

Allora facciamo alcune considerazioni a proposito di una parola quasi simile al manutengolo, ma che con essa non ha niente a che fare, che è manigoldo.

Il manigoldo, oggi è quasi un malfattore da burletta. Nessuno direbbe, per esempio, che un uomo che ha commesso un femminicidio, sia un manigoldo. Piuttosto lo direbbe per qualificare un ladro di polli.



E’ singolare comunque che siamo sempre in un campo di competenza del codice penale. Ancor di più lo è il fatto che di questa seconda parola l’etimo sia incerto, più di quanto fosse certo nella prima. Ma, indipendentemente da questa particolarità, è nella evoluzione del significato della parola manigoldo attraverso i secoli, che si nota il maggior distacco dall’altra.

Il significato originario di manigoldo era nientemeno che quello di boia, addetto alle esecuzioni capitali. Persa questa connotazione ne prese un’altra che era di poco meno orrenda, quella di assassino, per giungere all’attuale di mascalzoncello. Tutt’al più oggi si direbbe con espressione popolare, un gran figlio di puttana. Avete presente il tipo che in auto espone un tesserino di inabile falso, perché magari relativo alla nonna che non esce di casa da dieci anni, per fregare il posto al parcheggio, agli invalidi veri?

Mentre il manutengolo nasce innocente e finisce nel malaffare, con un progressivo peggioramento della sua carica semantica, nella parola manigoldo, avviene il contrario: il senso che all’origine era truce, si stempera in un successivo ammorbidimento che, se non porta ad un completo superamento del suo senso negativo, ne toglie l’odiosità, con l’aggiunta di una venatura quasi ironica. Il manigoldo, infatti è il malfattore di mezza tacca, un po’ gaglioffo, un po’ balordo, rappresenta il prototipo del furbetto all’italiana, come il vigile in mutande che va a timbrare il cartellino in ufficio per sé e per altri, che un po’ ti fa incazzare, un po’ sorridere.

Ma come ca…volo abbiamo fatto a ridurci a questo punto?

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