IL RITORNO

Ho chiesto a De Albentiis, (ricordi Vittorio, era il nome del proprietario della casa di via Trento e Trieste, tante volte sentito nominare da nostra madre e mai visto, un autentico fantasma), di darmi le chiavi di quella casa, nelle condizioni in cui era allora, quando c’eravamo noi ad abitarla e, lo crederesti? Egli non ha avuto difficoltà a corrispondere al mio desiderio.

Tu mi hai raccontato una volta di esserti recato colà e di aver chiesto a dei nuovi occupanti, di poter rivedere i luoghi della nostra infanzia e prima giovinezza e di essere rimasto deluso, in quanto gli ambienti erano stati tutti modificati e adattati addirittura ad uso uffici, un insulto ai nostri ricordi. Ed il giardinetto abbandonato, era uno squallido sterpaio, l’albero di fico abbattuto.

Foto di Luciana Del Grande

Io invece, avrò adesso la possibilità di rientrare nella nostra casa, come era e così come eravamo noi, la nostra famiglia, nostra madre, nostro padre, la zia Gina, Rita, Myriam, Maria Gabriella, tu ed io. Se non erro, in quel periodo era con noi anche Elisa, la ragazza che ci aiutava nelle faccende di casa.

Sto un po’ mistificando; ricordo benissimo che c’era ed anzi, in anteprima ho rivisto lei, che all’epoca era una procace giovinetta e noi, due precoci mascalzoncelli, assetati di morbose curiosità, che nei momenti di calma e di “innocente” intimità, cercavamo di soddisfare con la complicità di lei, che fino ad un certo punto, come un gioco, acconsentiva alle nostre richieste, salvo a fermarsi sul più bello, lasciandoci con i sensi accesi e la mente in subbuglio.

Elisa è una ragazza di campagna; venuta in città, e giustamente desiderosa di godere dei piaceri che essa offre. E’ domenica, lei chiede di poter andare al cinema, che vai a vedere le chiede la zia Gina, Se Goderesti in fiamme, risponde la ragazza con le guance arrossate. Il titolo del film è Odessa in fiamme. Che puzza penn’, la risposta della zia, te la passo io la goduria, brutta svergognata.

Ma ora procediamo con ordine. La chiave che mi è stata data mi sembra proprio quella che ho portato in tasca per diciotto anni. Dirai come fai a dirlo? Una chiave è sempre e solo una chiave, non ha personalità…eppure…Nella toppa scorre che è una bellezza. Doppio giro e clic! La porta si apre.

Subito davanti il pavimento, quella graniglia col riquadro scuro a forma di T, che girava tondo tondo e la finestra che dava sull’orto di…aiutami, si chiamava Massignà? A sinistra il corridoio che portava al lato giorno; a destra la porta della camera da pranzo, di passaggio per l’ala notte.

Procedendo verso sinistra, a destra la porta del gabinetto, a sinistra la “cameretta”, dietro la caldaia del termosifone a carbon cocke, sempre spento. Un posto magico, dove nascondersi, dove a Natale papà sta apparecchiando il Presepe e dove c’è la libreria di nostro padre, per me la via di fuga per un altro mondo. Più avanti, a destra, la porta vetrina dell’ampio soggiorno, la finestra aperta sul giardinetto, raggiungibile saltando i quattro gradini. Il fico, di lato a sinistra è rigoglioso. Merita una visita: è mio coetaneo e siamo stati spesso insieme, io nell’incavo dei due rami principali, tra le sue fronde. In fondo la porticina che si apriva sulla ruva dei misteri. D’estate ero io a cogliere i fichi per tutti, anche a colazione, sul pane erano buonissimi.

Intorno al grande tavolo, con a fianco l’etagèr dove teniamo i libri di scuola, trovo Rita alle prese con i Promessi Sposi e Myriam, con i favolosi capelli a boccoli, che mi chiede la spiegazione per una pagina di letteratura greca che non riesce ad inquadrare. La leggo e, pur capendone ben poco, le improvviso una interpretazione fantasiosa, che subito la soddisfa e la fa ripartire. Sono contento. Maria Gabriella, la piccola, è autonoma e procede da sola, usa già il quaderno coi quadretti piccoli, della quinta. Tu sei alle mie spalle e mi segui passo passo. E’ arrivato l’uomo nuovo dalle idee nuove è il tuo motto per me e io ne vado orgoglioso.

Te l’ho detto? De Albentiis mi ha detto di non soffermarmi molto a rimembrare, perché a mezzanotte, se non avevo richiuso la porta a chiave, l’incantesimo sarebbe finito portandomi via con sé. Manco fossi Cenerentola.

Io quasi mi fermo e faccio passare la mezzanotte. Ma poi, da solo, che farei? E dovrei rinnegare tutto quello che è successo dopo? Disconoscere la mia vita? No, non è possibile. Ma per mezzanotte c’è tempo: sono le 12. Proverò a rivivere tutto quello che qui è stato nell’arco di queste poche ore.

Dal soggiorno si passa alla cucina: Finestra sull’orto citato. Tavolo, sedie, camino e fornacelle. Zia Gina alle prese col fuoco da accendere, con la ventola di cartone alimenta la fiammella che avvolge i primi carboni. A destra la madia “lu cascion” con ogni sorta di ben di Dio, compreso una pacca di lardo di maiale, da grattare col coltello per spalmare sul pane con un chicco di sale. Una bontà. E la pizza di pecorino stagionato per la minestra e gli spaghetti (cazz, li maccarun lung! Citazione di zia Gina, Città Sant’’Angelo). Bacù, Il gatto di casa, ha da poco sottratto una bistecca momentaneamente sfuggita al controllo della zia ed è fuggito di corsa nel giardino di Massignà, per mangiarsela, mentre la zia Gina si dispera Che sci ciss brutto gattaccio, se ti prendo ti ammazzo.

Nella camera da pranzo è situata anche la mia scrivania da liceale, a fianco, aperta all’aria della bella giornata, la terza finestra di casa che dà sull’orto di Massignà, (la quarta è nel bagno). Un luogo fresco e silenzioso. Siedo al mio scrittoio. Davanti ho la porta che dà sul corridoio lato giorno, pieno di vita durante le ore di luce, d fianco a sinistra, la porta che si apre sul lato notte, silente di giorno e col buio.

Sono nel mio regno: il ventre del Nautilus ed io sono il capitano Nemo. I sogni il mio rifugio.

Non so per quale motivo, entrare nello stretto corridoio che porta alle due camere da letto, buio o poco illuminato, luogo segreto per eccellenza, mi procura un senso di angoscia. Vedo come noi abbiamo lasciato le camere, quando siamo usciti la mattina e la zia Gina è rimasta sola, non ha ancora cominciato a riordinare, le porte sono oscenamente aperte e i letti un campo di battaglia. Dopo il passaggio delle sue mani riparatrici, le porte saranno chiuse e le camere, due santuari, dove si entra in punta di piedi.

E’ la notte del Venerdì Santo, appena prima dell’alba, le luci delle candele precedono di poco l’aurora. Dal letto, svegliato dal rumore insolito che centinaia di piedi fanno camminando sulla via lastricata e dalle luci tremolanti delle candele, nonché dal canto sommesso, lento, solenne, di molta gente in processione dietro la bara di Cristo morto, mi commuovo ingenuamente a vedere mia madre, in vestaglia, affacciata alla finestra aperta, farsi il segno della croce, mentre a filo del balcone, più o meno all’altezza dei suoi piedi, sfila oscillando la testa della Madonna Addolorata, adorna della sua corona regale, con gli occhi lucidi di pianto che le inonda il bel viso. Ora è Pasqua e il mio cuore è ancora aperto ai buoni sentimenti, sono ancora capace di soffrire per la gioia di un momento così.

Ma solo ora mi rendo conto che la mezzanotte è passata da un pezzo, corro alla porta d’ingresso e la trovo chiusa con una doppia mandata, ma dall’interno. Che sarà ora di me?

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