TOCCARE

“Nessuno tocchi Caino” disse enfaticamente Maurizio, rivolgendosi ad un pubblico come al solito numeroso (quattro persone) e attento (di quattro uno mangiava un panino, un altro leggeva un giornale e gli altri due erano seraficamente addormentati).

Per la verità questo è quello che si deduce dal discorso di Dio (Genesi 4.1-15), che all’obiezione di Caino, maledetto per aver ucciso il fratello, “girerò ramingo e chiunque mi potrà uccidere”, risponde che così non sarà, in quanto lui gli appone un segno che lo proteggerà da chiunque volesse colpirlo.

Dunque il tema di oggi è “toccare”. Toccare come? Il senso della Bibbia esclude che si possa ”toccare”, nel senso di “fare del male, punire” Caino, il fratricida, nonostante la sua maledizione. Il perché di questo divieto è materia per i teologi. Io mi limito a citarlo, per introdurre il tema della estrema versatilità di questo verbo.

Per tutto quanto dirò in questa conversazione, farò riferimento ad uno scritto che ho trovato, intitolato appunto “Toccare” di autore ignoto, riemerso tra i rifiuti dimenticati di FaceBook, dell’anno 2016, per la ricorrenza della data della sua prima pubblicazione, unica cosa certa di esso, risalente al 17 d dicembre di quell’anno. L’ho letto ed ho pensato di trarne lo spunto per una chiacchierata tra di noi, alla buona, come facciamo sempre.

Il post inizia con una constatazione non proprio geniale:

“Toccare è un verbo di origine onomatopeica (tòc- tòc!), che assume nella lingua italiana una molteplicità di usi e di significati, il più comune e pertinente dei quali descrive l'azione propria di un contatto fisico, mediante una mano, o altra parte del corpo, fra due persone o cose. E' quindi il prodotto dell’esercizio di uno dei sensi, il tatto, attraverso il quale facciamo una esperienza abbastanza significativa”.

“Abbastanza significativa” dice il testo. Ma di che stiamo parlando? Del sesso degli angeli?” disse, facendo seguire, per dare maggior forza alla frase, un sonoro colpo a mano aperta sul ripiano del tavolo, che fece sobbalzare i due dormienti, senza tuttavia svegliarli. “Abbastanza”, vuol dire non aver capito l’importanza di quello di cui si sta parlando.”

Avete presente quel dipinto di Michelangelo, del dito di Dio che tocca il dito di Adamo, atto col quale l’artista ha voluto magnificare la Creazione dell’uomo da parte del supremo ‘facitore’, che si trova sulla volta della Cappella Sistina, presso i Musei del Vaticano, nel quale vi è tutta la potenza di questo verbo sublime?

Senza avvertire la grandiosità di questo gesto del toccare, l’autore dello scritto, passa ad esaminare il termine da n punto di vista, diciamo così, tecnico. Egli cita, a mo’ di esempio, due modi diversi di toccare, uguali nel modo (uso della mano), diversi nell’intento del toccatore, sollecitatorio il primo, malizioso il secondo:

'Gli toccò una spalla per ricordargli che toccava a lui giocare' ; 'le toccò il sedere per scherzo e si beccò una sberla”.

Toccare, insiste lo scrittore, serve anche ad indicare una serie di situazioni in cui l'azione fisica è solo virtuale, o fa parte di un modo di dire figurativo che serve solo a dare l'idea di un contatto che non c'è. ('Ha toccato il cielo con un dito' o ' è stato toccato dalla fortuna', o, diversamente, 'gli è toccata una disgrazia, che non ci voleva').

A volte sembra che la finzione si collochi a metà strada, tra il fisico ed il virtuale; l'azione c'è, o quanto meno potrebbe esserci, ma non è comunque attuale: "Quella donna non è stata mia toccata da mano di uomo in vita sua".

Poi si dilunga in una disquisizione con la quale cerca di giustificare l’uso del 'figurativo' al posto del 'figurato', fatto, dice, per sottolineare che, più che servirsi di una figura preconfezionata, statica, per esprimere il senso di quello che si vuole dire, gli idiotismi che comprendono il verbo toccare, 'creano' figure in movimento, attraverso cui veicolare il senso del discorso. Vedi l'efficacia di una affermazione sprezzante come quella che si rileva in "le tue insinuazioni non mi toccano né punto, né poco".

E seguono altre indicazioni: altre volte il verbo in esame è usato per indicare l'avvicendarsi di un turno, come in "Adesso tocca a noi", o "a chi tocca dare le carte?"

E ve n'è per tutti i gusti: 'tocca fare tutto a lui', passando per 'a chi tocca tocca', o 'non gli toccate questo tasto, perché diventa una furia'

Ancora : 'mi tocca lavorare per vivere'. 'Gli è toccato di svolgere un lavoro improbo', 'basta toccarlo perché cada', 'non si tocca il nervo scoperto!', 'toccata e fuga'. 'quanto credi che ti tocchi?' (nel senso di 'spettare'), 'un tocco al cuore'. 'Ci tocca morire' (è il destino). 'era tutto un tocca-tocca' (forse un'ammucchiata). 'gli è preso un tocco' (un accidente), 'al tocco tutti a casa!', ‘ma cosa ci è toccato di vedere!', 'nella vita tocca anche affrontare situazioni di grave pericolo', 'non tocca cibo da tre giorni, 'con tutto quello che gli è toccato nella vita'!.

E non basta: "quando finalmente l'aereo toccò terra, rollando sulla pista, l'autobotte dei vigili del fuoco e varie ambulanze si disposero intorno per prestare i primi soccorsi".

"Credeva di avere toccato il fondo, ma si rese conto che l'abisso di vergogna nel quale era caduto, non aveva fondo".

Tra tutti i tocchi e ritocchi, (qui mi tocca citare Totò il grande), quello che esprime il maggior senso è ‘toccare con mano’. Una banalità, vero? Cosa c’è di tanto significativo? Non l’abbiamo già detto che la mano, l’organo del tatto per eccellenza, è quella che più usiamo per toccare? E’ che qui si parla di toccare la verità.

Tommaso, uno dei dodici apostoli, chiamato Didimo (lo sapevate?), che non era presente quando Gesù risorto si presentò agli apostoli recando i segni della crocifissione, non volle credere al racconto che questi gli fecero del fatto miracoloso, e disse che avrebbe creduto solo dopo aver toccato con mano le piaghe del costato ed aver messo il dito nei buchi lasciati dai chiodi nelle mani di Gesù (Gv. 20-24).

Non è solo questione di verità, qui si tratta di un atteggiamento fondamentale della natura umana: toccare per credere. Solo il contato fisico ci dà la certezza dell’esistenza delle cose.”

Tanto si stava infervorando l’amico Maurizio che anche quello del pubblico, che stava leggendo il giornale, e che fino ad allora non aveva prestato attenzione a quanto veniva detto, si arrestò e trasse fuori il capo dal foglio del quotidiano che aveva davanti, per guardare, sbalordito, l’uomo solo al tavolino, che concionava tanto da disturbare la sua lettura. L’altro, quello del panino, avendo finito di mangiare da un pezzo, si era appoggiato alla spalliera della sedia e si gustava una sana digestione.

“Ma l'espressione più bella, a parer mio”, disse ancora con un tono che a questo punto si andava affievolendo, Maurizio, è "toccare le corde del cuore di qualcuno": Padre Crisforo, se non erro, toccò le corde del cuore di Don Rodrigo, inducendolo ad un pentimento che, per quanto tardivo, forse non fu inutile ai fini della sua salvezza (se il pentimento è sincero, anche all'ultimo momento è possibile trovare misericordia, secondo l'insegnamento cristiano).

Mi tocca (cioè mi piace) concludere con un sinonimo molto affascinante: 'rasentare' , che è anch'esso un modo di toccare, sfiorando (altro sinonimo) la superficie di qualcosa, ad es. "Virgilio passò rasentando il muro di cinta e scomparve oltre la staccionata". "Era così agitato che rasentava la follia".

Con rasentare si può anche pensare a qualcosa di speciale, es. rasentare l'assurdo. L'assurdo è il profondo abisso di ciò che non è logico, razionale, eppure attrae, come un vuoto (horror vacui) ; la dimostrazione per assurdo è essa stessa un'assurdità: ti dimostro che una cosa è logica, attraverso la rappresentazione del suo contrario, che è assolutamente illogico, cioè assurdo.”

“E poi c’è il “touch”, disse Achille appena aprì gli occhi. Si era svegliato da un po’, ma la voce suadente che udiva gli arrivava ancora come in sogno, l’immenso campo del digitale, oggi tutto è “touch’’, cioè si tocca.

“Anche pomiciare è un sinonimo di toccare”. Sulla soglia della porta di comunicazione col bar era comparso, non visto, Pancrazio, che, entrando, salutò così i suoi amici. “Ben lo sai, caro Maurizio, ma non lo dici, perché sei un puritano. Ciao, ragazzi. Fate attenzione quando uscite: nel bar stanno facendo lavori di adeguamento dell’impianto elettrico e sulla porta hanno messo il cartello “Chi tocca i fili muore”.

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