ONIRICO

“Avete fatto bei sogni?” chiese Maurizio al suo, come al solito, affollato uditorio (oggi poi, S. Stefano, il giorno dopo Natale, erano solo tre non del tutto svegli).
“io ho fatto sogni pazzi” annunciò Licio. “Ma non ricordo quasi niente”.
Pancrazio taceva e sembrava poco interessato all’argomento.

“Che sono i sogni?”, chiese infine un po' immusonito.
“Sono il prodotto di una seconda vita che noi conduciamo, senza rendercene conto, contemporaneamente alla prima, che è quella cosciente. Noi viviamo, nello stesso tempo, due realtà, una è quella nella quale ci avvolgiamo nel periodo della veglia, l’altra ci appare a tratti nel sonno sotto forma di sogni che non sappiamo da dove vengano. Vi è un momento, che è quello che precede l’immediata caduta nel sonno, in cui conserviamo ancora la coscienza, sebbene affievolita della realtà che ci circonda, e già si presentano in contemporanea, visioni dell’altro mondo, quello onirico, che poi prendono il sopravvento, via via che il sonno si impossessa di noi. I sogni sono delle porte che si aprono e noi, una volta varcata la soglia, siamo nell’altra metà della nostra natura, quella che ci vede sprovvisti di mezzi per organizzare la nostra vita onirica, la quale si fa avanti autonomamente.

A volte i sogni anticipano fatti ed avvenimenti che nella vita reale non sono ancora avvenuti, ma avverranno, altre volte accade il contrario, i sogni ci riportano indietro nel tempo, a farci rivivere sensazioni che abbiamo già provato in questa vita. Il più delle volte, però, sono svincolati da ogni riferimento e appaiono enigmatici ed incomprensibili.”

Maurizio con voce tranquilla ripeteva queste affermazioni, che sapeva essere nient’altro che banalità da quattro soldi e sperava nell’intervento di qualcun altro, per alzare un po’ il livello della conversazione.

“Oniro era per i greci, il dio del sonno”, disse inaspettatamente Licio “ed era figlio del Sonno e della Notte.”
“E’ vero” interloquì Chiara, fresca fresca appena giunta da fuori, con un bel sorriso sulle labbra. “Aveva come assistenti alcuni Dei minori, dei quali Morfeo ed il principale e poi venivano Fantaso e Fobetore.”
“Morfeo, Morfeo era un Dio del sonno.” Maurizio si riprese come da un sonno. “Lo sapeva anche la zia Gina, che nella sua semplicità non conosceva i limiti della propria sapienza. Per descrivere una persona addormentata diceva appunto “ ha cascat' tra li vracc’ d’ Murfé”.”
“Sembra che fosse anche un bel giovane”, riprese Chiara dopo aver raggiunto il centro della stanza ed indugiato un attimo ad osservare i volti dei presenti, “ dicono anche che di solito indossasse un abito di colore bianco di giorno e nero di notte, chissà, forse per passare inosservato, ma a chi? Mi chiedo. Agli altri Dei, probabilmente, visto che agli uomini non era dato di norma di vedere gli Dei in azione.”
“Omero però era di diverso avviso” disse una voce proveniente dalla porta che comunicava con il bar. Ottavio apparve sulla soglia con la tazzina del caffè ancora in mano, “Egli afferma invece che Oniro era uno spiritello alato, che faceva la spola tra l’Olimpo e la terra, per portare agli uomini nel sonno consigli ed ammonimenti da parte del Dei.”

In quel momento si sentì la saracinesca del bar che si chiudeva fragorosamente. Gli accoliti nella saletta si allarmarono all’unisono, che stava succedendo? Sebastiano li stava chiudendo dentro?

“Ho chiuso” disse Sebastiano, entrando “per non essere disturbato. Il vostro discorso è molto interessante ed io vorrei dire qualcosa.”
“Prego Sebastiano, vuoi venire qui? Ti cedo il mio posto.”
“No, no, non serve. Sapete dove abito, no? Ebbene, nella stessa costruzione, sullo stesso pianerottolo di casa mia, c’ è lo studio di uno psicanalista...”
“Ah, i sindacalisti sono i peggiori coinquilini” disse Pancrazio, ammiccando sotto i baffi,” lo so ben io che ho una sindacalista della CGIL proprio a fianco: di giorno e di notte non fa altro che sbraitare contro il libro dei sogni del governo”. ‘Ecco, pensò Maurizio, subito allertato, questo buffone si vuole fare bello, ma questa volta lo frego io.’
“Stai zitto, bastardo”, sibilò Licio, lascialo parlare.
“Come ti permetti?” si intromise Maurizio, “tocca a me mantenere l’ordine. Prego Sebastiano raccontaci di questo psicanalista.”
“Si chiama Sigismondo, è un amico. A volte, quando la porta dello studio è aperta, e nella sala d’attesa non c’è nessuno, mi diverto a sentire quello che dice ai suoi pazienti quando parla a voce alta e spiega certe cose. L’altra sera parlava ad alcuni clienti riuniti insieme, del “lavoro Onirico” e allora mi sono soffermato a sentire.
“Il lavoro onirico consiste in una serie di fattori che fanno sì che i nostri sogni divengano intelligibili. Se ho capito bene, questi sogni, per come ci appaiono sarebbero del tutto incomprensibili e anche sconvolgenti. Ma c’è qualcosa, una specie di filtro, che serve a ripulirli e addolcirli per renderli più digeribili dalla nostra coscienza.

Nella nostra vita da svegli, noi abbiamo i freni inibitori che ci fanno fermare di fronte a cose che la nostra coscienza non approva. Ciò non accade nei sogni, che sono svincolati da ogni controllo, in cui è possibile che desideri non realizzati o pulsioni inconfessabili, vengano a galla e pretendano di essere soddisfatti. Ecco allora che intervengono questi fattori onirici, che tendono a districare in qualche modo la matassa, rendendoci manifesti questi fenomeni in forme che siano più digeribili dalla nostra coscienza”.

“Dici al tuo sindacalista che ha scoperto l’acqua calda” esclamò Pancrazio “Sigfridde Froide l’ha scoperto da più di un secolo. Ora è roba che sanno anche i bambini”.
“Freud aveva individuato tre passaggi nel c.d. lavoro onirico”. riprende la voce suadente di Chiara che si interpose tra l’insolenza di Pancrazio e la imminente reazione di Sebastiano, che così si calmò e rimase zitto, “i tre passaggi sono: la condensazione spazio-temporale, lo spostamento da un oggetto onirico ad un altro e la rappresentabilità. Tutti e tre formano l’intero processo, in cui, i primi due passaggi servono a confezionare il pacchetto, diciamo così del sogno che altrimenti sarebbe inaccettabile, con lo scopo proprio di rendere rappresentabile e quindi più accettabile, in modo palese, quello che prima era l’espressione di un desiderio nascosto”.
“Quindi, caro Pancrazio…” iniziò a dire Maurizio, girando lo sguardo intorno in cerca di Pancrazio che non era più al suo posto. “Dov’è Pancrazio? Chiese, non trovandolo.
“E’ andato via poco fa, appena detta l’ultima battuta e sembrava il protagonista di una commedia appena conclusa.
“Allora caliamo il sipario” disse ancora Maurizio.
“E riapriamo la saracinesca, ché io soffro di claustrofobia” fu la richiesta che venne dall'inquieta assemblea. A parlare era stata Silvana, rossa in volto ed incazzata come spesso accadeva.
“Sebastiano, se ti serve una mano al bar, rimango io” aggiunse però, conciliante.

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