LA DISCENDENZA 8

Non credo di millantare alcun credito se dico che io nella mia vita ho avuto la fortuna di godere, non per meriti miei, ma per bontà loro, della stima e della simpatia di tutti questi parenti di cui sto parlando, in particolar modo le zie e gli zii, i quali mi hanno riconosciuto qualità senz’altro superiori a quelle da me possedute. A cominciare dalla zia Gina, la quale di fronte a problemi che imponevano scelte coraggiose, mi chiedeva consigli che io, data la giovane età, non sempre ero in grado di dare. Ma lei si fidava di me e mi attribuiva più capacità rispetto ad altri e corrispondentemente, quando c’era da convincere la zia che aveva un carattere fermo su qualche punto importante, magari per il suo bene, come per esempio lasciarsi ricoverare in ospedale quando era gravemente malata, mia madre chiedeva a me di intercedere nei confronti di lei, non ignorando che tra noi due intercorreva un feeling particolare, capace di far superare certe asperità.

Zio Anzino (data scon.)

Io giustamente ne andavo orgoglioso e facevo del mio meglio per non deludere le aspettative di quanti avevano riposto in me la loro fiducia, specie se il compito era particolarmente delicato. La volta dell’ospedale dovetti mettere in atto ogni mia risorsa per convincerla ed alla fine ci riuscii. Aveva uno scompenso cardiaco che curato le consentì di vivere ancora alcuni anni. Poi un pomeriggio, postasi sul letto per un riposino postprandiale, non si alzò più. Ero “grande” allora ed avevo accompagnato non so quale dei miei figli a nuotare in piscina, quando mia madre mi fece chiamare d’urgenza “la zia Gina non si sveglia”. Dormiva serena il suo ultimo sonno, mi aveva confidato nei giorni precedenti di voler riposare, si sentiva stanca, la vita non era stata molto prodiga con lei, ma il suo cuore era colmo di amore.

Anche la zia Dora e la zia Nina, di cui parlerò tra poco, per quanto ne so, mi trattavano con riguardo e tra gli zii, Orlando, marito della prima, Pino marito della seconda, Berardo marito di Stella e Vincenzo marito di Ilda, mi gratificavano con un compiacimento che ai miei occhi appariva un trattamento di riguardo. Nei loro confronti io, pur mantenendo un comportamento rispettoso, non avevo avuto peli sulla lingua nell’affermare alcune mie idee, che cozzavano fortemente con le loro, talvolta con una veemenza un po’ ruvida che se ad un primo impatto aveva suscitato perplessità, per la temerarietà senza riguardi per la loro maggiore autorità, che sfidava le regole della sottomissione del giovane di fronte all’anziano, dopo, a distanza di tempo, mi acquistava meriti se non altro per il coraggio dimostrato con la mia franchezza.

C’era allora l’abitudine tra di noi di incontrarci con le rispettive famiglie, soprattutto la domenica, all’uscita dalla messa “dei signori”, quella delle dodici in Cattedrale e, nell’atmosfera gioiosa di quell’ora che precedeva di poco quella del pasto domenicale, fare un tratto di strada insieme, parlando del più e del meno. Io, giovinetto “con la testa piena di vento” come diceva scherzosamente zia Gina, ero sempre nel gruppo degli adulti e partecipavo alle loro conversazioni; così capitava di essere interpellato su un argomento o sull’altro, con leggerezza e talvolta con ironia mascherata, su temi che mi erano cari.

Zio Berardo era appassionato di musica classica e musicista, mentre lo zio Orlando, più modestamente si dichiarava amante dell’opera lirica, delle operette e dei valzer viennesi. Entrambi conoscevano la mia insorgente passione per la musica Jazz ed allora, forti dei loro pregiudizi, che in quel tempo erano molto diffusi, per provocare una mia reazione parlavano del Jazz come “il tam-tam delle tribù selvagge dell’Africa”. Io non mi facevo pregare due volte e subito attaccavo la solfa della loro scarsa conoscenza della musica che in quanto espressione dell’animo umano non può essere limitata ad una sola forma cristallizzata di suoni e quindi li accusavo di seguire idee retrive e di essere vittime di uno stereotipo, ignorando il grande patrimonio culturale che proveniva dalla musica afro-americana. Con l’arroganza dei giovani sparavo sentenze e volevo sempre l’ultima parola, a costo di compromettere la pacifica attesa del pranzo che era la principale preoccupazione di tutti.

Lo zio Orlando, ragioniere, Vice Direttore della Banca Popolare di Teramo, marito di zia Dora, maestra, penultima delle sorelle Bernardi, da giovane doveva essere stato un gigolo, non tanto per le sue prestazioni fisiche che non credo eccedessero la norma, quanto per un aspetto signorile, disinvolto, molto accattivante. Dora ne era gelosa a torto o a ragione, a difesa del suo forte senso di femminilità, mortificata purtroppo dall’assenza di prole. In casa erano in tre, marito, moglie e Giovina, una domestica rimasta fedele fino a tarda età. Accadde che, quando Giovina andò in pensione, non sapendo dove andare, chiese ed ottenne di rimanere in casa come convivente, senza retribuzione. Naturalmente continuò a svolgere le stesse mansioni che aveva svolto in precedenza, ma senza il vincolo della subordinazione. Dava una mano come poteva nelle incombenze domestiche. Dopo molti anni, la cosa venne a conoscenza di un lontano nipote della donna il quale la convinse a lasciare il domicilio che aveva ed intentare una vertenza sindacale contro i “padroni” per il recupero delle mensilità non corrisposte, i relativi contributi e la quota di TFR non compresa nella precedente liquidazione. L’azione fece molto male a Dora ed Orlando, non tanto per la somma che furono costretti a versare, ma per la considerazione sociale, in quanto essi, avendo offerto ospitalità ad una derelitta, si sentivano creditori e non debitori della stessa. Tanto più che era evidente che la somma riscossa sarebbe finita nelle tasche del sedicente nipote. A parte questo non trascurabile incidente, la vita dei due coniugi continuò a svolgersi con monotona regolarità. Lo zio mangiava solo pasta al burro e una mozzarella a pranzo e a cena, senza vino. La zia Dora si concedeva un menù più diversificato ed un buon bicchiere di vino rosso ad ogni pasto. Tutte le sere, dopo cena andavano al cinema.

Con la costituzione della cooperativa “Casa del Maestro”, avemmo la ventura di andare ad abitare nella stessa palazzina dove andarono ad abitare loro, i coniugi Trasanna in due appartamenti situati sullo stesso piano, con porte d’ingresso una di fronte all’altra. Questo comportò una maggiore dimestichezza tra di noi ed un leggero cambiamento nelle loro abitudini. Quando la sera non andavano al cinema entravano da noi, che nel frattempo avevamo acquistato un apparecchio televisivo e quindi spesso ci ritrovavamo tutti insieme davanti al TV a guardare lo spettacolo serale. Gli spettacoli allora più seguiti erano Il Festival della Canzone di Sanremo e Canzonissima abbinata alla lotteria di Capodanno. Ebbene, per noi ragazzi lo spettacolo principale in queste occasioni era quello offerto dallo zio Orlando, il quale, disdegnando di guardare “simili schifezze”, si sedeva girato di spalle al televisore, di faccia a noi che invece cercavamo di seguire le immagini del teleschermo, beffeggiandoci con motti come “guarda, guarda come siete belli…tà-tà-tà” (era il suo modo di ridere a mitraglia), “sembrate tanti scimpansè allo zoo” ecc.ecc. Quando poi venivano estratti i numeri della lotteria “avete vinto?” ci chiedeva per sfotterci, “no??? Io ho vinto cinquecento lire, perché non ho comprato il biglietto!”.

L’incidente più grave fu ancora una volta determinato da uno scontro di opinioni tra me e lui. Premetto che forse perché maschio, il più grandicello dei due, il più intraprendente – leggi insolente – lo zio Orlando aveva preso a benvolermi e spesso mi invitava ad andare al cinema con loro. Probabilmente egli riteneva che per il fatto di pagarmi il biglietto, mettendomi in condizione di godere del privilegio di fruire della settima ottava o non ricordo quale numero delle arti, io fossi tenuto nei suoi confronti oltre ad una generica riconoscenza, anche ad un dovere di conformità al suo giudizio, riconoscendogli una supremazia intellettuale, se non altro, per il fatto che lui disponeva dei mezzi per andare al cinema ogni giorno, cosa che faceva quasi immancabilmente da molto tempo, mentre io no. Cosa che io non ero disposto a fare assolutamente. Per cui, uscendo dal cinema o in qualche altra occasione in cui si parlava dei film che avevamo visto insieme, egli mi anticipava il suo giudizio e dopo mi chiedeva il mio. Se potevamo concordare sul numero dei morti nelle sparatorie nei film western di bassa qualità, il nostro parere era nettamente differente quando si doveva giudicare un western “psicologico” (Gary Cooper in “Mezzogiorno di Fuoco”) o una vecchia gloria del neorealismo italiano (“Ladri di Biciclette”) o della “Nuova Frontiera” americana che mostrava l’altra faccia dell’America (“Easy Rider”), per non parlare di Antonioni (“Deserto Rosso”), Fellini (“La Strada”, “8 ½”), Pasolini (“Uccellacci e Uccellini” con un formidabile Totò).

In queste occasioni egli rivendicava la supremazia della maggiore età ed esperienza (“Ti vuoi mettere con me? Ho visto molto più film di te. Sono venti anni che vado al cinema e tu cominci ora…” soleva dire) e io non demordevo, anzi rintuzzavo anche pesantemente (“Mbè - rispondevo – mi dispiace dirtelo, ma sono stati venti anni sprecati, perché ancora non ci hai capito niente”, cosa che lì per lì lo offendeva, perché si sentiva tradito). Ma poi si faceva pace in virtù del fatto che entrambi ci rendevamo conto che le nostre erano parole in libertà, buttate al vento. Con i buoni uffici di zio Berardo, il quale si era trovato in una situazione analoga con me a proposito di una divergenza di opinioni sulla musica. “Vedi – gli diceva – Bruno, a dispetto dell’età, ha una personalità determinata e idee sue molto radicate. Egli chiede rispetto per le sue idee, perciò non bisogna provocarlo”.

Ho voluto bene ai miei zii e, a distanza di tanto tempo, debbo riconoscere che erano persone eccezionali, ed a me è restata la sensazione che dopo di loro un mondo sia finito. Ma naturalmente i tempi cambiano e così anche le persone. Mi sento come un uomo ponte, per un verso faccio parte del loro tempo, per l’altro mi sforzo di proiettarmi verso il futuro. Chi ha detto, parlando di sé, di avere uno splendido futuro…alle spalle?

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