L'ULTIMO SOGNO

Mio padre era là che mi aspettava. Quando ero triste e non sapevo a chi rivolgermi, entravo nel suo studio e lo trovavo, ogni volta timoroso che non ci fosse. Mi guardava con i suoi occhi buoni, indulgenti, mi faceva sempre credito di tutte le mie manchevolezze. Sedeva al suo posto, dietro lo scrittoio e sfogliava il suo giornale, Il Tempo, che fu anche il mio quando lui c'era. Vestiva come al solito, in grigio, giacca a doppio petto, un po' cascante sulle spalle, con le tasche sempre rigurgitanti di cose, carte, chiavi, portafoglio, sigarette e i pantaloni con la piega, larghi, spiegazzati. Era il suo abbigliamento di ogni ora della giornata. I capelli lucidi, leggermente mossi.

Fantasmi (Slovenia 2017)

Mi sorrise appena mi vide ed io mi avvicinai a lui per abbracciarlo; mi fece segno di no, non si poteva. Ma era come se mi avvolgesse con lo sguardo ed io ero commosso di vederlo.

"Padre..."
"Bruno,.... caro figlio...", furono le prime parole. Poi un lungo silenzio.
"So che tu non sai molto di me", disse alla fine, guardandomi con occhi appannati da un velo di tristezza, come in uno sforzo di andare indietro nel tempo, cosa che evidentemente non gli riusciva facile.
"E' passato tanto tempo ed io da molto desideravo parlarti", dissi.
"Non possiamo far rivivere il passato e quello che non ci siamo detti a suo tempo, non può essere detto ora. Ma sono certo che ci capiremo."
"So che hai molto sofferto..."
"La mia vita... un arco spezzato, ma non possiamo avere rimpianti. Sono provato, ma non sconfitto."
"Tu caro padre sei stato sempre buono; credo che la vita con te non lo sia stata altrettanto."
"Ma parlami di te, figlio, non abbiamo molto tempo, dimmi, che fai?"
"Mi hai lasciato troppo presto. Seguivo le tue orme e ad un tratto sono scomparse. Mi sono trovato solo."
"Mio caro, la vita è come un sogno, non sai dove ti porta; ognuno fa la sua strada e si perde appena apre gli occhi."
"Padre dimmi di quando eri giovane, i desideri, le aspirazioni..."
"Di come è andata a finire, lo sai. L'inizio, il tempo di allora, tutto quanto è successo, ogni cosa è caduta nel buco nero della storia. Non saprei da dove cominciare."
"Dimmi di quando avevi diciannove anni."
"La scuola, il paese, la mia famiglia, tutto era grigio e noi ragazzi di diciannove anni non sapevamo niente. Non contavamo niente e volevamo avere un ruolo. Avevamo il cuore pieno di speranza e di esultanza. Volevamo essere come i "ragazzi del 99", l'ultima leva chiamata a combattere nella Grande Guerra. Coi petti intrepidi ci offrimmo per quella che ci sembrava una grande avventura per la salvezza della Patria. Era il 28 ottobre 1922. Partimmo di notte, all'insaputa di tutti e marciammo su Roma. Ci sembrava allora di essere noi dei partigiani, disposti a sacrificarci per il bene di tutti. Facemmo delle scelte. Troppo tardi ci accorgemmo dell'errore e l'abbiamo pagato. Cosa vuoi che ti dica di più? Dobbiamo ancora capire come e quando è successo. Ormai siamo una generazione maledetta."
"Non dire così, padre..."
"Tu devi sapere, caro figlio che tutto quello che ho fatto o non fatto, l'ho fatto perché credevo di essere dalla parte giusta della storia... ma non era così... Io, da parte mia, non ho mai fatto male a nessuno; questo non mi assolve ma non mi mette fra i peggiori..."

In quel momento la sua figura cominciò a sbiadire come in una dissolvenza.

"Aspettami, ritornerò.... furono le ultime parole."
"Mio caro amatissimo padre."

Sentii la mia voce come un' eco nella stanza chiamare "pà... pà!" e scomparve. Nella stanza ero solo. Guardai sullo scrittoio e notai il giornale che era rimasto aperto sul tavolo. "L'Italia liberata" diceva il titolo a tutta pagina. Portava la data del 25 aprile 1945. A matita, da un lato, ben visibile era stato scritto "la fine di un incubo". Il calendario appeso al muro, dietro lo scrittoio era fermo al marzo 1960. Sul giorno 2 qualcuno aveva segnato una croce.

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