PICCOLI lettori CRESCONO

L'amore per i libri è una passione come un'altra e come ogni passione ha un limite oltre il quale è bene non andare per non far sì che quello che prima era bello e sano, fonte di gioia, divenga brutto e causa di sofferenza, per compulsione ossessiva. Nel nostro caso si parla di bibliofilia e di bibliomania, volendo distinguere un grado di passione ancora nei limiti accettabili, sebbene già molto avanzati, da un livello che di normale non ha più niente.

Leonardo, 2011

E' superfluo aggiungere che in moltissimi casi è quantomai difficile distinguere il sottile filo di demarcazione fra le due cose, potendo essere un bibliofilo anche un bibliomane accanito e questi, nonostante gli eccessi, conservare un sincero amore per la carta stampata, o per gli incunaboli, al di là del puro estetismo che lo porta a quel livello. Un grandissimo bibliofilo-bibliomane scomparso da poco, Umberto Eco, semiologo, letterato, saggista e romanziere, ha parlato nel suo "Non sperate di liberarvi dei libri" di questa passione e del perché, nonostante l'avvento delle librerie virtuali, non potremo mai fare a meno del libro cartaceo, come oggetto di culto quasi feticistico.

Il mio discorso non ha alcuna pretesa di entrare in una disquisizione di tipo specialistico, per la quale non sono attrezzato, ma si limita ad una semplice riflessione sul mondo che vive intorno ai libri, per capire a livello di semplice appassionato, ciò che è normale da tutto quello per un verso o per un altro, va leggermente al di fuori di un semplice amore per i libri e per la lettura. Senza voler dare la croce addosso a nessuno. Parlo di moda, di fanatismo, di eccessi, spesso di puro esibizionismo snobistico, alimentati dalla diffusa coscienza che in Italia si legge poco, per cui chi legge anche poco, per distinguersi dalla massa, si erge ad erudito, cercando di non cadere, io, nel facile errore che sto denunciando, col ritenermi appartenente ad una categoria speciale, quella dei lettori ad oltranza, specialisti facenti parte di una setta, che mentre dice di voler fare proselitismo per sollevare le condizioni piuttosto deprimenti in cui si troverebbe la nostra cultura, rispetto ad altre, si chiude in una torre d'avorio, anziché aprirsi ad un sano confronto. Denuncio quindi tutte le mie carenze ed affermo qui e ora che mi considero l'ultimo dei Moicani, l'ultimo arrivato di una razza in estinzione, quella dei lettori silenziosi e non pretenziosi.

Ci sono gli appassionati che durante il campionato di calcio, dal lunedì mattina fino al sabato di ogni settimana, incontrandosi con altri sodali, non fanno che parlare dell'ultima partita gareggiata dalla squadra del cuore e del perché e del percome l'esito non sia stato quello desiderato e delle strategie che, se fossero stati loro al posto dell'allenatore, avrebbero attuato affinché ciò non avvenisse. E quelli che guardano, valutano e per modestia, tacciono. Così chi è appassionato di libri è logico che voglia scambiare giudizi e opinioni con i suoi omologhi, incontrandosi o riunendosi in seminari, o iscrivendosi a club, circoli ecc., taluni, con la volontà, conscia o inconscia di prevaricare gli altri, ritenendosi più all'altezza. In questi gruppi si può parlare di tutto e quindi a qualcuno può venire in mente di chiedere agli altri a quale età ciascuno di essi ha scoperto di avere quella passione.

Credo che questa cosa sia un po' come il sesso. Le prime pulsioni si avvertono molto presto, poi il corpo mano a mano che matura si fa sempre più consapevole di come vanno le cose fino a quando uno si accorge di avere una sessualità con le sue esigenze e scopre un mondo nuovo con le sue delizie e i suoi affanni o dolori. C'è chi dice di aver letto con piacere La "Recherche" a otto anni e la cosa, sebbene del tutto eccezionale, non è da escludere, visto che fenomeni avvengono in ogni campo, come per esempio è in Musica il caso di Mozart che - dicono le cronache - compose le sue prime partiture a sei anni. Si tratta comunque di esperienze fuori del comune, come il sesso in età immatura, dal sapore acerbo.

A parte il caso dei millantatori e mitomani, l'amore per i libri può cominciare molto presto, proprio perché la mente dei bambini è aperta al favoloso ed il libro si presenta come una scatola magica: si accendono le luci e si mette in movimento un mondo immaginario che accende la fantasia e la porta lontano. Per conto mio posso dire di aver cominciato abbastanza presto con i giornalini per ragazzi e albi illustrati, ma l'amore per i libri è maturato poco alla volta, con Dumas, Salgari, qualche Verne, e poi, incongruamente, Bruce Marshall, con i suoi racconti di Padre Smith e Padre Malachia e Gilbert Chesterton con il suo Padre Brown. Questi ultimi due perché erano tra i pochi interessanti della sparuta biblioteca scolastica. C'è da dire che allora ero attraversato da una certa vena di religiosità, indottami da mia madre, che mi rese quelle letture molto gradevoli. In seguito quella vena si è persa come un fiume carsico. A seguire, Cronin ("E le stelle stanno a guardare"), Maugham ("Pioggia"), Huxley, Pirandello, Bontempelli, Bacchelli, ecc.ecc. ecc.

Posso fissare intorno ai quattordici anni l'età in cui ho preso coscienza dei libri, come di qualcosa di cui non potevo fare a meno. A quell'età, avrò fatto la seconda classe della scuola media, quindi intorno al 1950, prima dell'inizio del boom economico che data dal 1958 al 1963, personalmente ero senza un soldo e pieno di desideri. I miei, mio padre direttore didattico e mia madre maestra elementare, non erano certo fra i più poveri, ma ugualmente in famiglia non si navigava nell'oro, con cinque figli da mandare a scuola e tutto il resto, i soldi per comprare beni voluttuari (i libri, eccetto quelli scolastici, erano fra questi), non c'erano proprio.

Mio padre possedeva una piccola biblioteca, un armadio ad ante con vetrina, di fattura artigianale, chiusa a chiave, perché, tra i libri, oltre ai Promessi Sposi, la Divina Commedia, la Bibbia, ecc., c'era anche un'edizione di lusso delle Mille e una Notte, illustratissima e proibitissima. Ci era consentito avvicinarci a quel "sancta sanctorum", quando era aperta, solo in sua presenza e solo per certi libri. Al massimo si poteva sfogliare qualche volume illustrato dal Dorè. Ma io avevo individuato ben presto il posto dove mio padre riponeva la chiave delle libreria e la tasca della giacca, dove teneva le sigarette. Nelle ore di riposo, quatto quatto, mi sceglievo un libro, dopo aver sottratto una sigaretta e me lo "fumavo" (leggevo fumando) di nascosto, in bagno o altro posto riparato (e riservato). Ma quelle non furono letture proficue. Troppa eccitazione e troppa trepidazione. E se qualcuno bussava, bisognava bonificare l'ambiente dall'odore di fumo. Godevo in famiglia della fama di bravo ragazzo, anche se un poco ribelle e non mi andava di perderla .

Scelsi allora un'altra via. Sotto i portici di Piazza Martiri, a Teramo, c'era a quel tempo una bancarella di libri usati, gestita da un signore, severo e burbero come Mangiafuoco (e nei cui confronti apparivo come Pinocchio), che comprava a poco prezzo intere librerie svendute da persone benestanti in crisi di liquidità e vendeva a prezzi contenuti un buon numero di libri, di tutti i generi e quella divenne di lì a poco la meta preferita di ogni mia passeggiata. Per finanziarmi, cominciai a racimolare in casa carta straccia, cartoni e oggetti di metallo che non servivano più, che rivendevo ad un rigattiere. In questa attività mi facevo aiutare da mio fratello Vittorio, che con entusiasmo sosteneva ogni mia iniziativa; riuscimmo perfino a ridurre in pezzi un vecchio triciclo che aggiungemmo al carico. Commerciai anche libri sottratti alla libreria di mio padre, che non mi sembravano importanti e con il ricavato di ogni vendita, acquistavo libri dal bancarellaro.

Dopo aver acquisito una certa esperienza nel campo, presi contatto con una libreria cittadina (la gloriosa "La Scolastica" del maestro Ciccarelli, passata poi in eredità per via materna alla famiglia Araclio, che l'ha gestita fino alla chiusura), dove mio padre aveva un conto sempre aperto per il pagamento dei libri scolastici e mi offrii come rappresentante per vendere libri porta a porta, per aumentare il mio budget. Tutto il ricavato andava in libri. Ricordo che uno dei primi acquisti con questo metodo, fu la prima edizione italiana in tre volumi de "L'uomo senza qualità" di Robert Musil, con qualche refuso che la rendono adesso più prestigiosa (a proposito di maniaci).

Ma tutto ciò ha poca importanza. Qui voglio parlare delle emozioni, non di altro. So che un giorno, dopo una laboriosa trattativa col tipo della bancarella, venni in possesso di una copia in buone condizioni di una edizione economica dei Tre Moschettieri e quello fu il primo libro tutto mio, acquistato coi miei soldi, prezioso come la prima moneta da un cent di Paperon de' Paperoni. Aveva un sapore del tutto diverso dagli altri che sbirciavo di nascosto. Lo lessi più volte dall'inizio alla fine e capii che dentro di me era nato qualcosa che prima non c'era. Di lì a poco pretesi una piccola libreria in camera da letto che condividevo con mio fratello. Avevo capito che dei libri non avrei mai potuto fare a meno.

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