L'INFINITO
Cosa è secondo voi l’infinito? Un concetto astratto, una mera invenzione? Infinito può essere l’incommensurato o meglio l’incommensurabile. Collegato all’idea di grande, grandissimo, da non potersi contenere, nemmeno in una idea, che come si sa, non ha limiti e si può espandere a volontà. Ma infinito è non solo il grande, ma anche il piccolo: infinitamente grande e infinitamente piccolo. Come Macrocosmo e microcosmo. Con lo scambio di una sola vocale, due mondi completamente diversi. Il micro è contenuto nel macro, ma ha un infinito tutto suo. Una entità senza confini. L’infinito è nello spazio ciò che l’eternità è nel tempo. Hanno entrambi la caratteristica dell’indeterminatezza. Sono tutt’e due concetti difficili da comprendere, sebbene tutti ne abbiamo o pensiamo di averne una cognizione che ci viene dall’istinto o dall’intuito. Intuitivamente ce ne siamo fatti un’idea, ma quanto a parlarne, non sappiamo come definirli.
Sappiamo che l’eterno è immobile; c’è un tempo che scorre ed è quello della nostra vita ed un tempo che è fermo ed appartiene ad un’altra dimensione: un tempo che non si consuma. L’infinito è mobile? E’ soggetto a trasformazioni? Anche qui c’è una distinzione fondamentale, tra il finito, che non è quello che non c’è più, ma quello che è delimitato e l’infinito, che per definizione è indeterminato ed illimitato. Ma questo indeterminato è sempre uguale? E come si rapporta con il tempo, è anche eterno? Il concetto di infinito e quello di eterno sono molto vicini uno all’altro, non foss’altro che per la semplice constatazione che, secondo alcune dottrine, l’eterno, cioè Dio, è anch’esso infinito, anche se l’infinito in generale, non è Dio. Ma le due cose tendono a coincidere e, secondo me, sono destinate ad unificarsi.
Qui siamo in un campo di concetti assoluti. Assoluto è l’eterno, come assoluto è l’infinito. Se parliamo invece in termini relativi, scendendo da una visione trascendentale ad una immanentistica, del mondo e della vita, scopriamo che sia l’uno che l’altro possono essere presi come una tendenza verso l’infinito e verso l’eterno, ma non è detto che anche essi non abbiano un limite. Un paradosso come quello delle rette parallele, che si incontrano all’infinito. Ma l’infinito e l’eterno sono concetti che hanno avuto una risonanza eccezionale in letteratura e in poesia; che cos’è “la così piccola vigilia dei nostri sensi” di cui parla Dante a proposito del vecchio Ulisse, se non un’immagine del tempo finito, del tempo assegnato e cosa l’infinito di Leopardi che con lo stormire delle fronde evoca “l’eterno e le morte stagioni e la presente e viva”, se non una contrapposizione proprio dell’idea dell’eterno con quella del tempo mortale?
Sappiamo che l’eterno è immobile; c’è un tempo che scorre ed è quello della nostra vita ed un tempo che è fermo ed appartiene ad un’altra dimensione: un tempo che non si consuma. L’infinito è mobile? E’ soggetto a trasformazioni? Anche qui c’è una distinzione fondamentale, tra il finito, che non è quello che non c’è più, ma quello che è delimitato e l’infinito, che per definizione è indeterminato ed illimitato. Ma questo indeterminato è sempre uguale? E come si rapporta con il tempo, è anche eterno? Il concetto di infinito e quello di eterno sono molto vicini uno all’altro, non foss’altro che per la semplice constatazione che, secondo alcune dottrine, l’eterno, cioè Dio, è anch’esso infinito, anche se l’infinito in generale, non è Dio. Ma le due cose tendono a coincidere e, secondo me, sono destinate ad unificarsi.
Qui siamo in un campo di concetti assoluti. Assoluto è l’eterno, come assoluto è l’infinito. Se parliamo invece in termini relativi, scendendo da una visione trascendentale ad una immanentistica, del mondo e della vita, scopriamo che sia l’uno che l’altro possono essere presi come una tendenza verso l’infinito e verso l’eterno, ma non è detto che anche essi non abbiano un limite. Un paradosso come quello delle rette parallele, che si incontrano all’infinito. Ma l’infinito e l’eterno sono concetti che hanno avuto una risonanza eccezionale in letteratura e in poesia; che cos’è “la così piccola vigilia dei nostri sensi” di cui parla Dante a proposito del vecchio Ulisse, se non un’immagine del tempo finito, del tempo assegnato e cosa l’infinito di Leopardi che con lo stormire delle fronde evoca “l’eterno e le morte stagioni e la presente e viva”, se non una contrapposizione proprio dell’idea dell’eterno con quella del tempo mortale?
A-peiron
RispondiEliminaNoi invece siamo finiti.
Nel gap tra le due condizioni si annida la paura della morte, l'horror vacui in cui stipiamo azioni, bisogni, desideri, sentimenti, obiettivi, per evitare di osservare in ogni momento la soglia e di buttarci oltre anzitempo, non sopportando l'ineffabile.
Stato dell'essere che sospende in rari attimi di estasi la limitatezza del sentire codizionato dal corpo e dalla mente, il meditare ci collega all'ombelico del mondo, connessione con l'infinito, pace interiore, sguardo del poppante nelle prime settimane di vita che ipnotizza nel suo essere ancora aperto, senza limiti, ancora non calato nella finitezza del mondo, ancora senza forma.
E proseguiamo.
Commento di SteLu (Lucia Masotti).