LA FITTA NEL FIANCO

La "pietas" romana poteva arrivare a tanto di delicatezza, che ai condannati alla crocifissione, tenuti appesi tutto il giorno alla croce, sul calar della sera, ove non fossero ancora morti, veniva somministrato il trattamento del "crucifragium", consistente nella rottura di entrambe le gambe, al fine di accelerarne la morte, non certo per pietà, ma per il fatto che i carnefici potevano abbandonare il luogo del supplizio solo dopo essersi accertati dell'avvenuto decesso, dei condannati. A Gesù invece questo trattamento fu risparmiato, in quanto, a vederlo, sembrava già morto, ma siccome l'addetto era molto scrupoloso e voleva esser certo di aver esattamente adempiuto al proprio compito, con la lancia pensò bene di trafiggergli il costato, per accertarsi che fosse effettivamente morto e nel caso non lo fosse, rapidamente farlo morire. Dalla ferita fuoruscì un liquido misto di sangue e acqua, senza che il condannato desse segno di vita; per il solerte soldato (1) questo fu abbastanza e soddisfatto andò via (libera interpretazione del passo n. 19, 31-37 del Vangelo di Giovanni).

Niccolò dell'Arca, Compianto (1463) - S. Maria della Vita Bologna 

La fitta nel fianco fu quella che io inflissi a mio padre, nel periodo più brutto della sua vita, quando, già malato, cercava di aggrapparsi ad un sogno, del quale io facevo parte, ma ben presto si dovette ricredere anche per questo. Dopo la fine della guerra (aprile 1945), in Italia si succedettero avvenimenti di grande importanza che portarono ad una completa trasformazione dello Stato e del Paese. A cominciare dal Referendum Istituzionale (2-3 giugno 1946), nel quale per la prima volta fu dato il voto alle donne (c.d. suffragio universale) e con il quale si decretò la fine della Monarchia e l'avvento della Repubblica e contemporaneamente si elesse l'Assemblea Costituente per la compilazione della Costituzione per arrivare alle prime votazioni politiche per l'elezione del Parlamento repubblicano (18 aprile 1948) e la formazione del primo governo. Nel Paese intanto cominciava la ricostruzione di tutto quello che era stato distrutto dalla guerra.

Mio padre, già piegato moralmente per gli avvenimenti politici che avevano avuto una parabola rovinosa, cominciò a soffrire fisicamente per una forma di insufficienza respiratoria che fu in seguito diagnosticata come enfisema polmonare. Avvilito per le sue aspirazioni giovanili andate tutte disattese, cominciò a sentirsi escluso dalla vita, per le condizioni fisiche e diventò taciturno, rifugiandosi nel suo ufficio di direzione didattica, aperto mattina e pomeriggio, dove passava la maggior parte del suo tempo. Io già ero una lancia nel fianco di mio padre, per il fatto di non essere quello che lui si aspettava. Iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza della Sapienza di Roma, non senza qualche sacrificio in famiglia, dopo il primo anno avevo già perso buona parte dell'entusiasmo iniziale e mi sbandai. Avevo sete di indipendenza e per questo andavo in cerca di un lavoro, trascurando lo studio. A venti anni presi la patente automobilistica e subito dopo cominciai ad assillare mio padre con la richiesta di un'auto. Più per togliermisi di torno che per la reale convinzione che in famiglia avessimo bisogno di un mezzo di trasporto, mio padre alla fine acconsentì.

Comprammo una seicento Fiat di seconda mano ed io mi sentivo un novello Fangio del volante. Mio padre tra i suoi compiti, aveva quello di visitare le scuole periferiche poste sotto la sua direzione per valutare il lavoro svolto dagli insegnanti, i risultati conseguiti dagli alunni e presiedere agli esami di promozione e di licenza di fine anno. Dopo l'acquisto della 600, mi offrii di accompagnarlo alla guida della nostra macchina, nelle varie località che doveva visitare. La prima uscita fu per una scuola a pochi chilometri da Teramo, sulla via della Specola, in località De Contro e tutto si svolse regolarmente. Fu un trionfo, mio padre fu accolto con tutti gli onori ed io ero fiero della mia qualità di pilota-autista. La seconda invece era in un paese della provincia, a parecchi chilometri dal capoluogo, di nome Penna S. Andrea. La strada era tortuosa e piena di buche. Giunti quasi in prossimità dell'edificio scolastico, abbordando una curva, forse a velocità troppo alta, la macchina sbandò ed andò a fermarsi con le due ruote di destra in un canaletto che fiancheggiava la via. Per fortuna non ci furono danni, ma fu necessario raggiungere la scuola a piedi e chiedere aiuto per rimuovere la macchina. Grande scorno e vergogna da parte mia.

Mio padre non mi disse niente ed io ero mortificato per l'accaduto. Solo più tardi seppi che in seguito all'incidente mio padre aveva riportato una contusione al fianco con probabile incrinatura di una o due costole, che gli aveva comportato un dolore acuto durato parecchio tempo, durante il quale, aveva sofferto molto, senza mai lamentarsi, né con me né con gli altri. Quando morì, qualche anno dopo, io ero al suo capezzale, ma non avevo mai trovato l'occasione di parlargli del mio pentimento e chiedergli perdono. Capii di essere stato per lui come Longino, con la lancia avevo colpito due volte il suo fianco, in senso figurato e in senso reale. Non so quale delle due possa averlo ferito di più.


(1) Secondo la tradizione il soldato era un centurione di nome Longino, nativo di Lanciano (Abruzzo) che, stranamente, è venerato come Santo dalla Chiesa Cattolica. Si sostiene, infatti, che l'atto da lui compiuto sia stato dettato da pietà e che lo stesso Longino, malato agli occhi, abbia riacquistato la vista dopo essere entrato in contatto con il sangue di Gesù. Egli, inoltre, posto a guardia del sepolcro di Cristo, dopo la resurrezione, fu il primo a riconoscere la sua natura divina.

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