PARUSIA

Parusia è parola difficile, che si ha timore a pronunciare, da chi, come me, ha solo una infarinatura di questioni relative alla chiesa e alla religione cristiana perché rappresenta un “off limit”, un “ne ultra sutor”, invalicabile, oltre il quale si va solo a proprio rischio e pericolo. I più audaci, non io, ché mi trovo qui solo per caso, sanno che, se si osa oltrepassarlo, si varca il limite dell’ignoto e dell’inconoscibile. Eppure è parola piana, facile da pronunciare, che scorre via sulla punta della lingua. Ma nessuno la pronuncia volentieri. Per gli “infarinati”, come dicevo sopra, è parola ristretta all’ambito delle previsioni più funeste, che si cerca di far passare come allegre, di quella religione con il simbolo “scandaloso” della croce. E suscita i tremendi bagliori del Giudizio Universale, con il Cristo trionfante, che torna sulla terra per giudicare i vivi e i morti. Niente paura, dicono però gli esperti, la seconda venuta del Dio incarnato, è per completare l’opera di salvataggio dell’umanità, iniziata con la prima e non per mandare tutto a carte quarantotto. Vatti a fidare!

Enrique Irazoqui, protagonista del film "Il Vangelo secondo Matteo" di P.P.Pasolini, 1964

Ma pochi sanno, in quanto questa è roba da pignoli, e d’altro canto, come farebbero a saperlo, dato che questa parola è tra le meno usate della nostra lingua? Che essa abbia una lunga storia e significhi qualcosa di molto più vasto di un “semplice” Giudizio Universale e molto meno allarmante dello stesso.

“Parusia” è parola greca e significa “presenza”. Per Platone, che fu il primo ad usarla, era la presenza dell’idea, dello spirito, nel mondo sensibile, come dire l’ “anima”, altra parola inventata da Platone, delle cose che si evolvono. Quello che noi abbiamo chiamato il “senso” che ci affanniamo a cercare in ogni cosa, accadimento, fenomeno (dal greco “phenomenon”, “che appare”). E questa mi sembra la formulazione più bella. Attiene al mondo delle cose, e degli uomini, è cosa nostra. È l’intelligenza che aleggia sul mondo, la materia.

Sì, perché poi la stessa parola è entrata nell’uso curiale, che l’ha fatta propria. Si cominciò con un semplice ampliamento del suo significato: da “presenza” in generale, a “presenza del divino”, della cosa straordinaria. Alla fine, è diventata quasi un sinonimo di “escatologia”, discorso sulle ultime cose, sulla fine, e, nella religione cattolica, come ricomparsa di Cristo per il giudizio finale ma, a quanto sembra, presente anche in altre religioni, come l’islamica, dove si attende il ritorno di un profeta mai morto, ma nascosto, che dovrebbe rimettere le cose a posto. Gli ebrei dal canto loro, non hanno mai creduto a Gesù figlio di Dio, ed aspettano ancora la venuta del loro salvatore. Singolarmente, nella prima, la cristiana, uno dei segni dell’approssimarsi della parusia, sarà da ricercare proprio nella prossima conversione di tutti gli ebrei al cristianesimo, cosa che per la verità sembra alquanto improbabile.

Per quanto riguarda l’uso comune del termine, per il momento quasi inesistente, ne auspicherei la rinascita, tenendomi il più possibile vicino al suo significato originario, la presenza non come immanenza, ma come privilegio, la capacità di “fare presenza” anche in assenza della persona fisica. Esempio: il grande personaggio al quale viene dedicata una certa iniziativa locale, che, nella impossibilità di partecipare personalmente all’evento, invia un telegramma di ringraziamento agli organizzatori e un saluto affettuoso e riguardoso ai sui seguaci. O la capacità di avvertire la presenza di quanti, cari, ci hanno lasciati, fino a quando ne custodiremo la memoria nei nostri cuori.

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