ESODO-ESOSO-ESONERO

Avete notato quante parole della nostra lingua cominciano con i prefissi “eso”, “esa” e “esi”? In quasi tutte la “es”, che proviene dal latino “ex”, nel senso di “da”, svolge una funzione di estrazione, di derivazione “da”, o di abbandono “di” qualcosa. Con uno strano intreccio di significati interscambiabili. Se “esoso” per noi vuol dire “troppo caro” per quanto riguarda il prezzo esagerato di un oggetto qualsiasi, l’“esonero”, equivale invece ad un alleggerimento di un peso, ad una diminuzione di compiti o di facoltà. In realtà, l’origine di “esoso”, dal latino “ex-osus”, è ben diversa. L’esosità era una diretta conseguenza dell’odio di cui si faceva oggetto colui che avanzava richieste o pretese troppo esagerate che lo rendevano inviso a tutti. Dall’eccessivo “peso” del prezzo, ma anche della boria del soggetto interessato, nasceva l’odiosità che caratterizzava lo stesso. Mentre l’esonero, dal latino “ex”, “da”, unito a “ònus”, “peso”, non sempre rappresenta il fatto di essere sollevato da un peso, per es. esonerato dal pagamento delle tasse, cosa che fa sempre piacere, ma può avere come conseguenza, anche una perdita di prestigio, con risvolti dolorosi, quando ad es. si viene esonerati da una carica pubblica per manifesta incapacità. L’esonero può essere volontario, come quando vien richiesto dal diretto interessato, per determinate materie, es. l’esonero dall’obbligo della frequenza scolastica per l’ora di religione o vi si può incappare involontariamente e malauguratamente, per l’esito sfavorevole di un incarico ricevuto, es. l’allenatore di una squadra di calcio viene esonerato dal suo compito perché la squadra ha perso le prime quattro partite del campionato. Qui l’azione è un allontanare, sollevare qualcuno da qualcosa, perché non produca altri danni. Sinonimi di "esonerare" sono "esentare", "esimere" che dal latino "ex" - "èmere", significa "tirare fuori".

Animale impagliato (NatuRa - Museo ravennate di Scienze Naturali "Alfredo Brandolini" - 2017)

Passando ad altre parole che hanno un prefisso come quelli su indicati, vediamo l’esorcismo che è un vero e proprio “cavar fuori” con formule e cerimonie adeguate, lo spirito maligno che si è occasionalmente introdotto nel corpo dell’indemoniato. Per liberare subito l’aria dall’odore di zolfo che si è propagato con l’evocazione della figura sinistra del maligno, aggiungo una nota allegra, di colore, che, pur portandoci fuori dello stretto compito linguistico che ci siamo assegnati, serve a rasserenare l’atmosfera, tanto più che la novità che così si introduce, è propizia alle prossime festività natalizie e quindi cade come si suol dire a pennello. A Napoli in via S. Gregorio Armeno, detta “via dei Presepi”, sopravvive l’antica tradizione del Presepe settecentesco che mescola personaggi biblici con la rappresentazione di persone note e meno note del tempo presente, in maniera irriverente e burlesca (la regina Elisabetta insieme a Totò o qualcosa del genere). Tra i personaggi più tipici e più amati dai napoletani, c’è quello dello “sciò-sciò ciucciuè ”, un omino con ombrello, corni e amuleti vari, che garantisce la protezione da tutte le cose negative del mondo, scacciandole e tenendole lontane da noi. Una specie di esorcista che assomma tutte le qualità e le contraddizioni della superstizione popolare; con spassosa e consapevole autoironia.

“Esondare” ci ricorda i guasti del nostro sistema idro-geologico, ai quali l’attuale governo sedicente ma solo a parole “del cambiamento” si accinge a porre rimedio, dopo avere già annullata la povertà, a quella infame piaga ereditata dai precedenti governi i quali ad arte l’avevano alimentata. “Esodare” è un verbo nuovo, venuto dalla necessità di dare un nome ai poveri lavoratori incappati nella legge Fornero sui pensionamenti. Persone esodate dal lavoro, ma lasciate senza pensione. Da “esodo”, che prima significava fuga di un intero popolo da un territorio. Come furono gli ebrei in più occasioni, esodo dall’Assiria, dalla Babilonia, poi dall’Egitto ed infine sparsi per il mondo con la “diaspora”, parola derivata dal greco che vuol dire “disseminazione”.

Con il prefisso “esi”, troviamo “esilio, esiliato”. Cosa c’è di più triste dell’essere scacciati dalla propria terra? Per capirlo in tutta la sua portata, basta leggere anche superficialmente, tanto si tratta di poca cosa, la Commedia di Dante, il più celebre esiliato della storia. “Esitare” io lo vedo come un tentennare, simbolicamente davanti all’apertura di una caverna, rosi dal dubbio se uscire o meno incontro ai mostri che sicuramente dovremo affrontare all’aperto, senza difese e con il vuoto alle spalle.

Ma torniamo a qualcosa di più attuale. Ecco, con il suffisso “esa”, fresco di conio, “esautorare” che è, si fa per dire, una bella parola tratta dal linguaggio burocratico o politichese. Significa prosciugare, svuotare di ogni forma di autorità un organo o una persona, sottraendo loro compiti e prerogative. Peccato che agisca in un ambito così ristretto: tante sarebbero le persone da esautorare, cioè svuotare di poteri, togliendo senso e contenuto al loro operare, falcidiando presunzione, falsa retorica, populismo dilagante e il marcio che si annida in ogni buon proposito. Noi invece oggi assistiamo a varie forme “democratiche” di esautorazione che ci dovrebbero preoccupare: basta vedere cosa sta avvenendo con la c.d. legge di bilancio, imposta e approvata da un Parlamento completamente esautorato dei propri poteri.

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