IN PRIVATO

La cena si era svolta come sempre. Da quando era diventato invalido, Anselmo temeva il momento del dopo cena che lo obbligava, privo di risorse come era, ad un resoconto giornaliero che risultava sempre in passivo. Di fronte alle ombre della notte e alle incertezze che potevano derivare dall’imminente sonno, si sentiva disarmato e sospeso, come un tuffatore che sulla estremità del trampolino non riesca a decidere se tuffarsi o meno. E gli passavano per la mente pensieri fastidiosi. Non riusciva più ad alimentare speranze a suscitare entusiasmo né in lui, né tanto meno nella moglie Anna, energica e pragmatica, efficientissima ma un po’ amara e disillusa.

Gole dell'Infernaccio (Monti Sibillini) - 2018

Erano invecchiati insieme lui e Anna, lungo l’arco di una vita che non era stata priva di soddisfazioni, ma che ora li aveva lasciati come svuotati, senza ragione, eterni scontenti per quel tanto di più che speravano di ottenere, chissà forse per meriti che credevano di avere e non avevano. Lui, Anselmo, era praticamente immobile, anche se si sforzava di apparire ancora attivo; ogni tanto rispolverava una parvenza di euforia che cercava di comunicare a sua moglie, refrattaria ad ogni tipo di allettamento, impermeabile alle false aspettative, dotata come era di un lucido razionalismo di stampo pessimistico, ma dotata di un carattere forte e della capacità di governare la casa e dominare le avversità. Una cena semplice, frugale, alla fine della quale il vuoto sembrava ancora più vuoto ed allora lei ne approfittava per trovare subito qualcosa da fare, come provvedere al conferimento della spazzatura per la raccolta del giorno dopo, cosa che comportava uscire di casa e raggiungere il bordo della strada per deporvi il secchio. Operazione non proprio simpatica, ma che lei faceva volentieri, perché le consentiva di sottrarsi a quell’atmosfera di crepuscolo spirituale. Anselmo in genere rimaneva seduto al tavolino della cucina, con il mezzo bicchiere di vino davanti, che sorseggiava lentamente, in attesa del suo ritorno. Era il momento della meditazione. Non era un baratro, ma un dislivello. Si concedeva un momento di intimità con se stesso, una vena di sentimentalismo che cercava di indirizzare su ricordi piacevoli, per trarne un po’ di gratificazione, senza scendere troppo nel fondo, perché sapeva che la cosa avrebbe potuto riservagli qualche brutta sorpresa. Applicava per sé, in questi casi, una filosofia pratica che doveva servigli per andare avanti, non per nostalgie o rimpianti del passato. L’era delle rivendicazioni era finita ora voleva solo un po’di tranquillità con la propria coscienza. In genere si apriva uno spiraglio nella sua mente, che gli consentiva di sentire un caldo effluvio salirgli da dentro, mentre stringeva in mano il bicchiere e si guardava intorno, il tavolo, le sedie, i fornelli, il lavello, i muri la finestra sul balcone, tutti gli oggetti noti, che vedeva con occhi diversi gli apparivano carichi di un significato ancora da decifrare.

“E se di colpo ora avvenisse qualcosa di straordinario? Non è forse questo un momento magico?” fu il pensiero di una sera. Non era propenso all’esoterismo, ma soggiaceva al fascino dell’inconoscibile e conosceva la potenza dell’immaginazione che in certe condizioni, poteva creare una realtà apparente ed allora fu proprio quella sera che lo spiraglio si aprì e divenne un grande varco ed egli fu restio ad addentrarvisi. Chi era quella figura immensa, circonfusa di luce che sembrava riempire il fondo di quella vastità? Una voce parlò e non sembrava una voce umana:

“Cosa cerchi Anselmo?”. Anselmo non credeva ai suoi occhi e alle sue orecchie. L’ultimo sorso di vino gli rimase in gola, rischiando di strozzarlo.
“Ma allora tu esisti?” chiese come tra sé.
“Ti meravigli?” fu la risposta data con voce pacata benché sovrumana.
“Tutte quelle ciance: Dio esiste, Dio non esiste, Dio siamo noi, ecc. mi fanno sorridere. Gli uomini hanno bisogno di me ed io sono. Ma tu Anselmo, cosa cerchi?” 

Per la seconda volta la domanda lo trovava impreparato. Non sapeva cosa dire. Allora fu Lui a suggerirgli l’argomento:

“Hai avuto buoni figli, non ti è capitata nessuna grossa disgrazia, hai una moglie che per tutto il tempo del vostro matrimonio, più di cinquanta anni, ti ha accudito con amore e seguita a farlo nonostante i suoi acciacchi, cosa vuoi di più?”
“Hai ragione” rispose “non posso proprio lamentarmi ed anzi te ne sono grato. Vorrei solo liberarmi di alcune cose che mi pesano sulla coscienza. So di non aver agito sempre bene, anche se non ho commesso reati e non credo nei peccati. Non ho mai fatto male a nessuno, se non a me stesso, ma non ho nemmeno fatto del bene al mio prossimo. O comunque non abbastanza. Mi sono chiuso in me stesso, come fanno i più ed ho pensato soltanto a me e alla mia famiglia.”
“L’egoismo è un peccato. Tu sei stato egoista?”.
“Non credo. Non ho preteso per me più che per gli altri, ma non sono stato abbastanza generoso. Ho tenuto per me tutto quello che ritenevo fosse mio. Senza dare nulla agli altri. Se non piccole elemosine che si sono perse nel mare della miseria che era intorno a me. Ma allora ritenevo che non toccasse a me alleviare la miseria. E, d’altronde, cosa avrei potuto fare?”
“Solo questo ti preoccupa, Anselmo?”. 
“No, anche tante insufficienze, cose che ho tralasciato, non sono stato onesto con me stesso, un po’ di lassismo, ho lasciato correre, non mi sono opposto tutte le volte che avrei voluto.”
“C’è qualcosa che non confesseresti mai a nessuno?”
“Oh Dio a te lo posso dire…”.
“Io lo so e quindi è inutile che tu me lo dica. Ma lo confesseresti a tua moglie, ai tuoi figli o ai tuoi amici?”
“Non so, credo di no.”
“Non sai se c’è, o non sai se lo confesseresti?”
“Se lo confesserei.”
“Allora, c’è?”
“Sì, c’è e mi vergogno, ma confessarlo sarebbe come dare un’idea sbagliata di come sono io ora.”
“Non credi che la verità su di te possa farti più bello agli occhi degli altri?”
“Il mondo è cattivo…”.
“Non hai fiducia nella capacità di comprensione dei tuoi simili?”.

Ecco Anna che rientrando, ha sentito delle voci in cucina.

“Aspetta, non andare via; abbiamo ancora tante cose da dirci. In privato Tu ed io soltanto...”.
“Con chi parlavi?”
“Ah? Come dici? Ti sembrerà assurdo: stavo facendo un discorso con Dio.”
“Dimmi, hai bevuto altro vino, vero? Te l’ho detto altre volte, la sera non dovresti bere. Non ti fa bene.”
“Eppure era lì. L’ho visto e mi parlava amichevolmente.”
“Andiamo, un’ora di noia alla televisione poi andiamo a letto.”

Commenti

  1. Quanto mai appropriato: le gole dell'infernaccio...bravo Giuseppe; cavalchi l'onda più di me!

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