A PROPOSITO DEL COLOMBRE

Qualcuno sa perché Wakefield, un uomo normale, ragionevole, marito e padre affettuoso, ad un certo punto della vita lascia la sua famiglia e va a vivere in un alloggio che da provvisorio diventa la sua casa per più di venti anni, posta a pochi passi dalla casa dove vivono la moglie e i figli, che egli di nascosto va a spiare dietro i vetri della finestra, vedendoli crescere e vivere senza di lui e tuttavia non trova la forza di rompere quella sorta di malia che lo ha preso e fatto sprofondare in una solitudine dell'anima che lo fa sentire un reietto del mondo intero, ed aprire quella porta e riabbracciare i suoi cari, dicendo "Ecco sono tornato", se non quando un giorno, per caso, senza volerlo si trova a riparare in quella casa per un accidente qualsiasi e il quadro della vita familiare si ricompone come se nulla fosse accaduto?

Buzzati, illustrazione - Il Colombre, 1970

Oppure perché l'onesto Bartleby, scrivano attento e puntuale, ad ogni richiesta del suo capo ufficio di eseguire un ordine, oppone sempre il suo rifiuto, dicendo immancabilmente "Preferirei di no"? O qual è l'oscuro impulso che spinge il protagonista della novella di Pirandello "La Carriola" a prendere il proprio cane per le zampe posteriori e farlo camminare sulle sole zampe anteriori? È che il comportamento umano non è tutto inquadrabile entro caselle ben definite con codici di decifrazione sempre a disposizione, nonostante il parere degli psicologi che pensano di aver fatto della psiche non più una "Pianura Proibita", ma un luogo agevole da percorrere, come un sentiero di montagna, ben tenuto dalle guide alpine, con frecce direzionali e indicazione dei chilometri mancanti per la meta e del dislivello da superare.

Così pure è con la storia del Colombre; di comportamenti incongrui, di atteggiamenti sbagliati, di fini mal riposti, di fatti apparentemente inspiegabili, è piena la letteratura che di essi è una riproduzione in diretta e questo anzi è il bello di questo campo dove fioriscono piante bellissime insieme a sterpi ed erbacce ed è cura del lettore fare una selezione ed indagare sulle ragioni che hanno condotto la storia a quel punto intorno al quale il nostro pensiero si arrovella per la smania di capire. L'opera d'arte, oltre al piacere estetico della osservazione in sé, deve far riflettere e questo è il campo in cui vogliamo perderci per ritrovarci. Non importa se non capiamo tutto: le zone d’ombra sono quelle che più affascinano ed attirano ed un po' di mistero non guasta.

Mia figlia Valentina che di ogni cosa vuole comprendere fino in fondo il come e il perché, si è soffermata sulla figura del Colombre, fortemente impressionata dalla lettura del racconto di Buzzati, facendo diverse ipotesi sulle motivazioni che avrebbero potuto esserci dietro il comportamento del suo antagonista, il marinaio Stefano, vittima delle paure superstiziose del padre, che passa l'intera sua vita a temere quello che in realtà avrebbe potuto renderlo felice. Ma allora questo personaggio ha sbagliato tutto nella vita? La risposta è "no", perché comunque è diventato quello che credeva di voler essere, un marinaio bello e fatto che anzi nella maledizione che lo perseguita, trova una ragione di vita e di lotta.

In questo senso, secondo Valentina, Stefano ha "bisogno" del Colombre e la sua fuga forse è una caccia, "cercata" per mettersi alla prova. Per questo egli si specializza nell'arte marinaresca. Ma nello stesso tempo la risposta è "sì", perché troppo tardi egli si decide a compiere il passo decisivo ed affrontare il "mostro", guardarlo in faccia e gridargli la sua paura e la sua follia. E il mostro si rivela essere, non la sua dannazione, ma la sua salvezza. Il suo animo avrebbe avuto bisogno di liberarsi da false credenze per trovare pace e tranquillità, proprio quello che il Colombre aveva cercato di consegnargli come dono del re del mare, una perla di inusitata grandezza e lucentezza, che lo avrebbe messo al riparo da ogni affanno. Ma lui, Stefano, sceglie l'angoscia e la lotta, inane, visto che il suo nemico era una proiezione della sua paura. Ed infatti l'oggetto trovato nella mano dello scheletro di Stefano non era una perla, ma una pietra. La felicità è semplice, non ha bisogno di essere di grande valore, ma diventa preziosa, per chi sa trovarla. Una perla se sai coglierla, una pietra se stretta in una mano ischeletrita di un morto.

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