ASSERTIVITA'
Conobbi Pier Paolo Pasolini nei primi anni '70. Venne a Teramo una sera invitato da un circolo di sinistra e tenne una conferenza al Ridotto dell'Apollo, una saletta per pochi, eravamo una cinquantina di persone accorse ad ascoltarlo. Avevo allora intorno ai 35 anni, una moglie, quattro figli e tanti sogni nel cassetto. Di lui avevo letto i romanzi "Una Vita Violenta" e "Ragazzi di Vita" e visto i primi film, che partendo dallo stesso tema, poi avevano esplorato altri campi con successo crescente, "Mamma Roma", "Uccellacci e Uccellini", "La Ricotta", "Teorema" e, soprattutto, "Il Vangelo secondo Matteo".
Erano gli anni degli "Scritti Corsari" in cui Pasolini aveva messo sotto la lente di ingrandimento le trasformazioni della società italiana per via di quella che egli chiamava l'omologazione dei giovani, con la scomparsa delle lucciole. Una metafora per dire che non esisteva più una differenza tra sinistra e destra, tra capelloni di destra e "belle nuche" di sinistra, ma tutti erano ricompresi nel mazzo della avanzante nuova fascistizzazione che soffocava la società italiana. Posizione che lo contrapponeva all'establishment, ma anche al Partito Comunista Italiano dal quale era stato espulso. Un plauso - a mezza bocca - aveva però ricevuto da fonti del Vaticano per la sua interpretazione del Vangelo.
All'epoca Pasolini era il personaggio più controverso, amato ed odiato da amici e nemici, grande letterato, pensatore dalle idee rivoluzionarie, eretico della sinistra. C'era inoltre il problema dell'omosessualità praticata in maniera quanto mai esplicita, che metteva in imbarazzo non pochi ammiratori delle sue opere letterarie. La conferenza si tenne in un'atmosfera di semi clandestinità e Pasolini parlava in modo asciutto, pacato, assertorio quanto bastava a farci tacere tutti. Alla fine della conferenza, si accese un dibattito nel quale molti presero la parola. Ci fu un insegnante di letteratura italiana del locale Liceo Classico, il quale fece di tutto per mettersi in luce con domande, preparate a tavolino, con l'intento di metterlo in imbarazzo. Io non chiesi niente perché preso alla sprovvista, le cose che mi vennero in mente mi sembrarono delle banalità e quindi mi astenni. Fatto sta che Pasolini, ad un certo punto, seccato dall'insistenza di quel professore che cavillava non ricordo su quale aspetto marginale della questione, disse che le domande che egli gli aveva posto erano da libro di testo scolastico, che non avrebbe dovuto rivolgere a lui ma ai suoi alunni e troncò la discussione. Nella gazzarra finale, riuscii ad avvicinarmi al grande scrittore e a stringergli la mano. Il suo sguardo si posò su di me distratto, come guardasse qualcosa che era dietro di me, poi i suoi occhi si ravvivarono e mi misero a fuoco. Mi sorrise, come se mi avesse riconosciuto e disse: "bella nuca, credevo non ce ne fossero più..."
Ho sempre pensato che l'assertività fosse una qualità dubbia che poteva facilmente diventare un difetto, in quanto fondata sulla imposizione della propria opinione, anche se in un contesto non competitivo e nel rispetto delle idee altrui, proprio perché inevitabilmente tesa alla affermazione della personalità di colui che parla. Ho appreso poi che essa invece è la capacità di esprimere il proprio pensiero o le proprie emozioni, in modo chiaro ed inequivocabile, rimanendo sempre a metà strada tra due poli, che sono da un lato la passività, che equivale al non avere la capacità di esprimersi e dall'altro, invece, l'aggressività, che è l'atteggiamento di colui che vuole imporre la propria idea con la forza. Se rimane entro questi limiti, l'assertività è sempre positiva.
Alla fine ho capito che l'assertività è una qualità che discende dalla autorevolezza di chi esprime la sua opinione, senza perdere di vista il proprio interesse, con fermezza, chiarezza e in modo garbato, da non offendere nessuno. Se le argomentazioni sono autorevoli, allora l'assertività è ben tollerata da chi ascolta, che ne è ammirato. Viceversa se l'assertività è solamente autoreferenzialità, supponenza, finisce con l'essere irritante e si presta ad ogni contestazione.
Bella nuca - 2018 |
Erano gli anni degli "Scritti Corsari" in cui Pasolini aveva messo sotto la lente di ingrandimento le trasformazioni della società italiana per via di quella che egli chiamava l'omologazione dei giovani, con la scomparsa delle lucciole. Una metafora per dire che non esisteva più una differenza tra sinistra e destra, tra capelloni di destra e "belle nuche" di sinistra, ma tutti erano ricompresi nel mazzo della avanzante nuova fascistizzazione che soffocava la società italiana. Posizione che lo contrapponeva all'establishment, ma anche al Partito Comunista Italiano dal quale era stato espulso. Un plauso - a mezza bocca - aveva però ricevuto da fonti del Vaticano per la sua interpretazione del Vangelo.
All'epoca Pasolini era il personaggio più controverso, amato ed odiato da amici e nemici, grande letterato, pensatore dalle idee rivoluzionarie, eretico della sinistra. C'era inoltre il problema dell'omosessualità praticata in maniera quanto mai esplicita, che metteva in imbarazzo non pochi ammiratori delle sue opere letterarie. La conferenza si tenne in un'atmosfera di semi clandestinità e Pasolini parlava in modo asciutto, pacato, assertorio quanto bastava a farci tacere tutti. Alla fine della conferenza, si accese un dibattito nel quale molti presero la parola. Ci fu un insegnante di letteratura italiana del locale Liceo Classico, il quale fece di tutto per mettersi in luce con domande, preparate a tavolino, con l'intento di metterlo in imbarazzo. Io non chiesi niente perché preso alla sprovvista, le cose che mi vennero in mente mi sembrarono delle banalità e quindi mi astenni. Fatto sta che Pasolini, ad un certo punto, seccato dall'insistenza di quel professore che cavillava non ricordo su quale aspetto marginale della questione, disse che le domande che egli gli aveva posto erano da libro di testo scolastico, che non avrebbe dovuto rivolgere a lui ma ai suoi alunni e troncò la discussione. Nella gazzarra finale, riuscii ad avvicinarmi al grande scrittore e a stringergli la mano. Il suo sguardo si posò su di me distratto, come guardasse qualcosa che era dietro di me, poi i suoi occhi si ravvivarono e mi misero a fuoco. Mi sorrise, come se mi avesse riconosciuto e disse: "bella nuca, credevo non ce ne fossero più..."
Ho sempre pensato che l'assertività fosse una qualità dubbia che poteva facilmente diventare un difetto, in quanto fondata sulla imposizione della propria opinione, anche se in un contesto non competitivo e nel rispetto delle idee altrui, proprio perché inevitabilmente tesa alla affermazione della personalità di colui che parla. Ho appreso poi che essa invece è la capacità di esprimere il proprio pensiero o le proprie emozioni, in modo chiaro ed inequivocabile, rimanendo sempre a metà strada tra due poli, che sono da un lato la passività, che equivale al non avere la capacità di esprimersi e dall'altro, invece, l'aggressività, che è l'atteggiamento di colui che vuole imporre la propria idea con la forza. Se rimane entro questi limiti, l'assertività è sempre positiva.
Alla fine ho capito che l'assertività è una qualità che discende dalla autorevolezza di chi esprime la sua opinione, senza perdere di vista il proprio interesse, con fermezza, chiarezza e in modo garbato, da non offendere nessuno. Se le argomentazioni sono autorevoli, allora l'assertività è ben tollerata da chi ascolta, che ne è ammirato. Viceversa se l'assertività è solamente autoreferenzialità, supponenza, finisce con l'essere irritante e si presta ad ogni contestazione.
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