ENTROPIA

Chi ha la forza di seguirmi, sappia che io per poter usare, anche solo marginalmente la parola "entropia" ho dovuto fare esercizi di umiltà e chiedere perdono in anticipo, davanti ai sacerdoti delle scienze (vi piace la contrapposizione "sacerdoti" – "scienze"?) perché è come se profanassi un tempio del quale non sono né adepto, né frequentatore casuale, ma un vero e proprio intruso che potrebbe far solo danno. Mi associo infatti, anche qui chiedendo il permesso, a quanto detto da Roberto Bolaño, quando ha affermato che le le sue conoscenze in materia di fisica sono imbarazzanti, aggiungendo che il mio imbarazzo si estende a molte altre materie e tante altre discipline con la prima collegate, quali la meccanica quantistica e la termodinamica, la meccanica statistica, la teoria del tempo, quella del caos, che invece sono il campo proprio dell'entropia.

Argille scagliose (Monteveglio, BO - 2012)

Mi è di conforto apprendere che non esiste una definizione dell'entropia, quanto meno non una definizione univoca, essendo troppo vasto il terreno di applicazione di essa. Da buon profano curioso, mi limito quindi a parlare di ciò che più mi affascina di questo termine, che è l'incertezza, per cui tutto può essere ribaltato, rivisto, acquisito, cancellato. L'incertezza che governa ogni nostra azione. E la trasformazione. La parola infatti deriva dal greco "en" cioè "in" oppure "dentro" e "tropè" cioè "trasformazione" e indica il passaggio da uno stato all'altro o da uno stadio all'altro.

L'entropia ha a che fare con la teoria del caos, il calcolo delle probabilità, l'ordine e il disordine, l'inizio e la fine di ogni cosa. Di questa teoria, che come ho letto, è passibile di estensione concettuale infinitamente grande, prenderei, soltanto la più piccola parte, che poi sarebbe proprio questa sua capacità di proliferazione di tante altre idee, di estensione all'infinito e quindi tanto piccola non dovrebbe essere. Il mondo si regge sulla diversità, non sulla differenza. Diversità delle specie, diversità delle idee.

Della parola "dicotomia", a differenza di quanto da me affermato nel mio precedente post, si dice quasi sempre che è "insanabile", una separazione che non si può ricongiungere. Ora c'è una dicotomia che da sempre si è creata tra chi crede e chi non crede. Ed essa è veramente insanabile, in quanto le due opposte tesi si fronteggiano ideologicamente, senza avere uno straccio di prova (come direbbe il detective di un serial). C'è la teoria creazionista e c'è quella evoluzionista. La prima si basa sull'esistenza di un Demiurgo creatore di tutto, la seconda sul caso. Poi ci sono i deterministi, per i quali il caso non esiste, tutto è determinato da una logica razionale. Anche il passaggio dal caos all'ordine non è avvenuto per caso.

Il grande scienziato Stephen Hawking, scomparso da poco, che ha scritto quel libro-manifesto che è ormai il notissimo "Dal Big Bang ai Buchi Neri", ateo coerente ha affermato fino in ultimo che Dio non può esistere, perché prima del Big Bang il tempo non esisteva e così conclude: "Ciascuno di noi è libero di credere ciò che vuole. Dal mio punto di vista la spiegazione più semplice è che non ci sia alcun Dio, nessuno ha creato l’universo e nessuno decide il nostro destino. Questo mi porta a una rivelazione profonda: probabilmente non esiste il paradiso né una vita ultraterrena, abbiamo solo questa vita per apprezzare il grande disegno dell’universo e io di questa vita sono estremamente grato".

Sembra che lo stesso Hawking, dubiti quando introduce quel "probabilmente". D'altro canto, seguendo il suo ragionamento, se all'origine non esisteva un tempo entro cui potesse esistere un Dio, ci si dovrebbe anche rendere ragione di come, nell'assenza di tutto, tempo, spazio, materia ed energia, si sia potuto originare il caos e sia potuto avvenire il famoso bing bang. Ognuno pensi quel che vuole, ma nessuno può avere la certezza di quello che crede.

Non abbiamo certezze, ma abbiamo opinioni. Nell'incontro-confronto delle diverse opinioni, la conoscenza si trasforma e si perfeziona. Nel nostro mondo in cui l'entropia sembra avere una rilevanza davvero notevole, pervasiva com'è, non era difficile immaginare che essa abbia potuto invadere anche il campo delle parole e della loro origine.

Esiste infatti anche una entropia semantica che si occupa proprio di questo. Italo Calvino ne parla nelle sue Lezioni Americane, nel capitolo dedicato all'Esattezza: "Il gusto della composizione geometrizzante, di cui potremmo tracciare una storia nella letteratura mondiale... ha sullo sfondo l’opposizione ordine-disordine, fondamentale nella scienza contemporanea. L’universo si disfa in una nube di calore, precipita senza scampo in un vortice d’entropia, ma all'interno di questo processo irreversibile possono darsi zone d’ordine, porzioni d’esistente che tendono verso una forma, punti privilegiati da cui sembra di scorgere un disegno, una prospettiva. L’opera letteraria è una di queste minime porzioni in cui l’esistente si cristallizza in una forma, acquista un senso, non fisso, non definitivo, non irrigidito in una immobilità minerale, ma vivente come un organismo".

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