PIEVE
Eravamo in tre sulla collina dopo una camminata che ci aveva portato lontano, lungo boschi e pianure, poi la salita, leggera, costante ed eccoci là, tra un ciuffetto di piante, un palo mezzo storto con una lampada impolverata, spenta e un filo elettrico che pendeva a valle, ondeggiante al minimo soffio di vento.
La Pieve era lì, sotto gli alberi, la piccola facciata in parte coperta dalle foglie, la porta di legno mangiata dai tarli socchiusa; in alto un piccolo rosone coperto di ragnatele, sulla soglia due scalini di pietra liscia bianca consumata da chissà quanti passi di piedi e scarpe di umile gente che la domenica saliva lassù con l'abito della festa, allegra, perché sollevata dal peso del lavoro, per devozione o per il piacere di ritrovarsi tra altra gente e dare una spolveratina alle usanze tramandate dagli avi. E ristava sul sagrato dopo le funzioni, a gruppetti, per rinsaldare amicizie e conoscenze. Il campanile, quadrato, basso, si ergeva poco discosto dal muro laterale della pieve, con l'unica campana che ora taceva, dopo avere per lungo tempo, fatto sentire la sua voce, ad ogni ricorrenza, all'Ave, al Vespro, per i morti, per avvertire dei pericoli e per le feste.
Giuseppe e Leonardo giunsero per primi sulla sommità, affannati per l'ultimo tratto di corsa, allegri per l'amenità del luogo, ma appena furono di fronte a quell'umile costruzione di pietra, si fermarono e si guardarono in giro sorpresi, quasi commossi per l'improvvisa sensazione di essere entrati in un recinto sacro, ora desueto ma che aveva contenuto tanta umanità, che richiedeva rispetto, ma soprattutto emanava sentimenti di dolcezza. Quel posto aveva conosciuto milioni di facce, di donne di uomini, di bambini, e condiviso momenti di felicità, e ore di disperazione, di intere generazioni, persone vissute e scomparse senza lasciare traccia.
Leonardo fu il primo ad arrestarsi, il volto illuminato dagli ultimi raggi del sole che forando il fogliame, indoravano a chiazze il terreno. Sembrava rapito, come da un incanto; si avvicinò cauto, sfiorando la porta, gli scalini. Giuseppe guardava e tutto sembrava immobile, fermo nel tempo, tra passato e presente, chissà perché ebbe la sensazione di sentirsi più vicino a suo figlio. Volse indietro il capo e vide che stavo arrivando sul pianoro e mi fermavo ignaro; ''che succede quassù"?
L'interno della Pieve era vuoto, immerso nella penombra, aria ristagnante, un unico raggio di luce si proiettava da una finestrella laterale sui primi banchi, presso l'altare, formando un alone di minuscoli corpi danzanti che si proiettava verso un vecchio crocifisso di ferro posto su di esso. I nostro passi risuonarono nel vuoto come echi lontani ed allora avanzammo con maggiore circospezione, sfiorando appena il pavimento che era di mattoni consunti. Dopo un attimo, gli occhi si adattarono a quelle condizioni di luce e videro che no, non era deserta. C'era una bambina che saltellava lungo il corridoio di sinistra, il più lontano da noi, la quale appena ci sentì, smise il suo gioco ci guardò a lungo con uno sguardo intenso e ci voltò le spalle, rimanendo immobile a fianco della fila di banchi. Era vestita in modo strano, un grembiule d'altri tempi e i capelli raccolti in due treccioline ai lati della testa. Non disse nulla.
Ecco che ad un tratto, da una porticina laterale, a destra dell'altare, uscì un prevosto con la sinistra reggeva una coppa con la destra aperta sopra, ne proteggeva il contenuto, attraversò il breve spazio dalla porta all'altare, fece un inchino al centro dell'area, e si avvicinò all'altare, deponendo quello che portava sul piano grezzo del tavolo. Si voltò, impartì la benedizione ma sembrava non vederci. La bambina si appressò al sacerdote, quasi sfiorandolo, restarono così girati di spalle a capo chino, recitando preghiere e poco dopo si voltarono di lato all'unisono e si avviarono lui davanti a passo svelto, la bimba che saltellava per tenergli dietro, verso la porta e scomparvero. Un po' disorientati, ci guardammo intorno, forse in cerca di altri sortilegi, ma non ce ne furono. In fondo alla chiesa, il fonte battesimale sembrava una conchiglia rovesciata, ai lati, lungo i muri perimetrali pendevano quadretti rustici della via crucis e ad una estremità della stanza una statua di cartapesta, di grandezza naturale, della Madonna nel tradizionale abito celeste sembrava a disagio, il volto sfigurato dall'umidità, la veste macchiata in più punti. Al centro i pochi banchi ancora utilizzabili, male allineati. Sull'altare non restava più nulla.
Quanto tempo siamo rimasti? Non lo so. Abbiamo fatto il giro della chiesuola in silenzio, attenti a non fare il minimo rumore per paura di svegliare chissà quali dormienti, toccando appena i banchi; ci siamo affacciati alla porta della sagrestia in cerca del prevosto e della bambina, ma l'abbiamo trovata vuota. Sfiorando l'ampia pietra del fonte battesimale, asciutta e levigata, all'uscita, ci siamo girati per guardare un'ultima volta verso l'interno, prima di uscire.
Leonardo per primo, poi Giuseppe infine io. Passarono attimi prima che riuscissimo a ritrovare la via del ritorno. Nessuno di noi disse una parola. In compenso i piedi volavano leggeri lungo la pendenza del terreno. Fuori dal recinto sacro si respirava un'aria di rinvenimento.
P.S. La Pieve è una chiesa di campagna. Ha origini lontanissime,che risalgono fino ai primi tempi del cristianesimo, in epoca imperiale romana. Il nome deriva dal latino "plebs", popolo e servì ad individuare al principio sia la comunità dei battezzati che l'edificio dove essa aveva la sede. Nell'alto medioevo (*) svolgeva funzioni sia religiose sia amministrative. Il pievano o pievosto era oltre che il governatore delle anime, anche il funzionario delegato alla municipalità: teneva il registro delle nascite, conservava i testamenti, riscuoteva le tasse e le decime, assolveva a tutti i compiti delegati dal potere centrale specialmente nelle zone rurali dove era più difficile l'accesso. Nel basso medioevo le stesse funzioni passarono alle parrocchie e le pievi cominciarono a decadere.
(*) Alto e Basso, Vicino o Lontano sono concetti relativi. Per quanto riguarda la storia, ho l'impressione che nella descrizione che ce ne hanno dato, essa appaia come una cosa che ci sovrasta . Alto Medioevo è quel periodo del Medioevo che è più lontano da noi, più antico. Basso è il periodo che lo seguì, a noi più vicino. In seguito la dizione Basso M.E., assunse anche una connotazione dispregiativa per indicare un periodo in cui il disfacimento delle istituzioni giunse al massimo grado.
In geografia avviene qualcosa di simile. Il concetto di "oltre" o di "presso", dipende dal punto in cui ci si colloca, in genere dal centro del paese o della municipalità. Ad esempio "l'oltre Po pavese", è il territorio che è a sud della città, al di là del fiume Po. Visto da noi, l'oltrepo pavese è a sud e di qua dal Po. L'Abruzzo in epoca borbonica er diviso in due circoscrizioni amministrative, Abruzzo al di qua del fiume Pescara, chiamato Citra, perchè più vicino al potere centrale che era a Napoli e Abruzzo Ultra che era al di là dello stesso fiume, verso nord, il territorio più lontano da Napoli. La Fortezza di Civitella, nell' Abruzzo Ultra era ai confini dello stato pontificio.
Pieve di Trebbio (MO) - 2015 |
La Pieve era lì, sotto gli alberi, la piccola facciata in parte coperta dalle foglie, la porta di legno mangiata dai tarli socchiusa; in alto un piccolo rosone coperto di ragnatele, sulla soglia due scalini di pietra liscia bianca consumata da chissà quanti passi di piedi e scarpe di umile gente che la domenica saliva lassù con l'abito della festa, allegra, perché sollevata dal peso del lavoro, per devozione o per il piacere di ritrovarsi tra altra gente e dare una spolveratina alle usanze tramandate dagli avi. E ristava sul sagrato dopo le funzioni, a gruppetti, per rinsaldare amicizie e conoscenze. Il campanile, quadrato, basso, si ergeva poco discosto dal muro laterale della pieve, con l'unica campana che ora taceva, dopo avere per lungo tempo, fatto sentire la sua voce, ad ogni ricorrenza, all'Ave, al Vespro, per i morti, per avvertire dei pericoli e per le feste.
Giuseppe e Leonardo giunsero per primi sulla sommità, affannati per l'ultimo tratto di corsa, allegri per l'amenità del luogo, ma appena furono di fronte a quell'umile costruzione di pietra, si fermarono e si guardarono in giro sorpresi, quasi commossi per l'improvvisa sensazione di essere entrati in un recinto sacro, ora desueto ma che aveva contenuto tanta umanità, che richiedeva rispetto, ma soprattutto emanava sentimenti di dolcezza. Quel posto aveva conosciuto milioni di facce, di donne di uomini, di bambini, e condiviso momenti di felicità, e ore di disperazione, di intere generazioni, persone vissute e scomparse senza lasciare traccia.
Leonardo fu il primo ad arrestarsi, il volto illuminato dagli ultimi raggi del sole che forando il fogliame, indoravano a chiazze il terreno. Sembrava rapito, come da un incanto; si avvicinò cauto, sfiorando la porta, gli scalini. Giuseppe guardava e tutto sembrava immobile, fermo nel tempo, tra passato e presente, chissà perché ebbe la sensazione di sentirsi più vicino a suo figlio. Volse indietro il capo e vide che stavo arrivando sul pianoro e mi fermavo ignaro; ''che succede quassù"?
L'interno della Pieve era vuoto, immerso nella penombra, aria ristagnante, un unico raggio di luce si proiettava da una finestrella laterale sui primi banchi, presso l'altare, formando un alone di minuscoli corpi danzanti che si proiettava verso un vecchio crocifisso di ferro posto su di esso. I nostro passi risuonarono nel vuoto come echi lontani ed allora avanzammo con maggiore circospezione, sfiorando appena il pavimento che era di mattoni consunti. Dopo un attimo, gli occhi si adattarono a quelle condizioni di luce e videro che no, non era deserta. C'era una bambina che saltellava lungo il corridoio di sinistra, il più lontano da noi, la quale appena ci sentì, smise il suo gioco ci guardò a lungo con uno sguardo intenso e ci voltò le spalle, rimanendo immobile a fianco della fila di banchi. Era vestita in modo strano, un grembiule d'altri tempi e i capelli raccolti in due treccioline ai lati della testa. Non disse nulla.
Ecco che ad un tratto, da una porticina laterale, a destra dell'altare, uscì un prevosto con la sinistra reggeva una coppa con la destra aperta sopra, ne proteggeva il contenuto, attraversò il breve spazio dalla porta all'altare, fece un inchino al centro dell'area, e si avvicinò all'altare, deponendo quello che portava sul piano grezzo del tavolo. Si voltò, impartì la benedizione ma sembrava non vederci. La bambina si appressò al sacerdote, quasi sfiorandolo, restarono così girati di spalle a capo chino, recitando preghiere e poco dopo si voltarono di lato all'unisono e si avviarono lui davanti a passo svelto, la bimba che saltellava per tenergli dietro, verso la porta e scomparvero. Un po' disorientati, ci guardammo intorno, forse in cerca di altri sortilegi, ma non ce ne furono. In fondo alla chiesa, il fonte battesimale sembrava una conchiglia rovesciata, ai lati, lungo i muri perimetrali pendevano quadretti rustici della via crucis e ad una estremità della stanza una statua di cartapesta, di grandezza naturale, della Madonna nel tradizionale abito celeste sembrava a disagio, il volto sfigurato dall'umidità, la veste macchiata in più punti. Al centro i pochi banchi ancora utilizzabili, male allineati. Sull'altare non restava più nulla.
Quanto tempo siamo rimasti? Non lo so. Abbiamo fatto il giro della chiesuola in silenzio, attenti a non fare il minimo rumore per paura di svegliare chissà quali dormienti, toccando appena i banchi; ci siamo affacciati alla porta della sagrestia in cerca del prevosto e della bambina, ma l'abbiamo trovata vuota. Sfiorando l'ampia pietra del fonte battesimale, asciutta e levigata, all'uscita, ci siamo girati per guardare un'ultima volta verso l'interno, prima di uscire.
Leonardo per primo, poi Giuseppe infine io. Passarono attimi prima che riuscissimo a ritrovare la via del ritorno. Nessuno di noi disse una parola. In compenso i piedi volavano leggeri lungo la pendenza del terreno. Fuori dal recinto sacro si respirava un'aria di rinvenimento.
P.S. La Pieve è una chiesa di campagna. Ha origini lontanissime,che risalgono fino ai primi tempi del cristianesimo, in epoca imperiale romana. Il nome deriva dal latino "plebs", popolo e servì ad individuare al principio sia la comunità dei battezzati che l'edificio dove essa aveva la sede. Nell'alto medioevo (*) svolgeva funzioni sia religiose sia amministrative. Il pievano o pievosto era oltre che il governatore delle anime, anche il funzionario delegato alla municipalità: teneva il registro delle nascite, conservava i testamenti, riscuoteva le tasse e le decime, assolveva a tutti i compiti delegati dal potere centrale specialmente nelle zone rurali dove era più difficile l'accesso. Nel basso medioevo le stesse funzioni passarono alle parrocchie e le pievi cominciarono a decadere.
(*) Alto e Basso, Vicino o Lontano sono concetti relativi. Per quanto riguarda la storia, ho l'impressione che nella descrizione che ce ne hanno dato, essa appaia come una cosa che ci sovrasta . Alto Medioevo è quel periodo del Medioevo che è più lontano da noi, più antico. Basso è il periodo che lo seguì, a noi più vicino. In seguito la dizione Basso M.E., assunse anche una connotazione dispregiativa per indicare un periodo in cui il disfacimento delle istituzioni giunse al massimo grado.
In geografia avviene qualcosa di simile. Il concetto di "oltre" o di "presso", dipende dal punto in cui ci si colloca, in genere dal centro del paese o della municipalità. Ad esempio "l'oltre Po pavese", è il territorio che è a sud della città, al di là del fiume Po. Visto da noi, l'oltrepo pavese è a sud e di qua dal Po. L'Abruzzo in epoca borbonica er diviso in due circoscrizioni amministrative, Abruzzo al di qua del fiume Pescara, chiamato Citra, perchè più vicino al potere centrale che era a Napoli e Abruzzo Ultra che era al di là dello stesso fiume, verso nord, il territorio più lontano da Napoli. La Fortezza di Civitella, nell' Abruzzo Ultra era ai confini dello stato pontificio.
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