APOTROPAICO

Tra i difetti che un uomo può avere, a parte i vizi che sono sempre da rifuggire, ve ne sono che si possono tollerare, anzi a volte arricchiscono la personalità del soggetto, rendendolo più simpatico, sia perché la perfezione - se esistesse - non sarebbe sopportabile, ma soprattutto per il fatto che ci fanno vedere l'amico, il conoscente o il personaggio, sotto una luce diversa, più umana, scoprendone le piccole debolezze di ogni giorno.

Più volte ho parlato del mio amico Alfredo, eccezionale per molti motivi, tetragono nelle sue convinzioni, cacciatore eccentrico dell'inusuale, il quale aveva un simpatico difetto, consistente nel piacere della contraddizione ad oltranza e non era sempre perfettamente coerente con quanto affermava, concedendosi la libertà di dire ciò che voleva, senza vincoli di sorta, anche in aperto contrasto con le sue convinzioni.


Perché il vero credente ammette delle eccezioni che a volte possono paradossalmente apportare nuova luce al credo. Questo atteggiamento è segno di apertura, di elasticità mentale, libertà dello spirito e magnanimità, con se stesso e quindi anche con gli altri, cioè significa essere tolleranti. Si trattava di contraddizioni feconde, che fiorivano in un campo di per sé già molto fertile. Tra queste, in forte contrasto con le sue idee di base, il gusto dell'apotropaico (1), del superstizioso consapevole, anzi d'elezione.

Alfredo si arrestava se un gatto nero gli attraversava la strada, toccava ferro quando vedeva passare un carro funebre, non passava sotto una scala appoggiata al muro, usava altri sortilegi, scongiuri e scaramanzie per tante altre situazioni, affermando solennemente di essere superstizioso. Affermava di essere fortunato, cioè non solo baciato, ma prediletto dalla fortuna e questo per lui era come una fede.

Altre fedi aveva radicate nel suo animo, per la famiglia, il socialismo e le "sorti belle e progressive dell'umanità", che lo ponevano una spanna più in alto di tanti altri che affermavano di credere in quello in cui lui invece non credeva, cioè la fede religiosa, sostituita in lui da una fede laica altrettanto profonda e proficua. A questo proposito, ecco un'altra delle sue contraddizioni che facevano vedere in lui riflessi di umanità, nelle sue debolezze, a dispetto di un ateismo conclamato, si dichiarava devoto del santo che portava il suo nome, S. Alfredo, alla cui ricorrenza, il 14 agosto di ogni anno, teneva moltissimo come occasione per riunire parenti ed amici a far festa in suo onore.



(1) Apotropaico, dal greco "apo" "da" e "tropein", "allontanare", con il significato di "tenere lontano da" è ogni sorta di amuleto, talismano, portafortuna, che serve a tenere lontano gli spiriti maligni, la mala sorte e il malocchio. Può essere un gesto, un oggetto, una fattura; oppure una pozione, o filtri preparati da stregoni o fattucchiere, sempre allo stesso scopo.

P.S. La zia Gina, della quale ho parlato in diverse occasioni, da ragazza, vivendo in paese (Città S. Angelo, allora provincia di Teramo, successivamente annessa all'allora neo provincia di Pescara), aveva frequentato molte persone anziane, soprattutto donne, dalle quali aveva appreso molte cose su usi e costumi, credenze e "rimedi" per alcune affezioni, che erano patrimonio degli antichi.

Tra queste, una pratica che noi chiamavamo "fare l'invidia", alla quale si ricorreva in caso di dolori di testa persistenti, attraverso la quale era possibile accertare se questo disturbo potesse essere provocato da invidia da parte di qualcuno o no.

Consisteva nel mettere in un piatto  fondo dell' acqua, intingere un pollice nell'olio contenuto in  un cucchiaio, disegnare con esso sulla fronte del sofferente segni di croce ripetuti, recitando formule magiche e poi far cadere delle gocce d'olio nell'acqua ed attendere il responso.

A seconda delle forma che le gocce, cadendo, assumevano nel piatto, tonde, nette e separate o sfrangiate e confuse, la "maga" officiante indovinava se c'era o no l'influenza maligna di un qualche invidioso e, in caso affermativo, con lo stesso pollice 'accecava' le gocce d'olio galleggianti, come fossero gli occhi maligni dell'invidioso; quindi recitava la formula finale che aveva lo scopo di allontanare il malocchio dalla persona che ne era affetta.

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