SOPPIATTO
Dove pensi di andare, così, quatto quatto?
Chiese Sebastiano a Pancrazio che si stava dirigendo, fuori dall’orario delle
lezioni, verso la porta del Circolo, guardandosi intorno con una certa cautela.
Che vuoi dire? Lo apostrofò di malagrazia Pancrazio, arrestandosi
ombroso.
Hai un’aria circospetta, come debbo dire, passi davanti a me
così alla chetichella, gatton gattoni, senza neanche salutare. Ti sembra
normale? Cerchi qualcosa?
Ebbene sì. Sto andando nell’aula perché debbo fare una
ricerca.
Non dirmi che hai scoperto il vocabolario; dimmi, quale
dubbio ti assale? Chiedi a me, vediamo se ti posso aiutare.
È che ho incontrato Lucio, quello che si fa chiamare
Rimiratore – che cosa rimira poi non lo so – il quale mi ha detto che lui e
quel tale professore che si porta dietro, hanno intenzione di entrare nel
nostro Circolo e di rubarci il soppiatto.
Vado in cerca del piatto che lui dice di volere. Ti risulta
che abbiamo un piatto?
Ma no, cerca sul vocabolario, “di soppiatto” vuol dire di
nascosto, vuol dire che vogliono entrare di nascosto, come hanno fatto altre
volte.
Caro Pancrazio, iniziò allora, con voce melliflua Oreste,
rivolto al compagno, il quale si arrestò sulla soglia, non appena si sentì nominare, come temesse un
agguato, tu sei un soppiattone, disse poi, pronunciando le parole con studiata
lentezza, così da suscitare un senso di attesa, anche da parte degli altri avventori
del bar.
Lo stesso Maurizio alzò la testa aspettando che chi aveva
iniziato quella conversazione chiarisse la sua affermazione spiegando cosa
intendesse dire e soprattutto quali fossero le sue intenzioni nei confronti del
nuovo arrivato: soppiattone era un termine offensivo, come sembrava, o era solo
un gioco?
Naturalmente, Oreste scherzava e si divertiva a stuzzicare l’ipersensibile
amico, il quale, non avendo compreso appieno quello che l’amico gli aveva
appena detto e, essendo ancora incerto su quale atteggiamento prendere, guarda,
gli disse, tanto per prendere tempo, che io con una sberla ti rimando in
Sicilia a coltivare arance, un piattolone sarai tu!
No, intervenne Maurizio, Oreste non ha detto piattolone, che
è un accrescitivo di piattola, - per alcuni, pidocchio, per altri scarafaggio,
ma, riferito a persona, significa “fastidioso come un insetto grande”. Ha
detto, invece, “soppiattone” che viene da “soppiatto”, una bella parola, che con
grande concisione descrive un tipo di comportamento certo non commendevole, ma
neanche tanto disdicevole, quello di chi entra in punta di piedi e di nascosto,
per non farsi vedere. Per fini sempre non molto nobili.
Nella nostra lingua, “soppiatto”, come aggettivo col
significato di “nascosto”, non esiste più, viene usato solamente come locuzione
avverbiale nella espressione “di soppiatto”. Esistono invece i derivati
soppiattare, che vuol dire nascondere e soppiattone, che si dice di persona dal
comportamento doppio.
La sua origine sembra che debba rintracciarsi nella unione
del prefisso “sot”, sotto, divenuto “sop”, più “piatto”, nel senso di cosa che
si possa ridurre a cosa appiattita per meglio riporla.
Ma, andando un poco
oltre questa interpretazione ufficiale, a me sembra che l’immagine che questa
parola, suscita sia proprio quella di chi ha i piedi piatti e li poggia a terra
con cautela, a palma piatta, come per tema di rompere le uova, senza il
naturale molleggio che normalmente si fa, per camminare, poggiando prima il
calcagno, poi la pianta ed infine la punta del piede.
Se è per questo, allora, disse pancrazio, piedipiatti lo è
più Sebastiano, che sta tutto il santo giorno in piedi dietro al bancone, che
non io, che a Colleminuccio, cammino per le campane e non mi fermo mai.
Faccio rilevare, volle aggiungere Maurizio, per eccesso di
zelo, che “soppiattare” non è da confondere con “soppiantare”, che significa
“subentrare ad un altro con mezzi sleali”.
Insomma ce n’è un po’ per tutti, vero? Ma tu, Oreste cosa
intendevi dire, con soppiattone, attribuito a Pancrazio?
Semplicemente che Pancrazio non ce la racconta giusta. Fa sempre
il dondolone, ci vuol far credere che lui non sa nulla, è invece poi ci
dimostra che è bene informato, se non su tutto, su buona parte.
Eh, no caro Oreste, di Napoleone non so proprio nulla, se
non che è nato a Nizza, quando era ancora italiana.
Ma no, che dici, corresse Sebastiano, quello è Garibaldi,
che poi riunì le camicie rosse, perché se la voleva riprendere, Napoleone è
nato ad Ajaccio, in Corsica. E la Corsica era già francese.
Ma Garibaldi non si voleva riprendere anche la Corsica?
Basta ragazzi, intervenne risolutamente Maurizio, state
facendo un grande pot-pourrì, la storia non si tratta così!
A proposito, sapete cos’è un pot-pourrì? No, vero? Con
questo francesismo si intendono in realtà tre cose molto diverse fra loro: uno
stufato di carni miste, o un insieme di verdure, o anche una composizione di
fiori secchi per profumare gli ambienti. Ma quello che qui ci interessa è il
significato di accozzaglia di cose molto variegate, che comunemente si dà con
esso.
Troppa carne a cuocere, hai ragione, concluse saggiamente
Pancrazio, abbiamo fatto un gran casino, mentre si trattava semplicemente di un
“sol-piatto”, probabilmente una ricetta di cucina che Lucio ci vuole rubare, adesso
l’ho capito!
Anteprima:
Per un po’, presi da altri pensieri, ci eravamo dimenticati
di Pancrazio, il quale, però, rispettando il nostro silenzio ha continuato a
frequentare, disciplinatamente il Circolo dell’Abecedario, sotto la guida
illuminata di Maurizio, esercitando le sue doti un po’ balorde, un po’
bizzarre, a volte geniali, al punto di sollevare la meraviglia del suo maestro
e dei suoi amici e compagni.
Come quando si è scontrato con la parola “soppiatto”.
Nessuno dica mai che Pancrazio entri di soppiatto in qualche
luogo, sia pure la canonica di Colleminuccio, dove un giorno andò a cercare il
prete che lo aveva cacciato dalla chiesa perché aveva detto che era comunista.
E le sue intenzioni allora erano buone.
Soppiatto è una locuzione che viene dal concetto che una
cosa piatta si possa meglio riporre, cioè nascondere, aveva detto il Maestro e,
da qui è venuta fuori l’espressione “di soppiatto”, che vuol dire, “di
nascosto”.
Piatto o non piatto, Pancrazio, quando entra, si vede e si
sente.
Perciò quella volta che Oreste osò dirgli che era un
soppiattone, fu mercé l’intervento di Maurizio, che lo frenò, se lo stesso
riuscì a spiegare cosa avesse voluto dire con quel termine, prima che l’energumeno
passasse a vie di fatto.
Soppiattone viene da soppiatto, aveva spiegato il Maestro e
quindi il soppiattone è uno che agisce nascondendo qualcosa, cioè è una persona
doppia.
Pancrazio aveva capito invece “piattolone” ed aveva pensato
ad una grossa piattola, una pulce, o scarafaggio, non sapeva bene, comunque un
qualche insetto schifoso.
Ma anche il fatto di essere ritenuto doppio, non gli andava
a genio, poi però pensò, c’è modo e modo di essere doppi, non può essere anche
un complimento?
Oreste si era affrettato a spiegargli che non aveva nessuna intenzione
di offenderlo e anzi intendeva esaltare la sua capacità di essere doppio proprio
in senso positivo: avere più cartucce in canna, o più frecce al suo arco, di
quanto volesse fare apparire.
Ma il discorso si è complicato, tra cartucce e frecce e lo
stesso Oreste si era perso e, messo alle strette, alla fine aveva dovuto ammettere
che, sì, il suo amico Pancrazio, mentre appariva un dondolone minaccioso,
sapeva invece essere profondo, dolce e delicato, a tal punto da rinunciare ad
alzare le mani su di lui, anche quando il suo modo di parlare rasentava l’orlo
del baratro e quel che lui intendeva dire poteva essere facilmente frainteso.
Sullo Zibaldino,
questa volta, pertanto, si parla di “SOPPIATTO” (www.aielli.org).
Per entrare non si paga niente, ma bisogna usare cautela,
per prudenza; non si sa mai…
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