CICIOMBRE


                                                                           

Zia Gina lo diceva, “sta abbuttat’ come nu ciciombr” e noi non capivamo. IL ciciombre per noi era come un cece enorme o qualcosa del genere, di gonfio e spropositato e nessuno si chiedeva l’oscura origine della parola, quella, come di tante che uscivano dalla bocca sempre prodiga di termini nuovi e misteriosi, di zia Gina.

A proposito di zia Gina, aveva cominciato Maurizio a nominarla, chiamandola “mia”; subito dopo Chiara, e passi per Chiara; ma Silvana, Marta, Ottavio, Sebastiano e perfino Pancrazio tutti a rivendicare l’appartenenza a lei, come nipoti, sembra impossibile. Ognuno vantava di avere avuto come zia una Gina, che forse erano tante zie e forse una sola, non si è appurato mai, lei, il prototipo delle zie che tutti i tempi, che ogni nipote vorrebbe avere, nel corredo della propria infanzia.

Ora so che il ciciombre è un tamburo incorniciato, non mi chiedete che vuol dire l’aggettivo, non sono un esperto, immagino si tratti di quel tamburo, che chiamiamo grancassa, che il suonatore porta, legato con una cinta da spalla, davanti a sé, come una grande pancia, le due facce di pelle tesa, rivolte lateralmente, che vengono percossi ritmicamente con dei battacchi, per dare il ritmo.  Il ritmo della festa, quando è festa, del lutto quando è l’ora del pianto, della mestizia, quando ad una grande gioia si mescola una pena cosa che accade in certe occasioni in cui si sa di stare attraversando un momento,
dopo del quale nulla sarà più come prima.  


                   Banda (genere musicale) - Wikipedia
                                                     Quando la banda passò - Dal web


Pescando negli archivi del nostro passato, delle costumanze ormai dismesse, significative dell’epoca in cui sono state in vigore, ho così ritrovato, quella che a me sembra una perla della nostra socialità contadina ed è la così detta “piagnareccia” , una specie di cerimonia rituale messa in atto dai parenti della sposa, per raffigurare e sottolineare il dolore della madre e del padre nel momento in cui essa abbandona la casa natia, per entrare in quella dello sposo.

Qui entra in funzione il ciciombre, con il suo ritmo cadenzato sul passo della vergine che si accinge ad entrare nel letto dello sposo, che invita allusivamente gli invitati a prendere parte alla baldoria, agli eccessi, alle volgarità ridanciane, tutte tollerate per l’eccezionalità della condizione, tra il riso mesto e le lacrime trattenute, oppure no, dei genitori della fanciulla, che vedono la figlia andare via. Per sempre.

Sul Per sempre, pronunciato da Maurizio con arte maieutica, intesa a far riemergere dentro di noi, sentimenti ormai desueti, un singhiozzo mise il punto con una tempestività tale che molti si girarono per vedere donde provenisse, ma nessuno notò nulla di strano sul volto di Pancrazio, che sembrava assente, immerso in profondi pensieri, come una statua di sale.  

Commenti

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  3. Lu ciciombre mi ricorda un tuo racconto di un fantomatico zio che chino sotto la grandine diceva che il suo deretano colpito violentemente dai chicchi sembrava appunto un ciciombre. Non so se sia un ricordo vero o un fraintendimento frutto della mia immaginazione, ma comunque una immagine che mi diverte per la simpatia e il senso di umorismo del personaggio. Dopo rocambolesche ricerche, di cui sono ancora in attesa per conferma, ctedo che "lu cicombre" posda essere un tamburello contornato da piattelli di metallo da percuotete a mano. Comunque il nome dialettale del tamburo a tracolla potrebbe derivare dal fatto che poggia proprio "sul cecio della panza" del suonatore.

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