CICIOMBRE
Zia Gina lo diceva, “sta abbuttat’ come nu ciciombr” e noi
non capivamo. IL ciciombre per noi era come un cece enorme o qualcosa del
genere, di gonfio e spropositato e nessuno si chiedeva l’oscura origine della
parola, quella, come di tante che uscivano dalla bocca sempre prodiga di
termini nuovi e misteriosi, di zia Gina.
A proposito di zia Gina, aveva cominciato Maurizio a
nominarla, chiamandola “mia”; subito dopo Chiara, e passi per Chiara; ma
Silvana, Marta, Ottavio, Sebastiano e perfino Pancrazio tutti a rivendicare l’appartenenza
a lei, come nipoti, sembra impossibile. Ognuno vantava di avere avuto come zia
una Gina, che forse erano tante zie e forse una sola, non si è appurato mai, lei,
il prototipo delle zie che tutti i tempi, che ogni nipote vorrebbe avere, nel
corredo della propria infanzia.
Ora so che il ciciombre è un tamburo incorniciato, non mi
chiedete che vuol dire l’aggettivo, non sono un esperto, immagino si tratti di
quel tamburo, che chiamiamo grancassa, che il suonatore porta, legato con una
cinta da spalla, davanti a sé, come una grande pancia, le due facce di pelle
tesa, rivolte lateralmente, che vengono percossi ritmicamente con dei
battacchi, per dare il ritmo. Il ritmo
della festa, quando è festa, del lutto quando è l’ora del pianto, della mestizia,
quando ad una grande gioia si mescola una pena cosa che accade in certe
occasioni in cui si sa di stare attraversando un momento,
dopo del quale nulla sarà più come prima.
dopo del quale nulla sarà più come prima.
Quando la banda passò - Dal web
Pescando negli archivi del nostro passato, delle costumanze ormai dismesse, significative dell’epoca in cui sono state in vigore, ho così ritrovato, quella che a me sembra una perla della nostra socialità contadina ed è la così detta “piagnareccia” , una specie di cerimonia rituale messa in atto dai parenti della sposa, per raffigurare e sottolineare il dolore della madre e del padre nel momento in cui essa abbandona la casa natia, per entrare in quella dello sposo.
Qui entra in funzione il ciciombre, con il suo ritmo cadenzato
sul passo della vergine che si accinge ad entrare nel letto dello sposo, che
invita allusivamente gli invitati a prendere parte alla baldoria, agli eccessi,
alle volgarità ridanciane, tutte tollerate per l’eccezionalità della
condizione, tra il riso mesto e le lacrime trattenute, oppure no, dei genitori della
fanciulla, che vedono la figlia andare via. Per sempre.
Sul Per sempre, pronunciato da Maurizio con arte maieutica,
intesa a far riemergere dentro di noi, sentimenti ormai desueti, un singhiozzo
mise il punto con una tempestività tale che molti si girarono per vedere donde
provenisse, ma nessuno notò nulla di strano sul volto di Pancrazio, che
sembrava assente, immerso in profondi pensieri, come una statua di sale.
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RispondiEliminaLu ciciombre mi ricorda un tuo racconto di un fantomatico zio che chino sotto la grandine diceva che il suo deretano colpito violentemente dai chicchi sembrava appunto un ciciombre. Non so se sia un ricordo vero o un fraintendimento frutto della mia immaginazione, ma comunque una immagine che mi diverte per la simpatia e il senso di umorismo del personaggio. Dopo rocambolesche ricerche, di cui sono ancora in attesa per conferma, ctedo che "lu cicombre" posda essere un tamburello contornato da piattelli di metallo da percuotete a mano. Comunque il nome dialettale del tamburo a tracolla potrebbe derivare dal fatto che poggia proprio "sul cecio della panza" del suonatore.
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