LA VITA E' ALTROVE

Ha un senso la sofferenza nel mondo? E se fosse possibile eliminarla del tutto, sarebbe giusto farlo?

Sant'Agostino e Leibniz sostengono che anche il migliore dei mondi possibili non potrà mai essere del tutto privo di sofferenza (ne avevo scritto tempo addietro qui sullo Zibaldino: https://www.aielli.org/2019/03/il-migliore-dei-mondi-possibili.html).

Isaac Asimov va addirittura oltre, mostrandoci come la sofferenza, ossia l'imperfezione, sia solo l'altra faccia dell'eccellenza: eliminare l'una significherebbe quindi rimuovere di necessità anche l'altra.

Ragionando sull'essenza dell'uomo, è poi recentemente emerso come il presentarsi dell'accidente, che può essere causa di eccellenza come di imperfezione (e quindi di sofferenza), si possa comprendere laddove lo si legga come determinante ineliminabile della varietà, e di conseguenza della resilienza, delle popolazioni di qualsiasi specie vivente (https://www.aielli.org/2019/05/essenza-e-resilienza_27.html).

Ciò che è attualmente perfetto, in un futuro cambio di scenario potrebbe infatti rivelarsi estremamente vulnerabile.

Ed era questa anche la morale di una breve favola futuribile che ho recentemente provato a raccontare(1).

Anche gli individui che oggi ci appaiono imperfetti, simbolizzati in questo caso dalle persone affette dalla sindrome di Down, custodiscono e salvaguardano la varietà dell'esistenza, e quindi, in prospettiva, la vita stessa.

Esiste però un mondo in cui l'imperfezione, la sofferenza, sono del tutto assenti, ed è quello della pubblicità. Nella realtà virtuale dei commercials tutto è perfetto, bellissimo e privo di ogni turbamento: il bianco di denti e bucato è sempre bianchissimo e la tenuta di strada delle automobili sempre impeccabile. Nel mondo degli spot l'ego individuale è quindi perennemente libero di espandersi sostanzialmente senza ostacoli e senza mezze misure.

Mi chiedo, a questo punto, quanto il fatto di essere continuamente costretti a rimirare l'immagine del mondo come paese di Bengodi veicolata dalla pubblicità, stia cambiando, senza che ce ne accorgiamo, la nostra stessa percezione del mondo in cui concretamente ci troviamo poi a condurre le nostre esistenze.

Hotel abbandonato (Passo delle Capannelle, AQ - 2018)

La sensazione è che l'impatto, specie sulle nuove generazioni, sovraesposte sin dalla più tenera età agli spot pubblicitari, sia enorme. E preoccupante.

Quando i nostri ragazzi si troveranno a dover fronteggiare le imperfezioni e le sofferenze che la vita prima o poi distribuisce a tutti, loro saranno, infatti, inesorabilmente portati a operare, in maniera più o meno conscia, un confronto con il mondo sempre inesorabilmente lieto della pubblicità.

E una delle possibili risposte sarà il rigetto. Da sempre mi avete mostrato una realtà popolata da persone felici, cui nella vita arride costantemente il successo, che non sono mai malate o, addirittura, storpie. Che non subiscono mai violenze, angherie, stupri. Perché quindi proprio a me deve toccare la sofferenza, l'imperfezione, l'insuccesso? Non li voglio!

Se poi ci aggiungete che gli stessi genitori, in gran parte anch'essi ormai pesantemente influenzati dalla visione del mondo propagandata dalla TV commerciale, fanno pressione sui figli affinché siano il più possibile perfetti, giungendo al punto di malmenare i professori quando si rifiutino di riconoscere le doti esemplari della loro progenie, il quadro assume toni ancor più allarmanti.

Come se ne viene fuori?

Il comportamento da tenere di fronte al fato malevolo predicato dal pensiero greco classico è incentrato sulle virtù etiche, tra cui il coraggio, su cui si sofferma in particolare Aristotele nell'Etica Nicomachea. Più tardi, in epoca ellenistica, l'atteggiamento diventerà quello della sopportazione distaccata (l'atarassia degli stoici e degli epicurei).

Ma, a mio modo di vedere, l'etica greca viene superata dal nuovo testamento evangelico, che impone non solo di sostenere con vigore e coraggio la sofferenza propria, ma anche di farsi carico di quella altrui. E nella condivisione il male, fattosi comune, si diluisce e si stempera, divenendo più tollerabile per ognuno.



(1) La riporto qui sotto, per chi avesse la curiosità di leggerla.
«Grazie ai progressi nella diagnosi prenatale, nel 2030 la sindrome di Down in Danimarca era stata totalmente debellata. Da tempo ormai il 100 per cento delle famiglie, di fronte a una diagnosi precoce della malattia, optava per l'aborto. Le uniche, sporadiche, nascite erano quindi dovute ai rarissimi casi di errori diagnostici. Eliminati questi ultimi di bambini Down in Danimarca non ne nacquero più.

Circa sessant'anni dopo, nel 2089, una terribile epidemia colpì l'intera popolazione umana, estendendonsi in maniera fulminea e inarrestabile su tutto il pianeta. Il virus provocava la totale paralisi degli arti nei soggetti infettati, per la durata di circa un mese, sebbene questi rimanessero tuttavia in grado di respirare e parlare. Le uniche persone immuni al morbo risultarono essere quelle affette dalla sindrome di Down.

Accadde così che, mentre tutte le altre persone morirono di inedia, in quelle sparute famiglie e comunità che ancora annoveravano persone Down tra i loro membri, queste ultime potettero prendersi cura dei loro cari. Li dissetarono e li alimentarono, cosa che essi non erano più in grado di fare autonomamente, consentendogli così di riprendersi una volta cessati i sintomi della malattia.
Fu così che in alcune nazioni la specie umana si salvò, tornando lentamente a ripopolare campagne e città.

Ma ciò non avvenne in Danimarca. In quel paese l'ultima persona Down era morta nel 2084.»

Commenti

  1. Grazie, Valter, hai aggiunto un altro bel tassello al vasto quadro che vai disegnando su questo Zidaldino. Continuando a dire cose belle così, non può che venirne del buono per noi tutti.

    RispondiElimina
  2. Il titolo, poi, è semplicemente forte: è vero, la vita èaltrove.

    RispondiElimina
  3. Grazie mille Bruno. E' veramente un piacere poter condividere qui queste riflessioni.

    RispondiElimina

Posta un commento