PIETRA DELLO SCANDALO

Anche al tempo dei romani il problema dei debitori insolventi doveva essere molto sentito, se un personaggio come Giulio Cesare, dopo le sue vittoriose campagne e la presa del potere a Roma, sentì la necessità di intervenire sulla materia, apportando modifiche nella legislazione esistente, preoccupato di come andavano le cose ai primi temi del passaggio dalla Repubblica all’Impero.

La pietra dello scandalo della Loggia del Porcellino a Firenze

Nonostante quello che dirò di seguito, sia lode a Cesare per aver eliminato norme che risalivano ad uno dei codici più antichi della romanità, le famose Leggi delle 12 Tavole, che sulla materia debitoria e fallimentare, conteneva pene arcaiche, ben severe: il creditore aveva facoltà di uccidere il debitore insolvente o ridurlo in schiavitù. Ben diverso il trattamento inventato da Cesare, basato sulla perdita della dignità della persona, ma non della vita o della libertà. A Roma, davanti alla porta principale del Campidoglio, fu posta una pietra piatta con l’effigie di un leone; in un secondo momento questo elemento fu introdotto in molte altre città italiane. Il debitore insolvente veniva trascinato su quella pietra, costretto a denudarsi il posteriore, che veniva fatto battere per terra ben tre volte, violentemente, mentre il reo doveva dire a voce alta che si spogliava di tutti i suoi beni. La cerimonia veniva chiamata “bonorum cessio culo nudo super lapidem” e richiamava sempre molta gente che sghignazzava intorno; l’interessato così esposto perdeva la propria dignità e la cosa provocava scandalo nella città. Dopo questa umiliazione, però, lo stesso non poteva più essere perseguito per il suo debito.

Lo scandalo era la gogna alla quale il soggetto era sottoposto; per maggiore scorno, alcune volte la pietra veniva unta con liquidi maleodoranti e il condannato costretto a sedersi sul bagnato con il sedere scoperto.

Pietra dello scandalo è di questi tempi chi commetta un’azione o abbia un comportamento non onorevole, che induca altri a fare altrettanto. Il primo a commettere un atto trasgressivo, che poi, imitato da altri, diventa normale in una società in continua evoluzione, come la nostra, diviene pietra dello scandalo per gli altri. Nel male o anche nel bene. Qui torna il tema della doppia faccia dello scandalo; talvolta è opportuno che esso scoppi, perché le cose vadano avanti.

Tra le definizioni della parola “scandalo” c’è quella di ostacolo, inciampo, qualcosa contro cui si va a sbattere e si rischia di cadere. In testi antichi, come i Vangeli e gli Atti degli Apostoli si parla di pietra dello scandalo o d’inciampo e di pietra angolare, ad indicare nel primo caso la pietra contro cui si va a sbattere e si cade o, nel secondo, la pietra che allegoricamente viene rifiutata dai costruttori, perché ritenuta non buona (nell’allegoria la parola di Gesù), che però, diventerà pietra d’angolo, per puntellare la casa e renderla migliore.

L’idea della pietra d’inciampo, di grande impatto nell’immaginario della gente, ha esercitato molto fascino nella tradizione ebraica, rivestendo diversi ruoli e significati. Oltre quello già detto 1, la pietra d’inciampo ha rappresentato il simbolo della memoria; inciampando nella pietra, sei costretto fermarti, a riflettere, a ricordare. In ebraico la parola “pietra” si traduce “even”, che è composta da “av” che vuol dire “padre” e “ben” che significa “figlio”, per cui la parola stessa contiene in sé il significato del passaggio, della trasmissione da una generazione all’altra del ricordo.

Perciò gli ebrei hanno la consuetudine di deporre una pietra sulla tomba dei propri cari; questo che è un gesto di rispetto per il defunto, ed ha il significato simbolico, della continuità del ricordo.

Delle pietre d’inciampo si è tornato a parlare recentemente, in occasione della Giornata della Memoria dedicata all’Olocausto e precedentemente per la rimozione di pietre d’inciampo da parte di fanatici antisemiti.

Dopo l’esempio dato da un artista tedesco che a Colonia, nel 1992, volle porre una targhetta di ottone di fronte alla casa dove abitò un deportato della Shoah, contenente i dati essenziali della sua storia di deportazione e morte, chiamandola pietra d’inciampo, affinché i passanti fossero costretti a riflettere su quanto era successo, molte altre pietre d’inciampo sono state messe in vari paesi d’Europa.


(1) Gesù, nel periodo della sua predicazione per le terre di Palestina, tornò anche nei luoghi della sua fanciullezza e dove era vissuto coi suoi, a Nazaret, dove ancora erano i suoi genitori, e qui riunì il popolo al Tempio per fare il suo discorso, ma fu accolto molto male. Mentre parlava ed anticipava particolari che saranno poi alla base dell’eucarestia, del suo sangue da bere e della sua carne da mangiare, tra gli ascoltatori si creò un forte turbamento ed alcuni, scandalizzati, cominciarono a dire: ”Ma quello non è il figlio del falegname e di Maria? Chi gli dà questo sapere?” e vociando uscirono fuori. Amaramente Gesù dovette ammettere che “Nemo propheta in patria”, per invidia la gente non volle ascoltarlo. Paolo di Tarso (Atti degli Apostoli, Lettera ai Romani, 9,33-34), ricordando l’episodio, riporta le parole allegoriche di Gesù: “Ecco io ho posto in Sion una pietra d’intralcio ed una pietra d’angolo. Ma chi crederà in lui, non sarà deluso”.

Commenti

  1. LA PIETRA DELLO SCANDALO

    In quell’antica Roma legalista,
    Di fronte alla porta, in Campidoglio,
    Giulio fece porre in gran pietrone
    E su di esso, scolpito fu un leone

    Davanti agli sguardi della gente
    S’obbligava a sedersi il debitore
    Esposto alla pubblica vergogna,
    Affinché per lui fosse una gogna

    Se or, per ogni fallimento, assiso metti,
    Tutti color che non assolvono i doveri
    Molto grande dev’esser il pietrone
    Grande come tutta la Nazione

    Assisi vedresti molti governanti
    Gli adulteri assieme alle loro amanti
    Gran spazio sarà riservato al clero
    E agli affaristi col lor mercato nero

    L’Italia tutta grida “Cedo bona”,
    E vedi consumata la testa del leone,
    Sulla “Pietra dello scandalo” Romana,
    Senza denti e inerme, che non sbrana.

    Vitaliano Vagnini

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