2 MARZO 1960

Di quel giorno ricordo che eravamo tutti sospesi, in attesa. Sapevamo che non c'era nulla da fare e che quello che temevamo sarebbe presto accaduto. Al senso di impotenza, si univa un misto di angoscia e di spavento, per il momento in cui l'evento si sarebbe verificato con la sua irrevocabilità (e il tempo si sarebbe fermato). L'ansia che tutto finisse, per far cessare quella sofferenza del tuo corpo sfinito, in cui già non era rimasto nulla di te, cozzava con lo strazio di quella situazione insostenibile di tempo sospeso, che ci stringeva la gola e ci impediva di pensare, nell'attesa di quell'attimo in cui ci avresti lasciato e per noi sarebbe cambiata ogni cosa.

"Ai motociclisti caduti", Certosa di Bologna 2014

Era un giorno grigio, incolore e le ore scorrevano lente, silenziose, l'unica realtà era il rantolo doloroso che ancora ti teneva in quella parvenza di vita alla quale noi pure ci attaccavamo.
Muti ci avvicendavamo al capezzale del tuo letto. In quell'attimo rimasi solo.

Fu a metà pomeriggio che il tuo respiro affannoso non si udì più. Io per primo e gli altri immediatamente dopo, avemmo la certezza di aver varcato la soglia, tu della vita, che tanto ti fu cara, noi del tempo che si divise tra un prima pieno di te ed un dopo vuoto, nel quale dovevamo muovere i primi passi da soli. Fummo certi che la malattia, tua fedele e subdola amica, ti aveva lasciato andare.

E fu un precipitarsi di momenti inconsulti. il dolore della constatazione, sì dunque la cosa era avvenuta, ma già non si poteva indugiare:c'erano incombenze urgenti da sbrigare e nessuno di noi aveva esperienza diretta, solo per sentito dire.

I parenti più vicini subito avvertiti, accorsero costernati. Zio Orlando, rientrando dal lavoro, sulla porta insolitamente spalancata di casa nostra, subito intuì prima che parlassimo, si precipitò dentro gridando "Cosa è successo?".

E noi tutti a darci da fare per le prime onoranze, in maniera maldestra, a maneggiare il tuo corpo, che non era più tuo, spogliarlo dei segni del male che ti avevano accompagnato nelle ultime ore, lavarlo, rivestirlo, come per una festa, ma non era una festa, nessuno rideva: dal tuo petto, sollevato a metà, uscì un respiro, solo aria rimasta nei polmoni inerti e ci illudemmo per un attimo che forse non eri ancora morto.

Poi vennero i necrofori, tristi personaggi per un compito necessario e portarono tutto l'occorrente per una degna rappresentazione della morte da esibire a quelli che sarebbero venuti per le visite di condoglianza.

Noi, da parte, estromessi dalla professionalità degli addetti, ci guardavamo senza parlare, come inebetiti. Nostra madre affranta, non trovava più lagrime e parole, nemmeno per noi figli. Si stringeva nel suo dolore, non riuscendo a togliere gli occhi da quella salma stesa sul letto, il letto di una vita, il letto dove tutto era cominciato e, per noi, tutto era finito.

2 marzo 2016 - Revisione 2 febbraio 2019

Vittorio Aielli ha scritto:
L’altra sera, leggendo quanto avevi scritto sul 2 marzo 1960, (revisione 2019) mi è capitato un fatto strano che non mi era mai capitato prima sebbene non fosse la prima volta che hai trattato l’argomento della morte di nostro padre. Leggendo mi sono trovato come accade nei film di fantascienza con i viaggi spazio-temporali, proiettato nel passato e precisamente all’epoca dei fatti. Si è trattato di un attimo tanto che sembra impossibile che in quell’attimo io abbia potuto avere tante immagini che si sono sovrapposte nella mia mente. Ho rivisto chiaramente tante figure care, anch’esse ormai scomparse da tempo, con la mamma, la zia Gina, la zia Dora, lo zio Orlando per parlare solo delle figure più vicine a noi. Queste in primo piano, poi sulla sfondo in posizione più arretrata e sfocata alte figure di zii, parenti, cugini ecc.

Ho rivissuto il giorno della domenica di carnevale (se non ricordo male papà mori il giorno delle ceneri) quando nostro padre ormai agli sgoccioli si preoccupava di noi ed esortava la zia Gina a fare per noi i maccheroni alla chitarra, come soleva fare tutti i giorni di festa. Ma quella evidentemente non era giornata: la zia Gina pur nel suo dolore, acconsentì alla richiesta per fare contento il fratello morente e condì la pasta con una bottiglia di pomodoro regalata dai parenti di zio Orlando da Larino. Quella bottiglia era un concentrato di mosche e la pasta rimase inconsumata.

Poi arrivò il giorno delle ceneri in cui il destino di papà si concluse. Egli volle vederti da solo e parlarti da uomo ad uomo senza la presenza di nessuno e solo tu sai quello che ti disse.

Seguono le scene strazianti della vestizione e del funerale riprese fotograficamente dall’allora coinquilino Di Nicola. Poi la visione si offusca e man mano scompaiono tutte le figure presenti ed io mi sono ritrovato solo senza alcun punto di riferimento, come chi abbia smarrito la strada e non sa cosa fare e dove andare.

Poi come in una dissolvenza tutto è tornato normale lasciandomi comunque un senso di incolmabile vuoto struggente.

Grazie.
Vittorio.

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