TEMPESTA SUL LAGO

Da Sale Marasino si scende al lago, poi si prende verso nord fino ad una deviazione per Vello. Si apre una strada romantica che costeggia il lago da una certa altezza. La costa offre molte asperità, ma il paesaggio è bellissimo. Ad un’ansa della via, corrisponde un promontorio che si spinge verso il centro del lago. E’ il punto più scosceso e le acque sottostanti non sono mai completamente ferme. C’è sempre un refolo di vento ed il luogo si presta a sfide da parte di velisti in cerca di emozioni. Leggende narrano di correnti subacquee che attirerebbero le imbarcazioni. Molti naviganti là, davanti a quello sperone hanno perso la vita, cadendo dai loro scafi leggeri, inghiottiti dai gorghi che non hanno più restituito i corpi dei poveri sventurati. A poca distanza, su una piccola altura, si ergono le mura in pietra scura di una Chiesa Cattolica chiamata Dei Morti, non so se in ossequio ai fatti leggendari narrati, o per altri motivi. Di fronte la mole di Montisola che sorge dalle acque e s’innalza alta nel cielo, con sulla vetta il riflesso biancastro del Santuario della Madonna della Ceriola. A dispetto delle leggende, il posto è tranquillo e si presta a passeggiate rilassanti ed è meta di turisti ed innamorati.

Lago di Campotosto (AQ) - 2018

Quando scesero dalla macchina, Giulia e Guido, videro due vele passare veloci sulla superficie del lago, a poca distanza dalla costa.

“E’ meraviglioso”, disse Giulia, girando lo sguardo in ogni direzione, “questo è un luogo perfetto”.
“Vieni”, rispose Guido, prendendola per mano, “conosco un sentiero per scendere al lago; è un po’ ripido e tortuoso, ma non è pericoloso. Ti ci porto.”

Scesero lungo un pendio che in qualche tratto esposto, fece esitare la fanciulla, che ristette, ma poi, esortata dal compagno, superò ogni difficoltà, sebbene con qualche emozione. Quando furono sul greto, entrambi si tolsero le scarpe sportive che indossavano e le misero al sicuro, vicino ad una roccia sporgente. La spiaggetta era minuscola, l’acqua lambiva i loro piedi, la superficie del lago era leggermente increspata; le due vele al largo, si rincorrevano con improvvise virate e mentre l’una filava inclinata sul bordo, quasi a sfiorare il pelo dell’acqua, l’altra all’improvviso strambò, girando su stessa e si piegò pericolosamente. Il guidatore che si era sporto fuori bordo per bilanciare l’imbarcazione, perse la presa e cadde in acqua. Giulia dette in un grido. Ad una distanza di circa duecento metri, si vedeva il naufrago annaspare.

“Non è niente”, disse Guido, “vedrai che se la caverà! E poi c’è l’altro, quello dell’altra barca, che si deve essere accorto che il compagno è caduto, tornerà indietro a riprenderlo.”

Giulia era con i piedi nell’acqua e guardava avanti verso il largo, con apprensione crescente.

“Non mi sembra affatto”, disse, “sono convinta che il poveruomo sia in difficoltà”. Passarono alcuni attimi pieni di tensione poi la donna gridò: “Sta affogando bisogna fare qualcosa”.

Guido non aveva la tempra dell’eroe ed era preso da una duplice ansia. Da un lato avrebbe voluto mostrarsi risoluto di fronte alla ragazza e buttarsi in acqua per corrispondere alla sua muta richiesta, dall’altra, non aveva la minima idea di come fare per salvare uno che stava affogando. Era inoltre convinto che, se veramente l’uomo fosse stato in difficoltà, non avrebbe fatto in tempo ad aiutarlo, data la distanza che lo separava da lui. Un poco riluttante, fece per spogliarsi e si tuffò nel lago, affrontando le onde con grandi bracciate, che dopo i primi metri divennero sempre più corte per via del fiato che gli era venuto già meno. Nell’agitazione del momento, capì che se fosse giunto sul posto già sfiancato, non sarebbe stato di nessun aiuto. Giulia rimase sulla riva, protesa in avanti, muovendo convulsamente le braccia, come a comunicare al povero naufrago che qualcuno stava arrivando e quindi esortarlo a tener duro. Guido nuotava e non sapeva dove andava; ogni tanto si fermava, alzava la testa, tentando di orientarsi, ma davanti a sé non vedeva niente. L’unica vela rimasta era ormai lontana, nell’acqua non distingueva nessuna forma. Per giunta, più si spingeva al largo, più la superficie del lago si faceva mossa. Cominciò a disperare. La barca alla deriva, con la vela floscia, era fuori portata, trascinata dalla corrente ed egli nuotava alla rinfusa, ora verso una direzione, ora verso un’altra. Ad un tratto, sentì, amplificato dall’acqua nelle orecchie il rimbombo di un tuono e si ricordò del lampo che non aveva visto, ma era rimasto nella sua coscienza. Sul pelo dell’acqua vide correre un brivido di vento e si spaventò. Quello era il posto dove tutti in paese dicevano che erano avvenuti molti fatti spiacevoli e dove molti disgraziati erano annegati, trascinati da un gorgo immane.

Giulia dalla riva vide arrivare il temporale, la grossa nube che in un attimo aveva ricoperto il cielo, i lampi prima lontani ed ora più vicini, i tuoni che rimbalzavano uno sulla scia dell’altro, sempre più roboanti, da far tremare l’aria. Temette il peggio e pregò perché Guido tornasse. Nel lago non riusciva più a vedere niente, se non il turbine del vento che agitava le acque. In piedi, di profilo contro lo specchio del lago agitato, la sua figura sembrava quella di una statua del dolore. Passarono alcune ore e lei non sapeva che fare, in preda ad un’angoscia ormai incontenibile. Risalì il sentiero che portava sulla strada ed entrò nel piccolo bar che era di fronte al posteggio auto. Con voce trafelata raccontò che il suo amico era scomparso nelle acque del lago, nel tentativo di prestare soccorso ad un velista che aveva fatto naufragio. Il titolare del bar si adoperò immediatamente, chiamando al telefono i carabinieri di Iseo, che avevano in dotazione un motoscafo per iniziare le ricerche. Poco dopo accorsero sul luogo anche i carabinieri di Sale ed altre persone venute a conoscenza di quanto accaduto. I genitori di Guido, dopo la dichiarazione a verbale che Giulia fece a questi ultimi, furono avvertiti e da quel momento, per loro cominciò una lunga attesa. Giulia passò la notte dentro la macchina, che per fortuna era rimasta aperta.

Al mattino le ricerche non avevano portato ad alcun risultato. Era stata ritrovata la barca dell’uomo caduto in acqua, nei pressi della sponda opposta del lago, all’interno di un’insenatura, ma del proprietario nessuna traccia. Giulia aveva chiesto ed ottenuto di poter prendere le chiavi della macchina dagli abiti di Guido, raccolti dai carabinieri come prova del fatto denunciato dalla ragazza. Salita a bordo, raggiunse l’albergo dove alloggiava. Era lì da appena due giorni. Aveva conosciuto Guido durante una vacanza in Abruzzo. Lei era a Tortoreto, con la famiglia, presso una casetta in affitto ed aveva fatto amicizia con un gruppo di Sale Marasino che ogni anno, da lungo tempo, essendo molto affezionato a quella località balneare, veniva fin giù a trascorrere le vacanze estive, benché il posto non offrisse grandi attrattive turistiche, al di fuori della spiaggia. Guido era con loro e fra i due era nata una sincera amicizia. Al momento di ripartire le aveva fatto la proposta di accompagnarlo al suo paese, offrendole di proseguire le vacanze sul Lago di Iseo e visitare così la Franciacorta e la Val Camonica, in sua compagnia. Dopo una breve trattativa con la famiglia di lei, Giulia aveva accettato e Guido le aveva preso una camera presso l’Hotel Ambra, al centro di Iseo. Il primo giorno erano stati a Brescia a visitare il Parco del Castello visconteo di Soiano, di epoca medioevale e il secondo, d’obbligo aveva detto Guido, al lago. Giulia aveva ricorrenti crisi di pianto per quello che in così breve tempo era successo, che aveva tutto l’aspetto di una tragedia. Nel pomeriggio ricevette una telefonata del padre di Guido, Arnoldo, un piccolo imprenditore che produceva pentolame da cucina. Si rammaricava perché il figlio avrebbe dovuto recarsi il giorno dopo a fare delle consegne, per ordini in scadenza. Evidentemente non si rendeva conto di quello che poteva essere lo stato dei fatti.

La Procura aveva aperto un fascicolo per la scomparsa di un uomo nel lago, ma le indagini, dopo una settimana si erano arrestate senza esito ed il fascicolo era destinato ad essere archiviato. Giulia si recò a far visita ai genitori dell’amico scomparso, che finalmente avevano preso coscienza del fatto che Guido potesse non tornare più e li trovò sorprendentemente risentiti; la accolsero senza eccessivo entusiasmo. Lei stessa d’altronde era convinta di essere implicata nella faccenda e si sentiva colpevole di fronte a loro. Ma non poteva farci niente. Per cui decise di partire e tornare dalle sue parti.

Passarono sei mesi senza che lei sapesse niente, nessuno sviluppo della vicenda si era verificato ed il ricordo della scomparsa cominciava a sbiadire nel nulla dei misteri irrisolti. Quando un giorno successe qualcosa di nuovo. Per telefono un certo Giambattista Vichi chiese di lei, dicendo che era di Sale Marasino e desiderava avere un appuntamento con lei per parlare di fatti relativi a quell’incidente che lei sapeva. La telefonata provocò in lei un grande sconvolgimento, prima l’entusiasmo per la speranza improvvisa di un ritrovamento in vita, poi lo sgomento per il contrario, il probabile annuncio di una morte, infine l’apprensione per il tono della telefonata che non era apparso rassicurante. E se avessero deciso di incriminarla? E se quell’uomo fosse un ricattatore? Perché non dirle per telefono come stavano le cose e chiudere così la partita? Che senso aveva quell’incontro? Prese del tempo: si fece dare un numero di telefono e disse che avrebbe richiamato lei, a breve.

Decise di parlarne ad un’amica, che faceva pratica forense presso lo studio di un avvocato di Teramo, la quale la rassicurò: “Se fosse un ricattatore non ti avrebbe dato nome e cognome”, le disse. Lei rimuginò qualche tempo, poi, quando si decise, richiamò il numero dell’uomo ed attese in linea, con il cuore in gola. Rispose la stessa voce della prima volta.

“Pronto? Sono Giulia”.
“Ah, sì, cos’ha deciso? Dove vogliamo incontrarci?”.
“Senta io sono a Tortoreto; le andrebbe di vederci all’Hotel Villa Giulia, sulla nazionale, alle cinque di oggi pomeriggio?”.

Era l’hotel frequentato dagli amici di Sale Marasino.
“Va bene”.

Ore di ansia, infine posteggiò nel parcheggio dell’hotel ed entrò nella hall. Si guardò intorno: seduto su una poltrona l’unico cliente presente, si alzò appena la vide e le andò incontro tendendole la mano.

“Sono Vichi”, disse, “lei è la signorina Giulia?”.
“Sì, piacere”.
“Prego s’accomodi” disse mostrando la poltrona davanti alla sua. Sedettero uno di fronte all’altra:
“Gradisce qualcosa? Un caffè?”.
“No grazie, andiamo subito al dunque, se non le dispiace”.
“Ha saputo più niente del suo amico Guido?” chiese l’uomo, guardandola dritto negli occhi.
“…No…” rispose lei, già incerta sul come portare avanti la conversazione.
“Bene, l’aggiorno io: la Procura ha chiuso il fascicolo dichiarando Guido scomparso e la famiglia ha fatto domanda per ottenere la pronuncia di dichiarazione di morte presunta. A fini ereditari”, aggiunse.

Ci fu un minuto di silenzio da ambo le parti, Giulia era vivamente addolorata.

“Si ricorda come avvenne l’incidente?” chiese infine l’uomo con tono amichevole, “c’era uno sprovveduto su una barca a vela che nel fare una strambata è finito in acqua ed ha perso il contatto con l’imbarcazione che è andata alla deriva fino a terra. Il suo amico si è buttato eroicamente fra le onde del lago nel bel mezzo di un temporale, nel tentativo generoso, ma inutile, di salvare il malcapitato. L’uomo da salvare sono io, ma lui, Guido, che fine avrà fatto?”.

Giulia era perplessa e guardava l’uomo, incerta sul da farsi.
“Insomma”, proruppe piuttosto brusca, “se sa qualcosa fa bene a dirmela, altrimenti se ne vada. Non sono qui per fare indovinelli”.
“Senti Giulia”, cominciò l’uomo dopo una pausa di riflessione, “posso darti del tu, vero?”, disse con un altro tono di voce, come tra parentesi. “Voglio farti una domanda”, proseguì, senza attendere il cenno di assenso della sua interlocutrice sul tipo di rapporto che intendeva instaurare: “tu credi in Dio?”.
“Che discorsi sono questi?”, chiese Giulia a sua volta, “ti sembra questo il momento? E poi, dimmi”, disse calcando sull’ultima parola, per far risaltare l’avvenuto passaggio ad un colloquio più intimo, “che c’entra se credo o non credo in Dio?”.
“Capirai dopo quello che sto per dirti”, accennò il sedicente Gianbattista. “Guido è vivo, ma non so dove sia”, concluse in fretta distogliendo lo sguardo dalla figura impietrita di lei.
“Mah?!, com’è possibile? Sei forse pazzo o ti stai prendendo gioco di me? E’ vivo , ma non sai dov’è? Come fai allora a saperlo? No, no, non è possibile, non ci credo!”.

Si alzò e chiamò un cameriere:

“Per favore due caffè e due grappe”, disse e guardò Giulia di sottecchi per vedere se approvava. La ragazza senza muoversi, fece cenno di sì. “Tu capisci che io ero un sopravvissuto. Mi rallegravo per me e mi disperavo per Guido, che, tra parentesi era un mio amico. Siamo cresciuti insieme a Sale”.


***
Guido era lì, davanti a me e mi chiamava, nella tempesta. Lo vidi venirmi incontro, poi un’onda l’ha preso e portato lontano. Ho fatto per raggiungerlo, ma la sua voce non mi giungeva più, soffocata dalla furia degli elementi. Ho pensato che fosse affogato. Poi ad un tratto l’ho rivisto. Non era più lui.

"Maledetta, morirò per colpa sua", diceva, e urlò una terribile bestemmia. Poi un fulmine cadde a poca distanza da lui e lui scomparve inghiottito dal lago. Io nuotai verso la riva più vicina che era quella della parte opposta del lago. Temetti di perdere la vita e mi raccomandai a Dio perché salvasse la mia anima. Non so dopo quanto tempo mi ritrovai gettato in un anfratto riparato, dal quale mi fu facile tirarmi fuori dall’acqua. Ero sfinito, ma salvo. Non ero in condizione di camminare ed avevo freddo. Lì vicino trovai una cavità e mi ci rifugiai, coprendomi di foglie e di alghe secche. Dormii non so per quanto tempo. Ma quale non fu la mia meraviglia quando in piena notte, col vento impetuoso che ancora soffiava, sentii nel buio della grotta uno strusciare di piedi e il respiro affannato di un uomo, che cercava un riparo.

"Porco…", disse urtando contro qualcosa e lo riconobbi. Era lui, Guido, salvo anche lui, da poco uscito dall’acqua e completamente stralunato. Si abbatté al suolo, accanto a me e cadde svenuto.

E arriviamo al perché della mia domanda iniziale: tu credi in Dio? Sì, perché è quello che accadde tra di noi, una volta che ci fummo ripresi e potemmo parlare. Albeggiava e noi eravamo nudi e infreddoliti, in quella grotta che forse era anche la tana di qualche animale selvatico. Fuori il vento non si placava. Guido, aprendo gli occhi, bestemmiò di nuovo. Man mano che si faceva giorno ed un po’ di luce cominciava a penetrare nella grotta, vidi il volto di Guido che non era più lo stesso. La testa era completamente pelata e la faccia, un’enorme cicatrice. Gli occhi sembravano quelli di un pazzo. Allarmato gli chiesi cosa gli fosse successo. Dopo un’altra bestemmia, egli esplose:

"Io l’ho chiamato, Dio, mentre stavo affogando, dammi la fede gli ho chiesto, lottando con l’acqua che tentava di soffocarmi. In quel momento sono stato colpito da una palla di fuoco che mi ha scaraventato nel fondo del lago, precipitandomi in una voragine senza fine. Non so quanto tempo sono rimasto là sotto. Ho visto le fiamme dell’inferno ed ho visto gli angeli, alcuni avevano le ali nere. Credevo di essere morto e di stare già all’altro mondo. Ma invece eccomi qui".

Ebbi l’impressione che fosse veramente impazzito. Mi inquietava quel suo volto contraffatto, ma senza bruciature evidenti. Se fosse stato colpito da un fulmine, oltre ai capelli, avrebbe perso anche la pelle della faccia. In quel mentre, davanti all’apertura della grotta, si parò un uomo; era molto vecchio e non mostrò alcuna meraviglia nel trovarci lì. Anzi, sembrava preparato al nostro incontro. Aveva con sé delle tute e delle scarpe.

“Mettetevi queste”, disse senza preamboli, “altrimenti vi ammalerete.”

Come due scolaretti ci vestimmo, constatando con soddisfazione che le felpe erano pesanti e facevano un bel caldo sulla pelle.

“Venite con me” disse poi, senza essere imperioso, ma autorevole, cosa per cui ci alzammo con fatica e ci avviammo dietro di lui, fuori della grotta. Risalendo per un sentiero, arrivammo ad un casolare, che era l’abitazione del vecchio. Ci invitò ad entrare e, una volta dentro, si mise subito ad armeggiare per preparare qualcosa per scaldarci. Noi due ci guardavamo intorno sbalorditi. Dopo esserci rifocillati.

“Chi sei?”, gli chiese Guido, “io non ti conosco”.
“Tu devi farti perdonare molte cose ed è meglio che non fai domande. Piuttosto pensa a mondarti.”

Eravamo seduti comodamente su un divano piuttosto liso e Guido sembrava assopito, calato nella sua follia.

“Tu odi tuo padre”, gli sibilò all’orecchio il vecchio, "perché lo odi?”.
"Mi tratta come un bambino ed uno schiavo: mi fa fare cose che non vorrei fare.”
“Cioè?”
“Mio padre produce armi; lui mi costringe a fare la consegne; ha a che fare con veri banditi”.
“Hai mai desiderato la sua morte?”.
“Sì, molte volte”.
“La macchina sportiva però l’hai voluta, no? Allora sei un complice, non dovresti avercela con lui, ma con te stesso. Perché non te ne vai? I mezzi ce l’hai, puoi farlo.”

Guido si contorceva nella sua ipnosi. A questo punto il vecchio mi disse di andare via: “tu puoi andare” mi apostrofò senza riguardo per la mia condizione di naufrago bisognoso di assistenza, “la tua barca è al porto di Iseo, ti sarà restituita alla chiusura dell’inchiesta”.


***
"Di quello che avvenne dopo, non so niente. Guido da allora è scomparso e nessuno sa dove possa essere andato. Ma sono certo che è vivo. Una volta, per la verità, passando in auto sulla Via Mala, dall’altra parte del lago, nel punto in cui la strada si fa più stretta, tutte curve e gallerie, non lontano da dove ci trovammo quella notte, ebbi l’impressione di vederlo sul margine della carreggiata, in prossimità di una curva. Fermai la macchina per fare retromarcia, ma poiché sopraggiungeva un altro autoveicolo, fui costretto ad accostare. Quando scesi, per andargli incontro, l’ombra che io avevo intravisto, non c’era più".

Tutto qui. Gianbattista non aveva altro da aggiungere. Rimase zitto, guardando intensamente la ragazza., la quale si girava da una parte e poi dall’altra, imbarazzata, non sostenendo il suo sguardo.

“E tu sei venuto fin qui per dirmi tutto questo?” gli chiese infine con durezza, fissandolo finalmente negli occhi, con decisione.
“Prendiamo ancora qualcosa?” propose Giambattista prima di rispondere.
“Un’altra grappa, grazie” accettò lei.
“Tu sai”, poi riprese, ”che io sono emotivamente coinvolto come te in questa brutta faccenda. Qualunque cosa sia capitata a Guido, è avvenuta per causa mia e tua. Io, perché sono caduto in acqua per una mia imprudenza, tu perché ce l’hai spinto per venirmi a salvare. Tutto è avvenuto in seguito a questi due fatti e non possiamo negarlo. Moralmente siamo responsabili.
“Noi non siamo imputabili di niente”, disse cupamente Giulia, come tra sé e sé, con uno sguardo rivolto verso un interno che non vedeva, “se così fosse, sarebbe vero l’assurdo che un battito d’ali di farfalla in Giappone, potrebbe essere responsabile di un ciclone qua da noi”.
“Lo so, Giulia, è vero quello che dici, però, intanto, come ne usciamo?”.

Dopo il secondo grappino, entrambi erano soddisfatti, ma un po’ inebriati dal carico emotivo suscitato dal lungo colloquio.

“Il padre di Guido” riprese poi Giambattista, “è stato arrestato per traffico di armi, su denuncia anonima alla Procura e l’azienda è andata nelle mani del fratello; al momento produce solo pentole da cucina.”

Giulia si alzò per andare via, quando Gianbattista, trattenendola per un braccio, le chiese con molta serietà:

“Verresti con me a Sale?”.
“Io? E perché?”.
“Dobbiamo portare a termine questa storia: ho un’idea e un piano. Sei disposta a sentirmi?”.

Giulia si risedette.

“Dunque, ascoltami”, cominciò egli, facendo segno al cameriere di portare ancora altre due grappe; Sono sicuro che Guido non sia lontano da dove l’ho visto di sicuro quella sera. Io ho fatto dissequestrare la mia barca ed ora ti propongo di fare un giretto con me. Ripercorreremo l’itinerario del giorno della disgrazia, approdando alla spiaggetta dove entrambi fummo portati dalla furia delle acque. Da lì cercheremo la cascina del vecchio e, peggio che vada, interrogheremo lui per sapere cosa accadde quando io fui messo alla porta. Andremo a Sale con la mia macchina, alloggerai nello stesso hotel dell’altra volta, un paio di giorni, non di più, poi io ti riaccompagnerò fino a casa.”

Giulia era perplessa. Se da un lato era propensa ad accettare e partire, per fare quanto possibile a chiarire quella situazione, dall’altra, era trattenuta dal timore di scoprire qualcosa di spiacevole; più ancora temeva di dove rientrare nell’atmosfera di incubo in cui si era trovata a vivere in quella sfortunata circostanza. Alla fine decise di andare. Si misero d’accordo per incontrarsi il giorno dopo. Lui sarebbe andato a prenderla sotto casa alle otto del mattino e sarebbero partiti immediatamente. Gianbattista partì con una sgommata per fare impressione sulla ragazza.

“Vai piano, altrimenti mi fai scendere” disse lei ridendo. Quattro ore dopo erano a Iseo. Giulia ebbe la stessa stanza della volta precedente. Si salutarono nella hall dell’albergo e si dettero appuntamento per il giorno successivo.

La traversata del lago in barca fu un’esperienza elettrizzante per Giulia, che ammirava Giambattista governare la piccola imbarcazione. Passarono sotto il promontorio della Chiesa dei Morti e proseguirono verso l’altra sponda del lago. Giunti in prossimità di una caletta, Giambattista fece arenare la barca su una piccola spiaggia ed aiutò Giulia a scendere a terra. Non fu difficile ritrovare la cavità entro la quale si erano riparati i due giovani il giorno dell’incidente. Giulia volle esplorarla, tentando di ricostruire nella sua mente il racconto di quella nottata. Risalito il sentiero, giunsero al casolare del vecchio, che sembrava abbandonato. Bussarono ripetutamente e, quando stavano per disperare, la porta si aprì. Il vecchio era veramente molto vecchio e i suoi occhi sembravano non vedere, tanto erano appannati.

“Chi siete?” chiese con poca cortesia, “che volete?”. Poi si avvicinò a Giambattista, a distanza di pochi centimetri dal suo volto e aggiunse: "Io ti conosco; posso fare qualcosa per te?”.
“Non per me” rispose l’interpellato, “ma per Guido. Vorremmo sapere qualcosa di lui. A quanto pare sei l’ultimo ad averlo visto dopo l’incidente nel quale doveva perdere la vita ed invece è scomparso.”
“Entrate” disse il vecchio trascinando i piedi verso l’interno della casa. Sedettero intorno ad un tavolo e l’atmosfera si fece più cordiale. Il vecchio prese un bricco di caffè, che bevvero in silenzio, in attesa che lui parlasse.
“Guido non è ancora pronto a riuscire nel mondo” cominciò con tono profetico. “Ha subito un grosso trauma ed ha perso la memoria. Non vuole vedere nessuno e non vuole essere visto. Porta ancora i segni sul volto e su una parte del corpo, delle bruciature riportate in conseguenza del fulmine, quella notte, nel lago. Io ho accettato di ospitarlo e di curarlo nella mia casa, come un figlio, però ha bisogno di altro tempo prima di farsi rivedere.”
“Non hai pensato che forse era meglio portarlo in ospedale e farlo visitare da uno specialista?”.

L’accusa era implicita nel tono della domanda.

“La polizia, i genitori, tutti lo hanno cercato per molto tempo e tu l’hai tenuto nascosto. Questo è un reato. Finirai in galera”. Una piccola sospensione, poi, di seguito: “Hai ostacolato il corso della giustizia e arrecato gravi danni a Guido e ai suoi genitori, che lo ritenevano morto, è un sequestro, una circonvenzione di incapace, c’è tutto il codice penale che hai violato.”
“Calma, ragazzo mio!”, replicò il vecchio con voce ferma, ma senza astio, come chi ha a che fare con un bambino che non vuol capire. “Non sono uno sprovveduto; so bene quello che ho fatto e me ne assumo la responsabilità. Il fatto è che Guido per me è veramente come un figlio. Io ho dedicato la mia vita alla scienza, al di fuori dei canali della normalità. Sono stato primario di psichiatria dell’Ospedale di Brescia, ma poi ho lasciato per un dissenso con il Prof. Basaglia, che aveva preso da me l’idea di aprire i manicomi e mi sono ritirato a vita privata, cercando di fare come se il mondo non esistesse. Ma a suo tempo ho amato la sig.ra Beretta, la madre di Guido, prima che sposasse Aroldo, suo padre. Ho seguito quella famiglia per anni, specialmente dopo che il figlio, all’età di cinque anni, cominciò a dare segni di una malattia psicotica che lo portava ad odiare il padre, un avventuriero farabutto, che trattava malissimo la moglie, una integralista cattolica, militante di Comunione e Liberazione, causa questa di continui litigi tra i due coniugi. Io allora ho curato in ospedale Guido, facendolo guarire dalla sua malattia, ma temo che quanto avvenuto di recente abbia contribuito a riacutizzare il processo dissociativo della sua personalità, che il povero Guido porta con sé da sempre. Intendo seguitare a curarlo, perché nessuno lo conosce e può curarlo meglio di me. Quanto al mio destino, sono pronto ad affrontare qualunque accusa, una volta che ho riportato Guido al suo stato normale, perché tanto, alla mia età, non potranno farmi niente”.

Ci fu un lungo attimo di silenzio. Nella stanza non si sentiva volare una mosca. Solo, ogni tanto, un’onda del lago si rovesciava blandamente sul greto della spiaggetta sottostante.

“A voi chiedo” disse alfine il vecchio, guardando contemporaneamente negli occhi i suoi due interlocutori, “di serbare il segreto. Di non dire niente a nessuno. Voi non siete stati mai qua e non avete sentito niente. Quindi non siete tenuti a riferire niente. Quando sentirete, dai giornali e dalla tele che un uomo ritenuto morto è tornato vivo da un altro mondo, a reclamare i suoi diritti, anche ereditari, nei confronti del fratello e della madre, e le diatribe che sorgeranno a proposito di un vecchio scienziato pazzo che lo ha tenuto nascosto per curarlo, allora potrete esprimere la vostra profonda meraviglia nell’apprendere che il rinato era un vostro amico e, se vorrete, potrete venirlo a trovare e congratularvi con lui per il felice esito della vicenda, iniziata tempo prima in un giorno nato sotto una cattiva stella.”

Dopo un fidanzamento durato non più di un anno, Giulia e Giambattista si sono sposati con una semplice cerimonia nella Chiesa della Madonna della Ceriola a Montisola. Testimone della sposa era Guido Beretta, che portava ancora sul viso i segni di un infortunio, dello sposo un vecchio decrepito, che non volle declinare la sue generalità in pubblico, millantando di essere stato un primario di Psichiatria dell’Ospedale di Brescia.

Alcuni ritengono che più facilmente si potrebbe trattare di un vecchio internato presso quell’Ospedale, messo in liberà dopo la legge Basaglia, che aprì le porte di tutti gli ospedali psichiatrici d’Italia.

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