DISCETTARE ovvero DELLA LEGGEREZZA

Dio si nasconde nei dettagli, dice il gentile Marcello Nolè con parole alate, nella dedica che ha apposto ad un mio scritto sul blog. La stessa delicata venatura di pensiero ho riscontrato in un’altra dedica, diretta da un lettore di cui purtroppo non ricordo il nome, ad uno scritto di Giuseppe Cicozzetti, dove si parla del fotografo francese Joel Bardeau. L’autore in quello scritto, fa un’analisi accurata del lavoro dell’artista, che, nelle sue foto, riesce a comunicare, con crude immagini in bianco e nero, il senso della carne che decade, del destino di ogni uomo, facendo ricorso, a quanto dice nei capitoli dei Libri Poetici e Sapienziali, quel Qoelet, che già nel sec. IV-III a.c., parlava della vanità di ogni cosa sulla Terra. “Che utilità ricava l’uomo da tutto l’affanno per cui fatica sotto il sole?”, visto che con la morte, l’intero arco di una vita è destinato a finire nel dimenticatoio di tutte le epoche e delle generazioni passate e future, ed egli altro non è che “fumo dei fumi”? A questo pessimismo intrinseco, Cicozzetti contrappone, nel finale, uno slancio in positivo, facendo voti affinché il destino degli uomini non sia effettivamente tale. Ed è qui che il commentatore di questo testo trova l’espressione più bella, augurandosi che l’animo dell’artista abbia trovato infine, dopo la sofferenza di cui ha dato testimonianza con le immagini, “il dolce respiro della brezza lieve”.

Alzati e cammina (Cammino Portoghese - 2018)

Trovo corrispondenza tra questa lievità e quello che è il mio assunto. La leggerezza dovrebbe essere il nostro principio informatore. Quando Marcello dice di trovare la divinità nelle nuvole o nelle ali di un insetto, credo che voglia dire la stessa cosa. Con Italo Calvino apprendiamo che la leggerezza non è superficialità, poca cura delle cose, approssimazione o sciattaggine, ma piuttosto precisione, pulizia, nitore. Nelle piccole cose, nel futile, nel volatile. Come dice il filosofo, poeta e scrittore Paul Valery, bisogna essere leggeri come l’uccello, che vola, non come la piuma, che viene mossa da ogni refolo di vento.

Nello stesso spirito di questo volo leggero, mi piace riportare un’altra dedica, pervenutami tramite mio figlio, dall’autore del libro “Alzati e Cammina”, cioè Luigi Nacci: “Per Bruno, che ama la viandanza e sa che per viverla non serve muoversi e sa che il sogno ad occhi aperti apre porte per strade senza fine. Buone vie e buone soste”. Anche se ad un primo momento sembra che questo discorso sulla viandanza, non rientri in quello che stiamo dicendo, a me sembra che quell’andare verso il mondo, con un carico dove tutto il superfluo è eliminato, così nello zaino, come nell’animo, che è puro ed adamantino, richiama molto l’invito a prendere il cammino con leggerezza, pur nella fatica che esso comporta. Appropriato anche qui il richiamo a quella “escatologia quotidiana” di Heidegger con la quale laicamente intendiamo che noi nella vita, scontiamo l’apocalisse giorno per giorno.

Grazie Luigi, non conosco dedica più bella.

Ora rispondo a Lucio che mi ha chiesto di parlare del verbo “discettare”.

Discettare, caro Lucio, è una cosa tremendamente seria, riservata solo alla elìte delle persone colte, filosofi, scienziati, accademici delle varie discipline. Non è roba per noi, che siamo mezze tacche; se si mette a discettare un professore universitario, qualunque sia l’argomento sul quale interviene, tutti hanno il dovere di starlo a sentire, se discettiamo noi due, facciamo ridere e nessuno ci ascolta. Sì, perché discettare è il discutere al più alto livello. La parola viene da latino “dis”, che indica separazione e “captare”, che vuol dire “prendere”, “cavare”. C’è in questa azione del trarre fuori, un senso profondo, proprio dello scavo, della ricerca, seria, faticosa, strenua, come fa il cercatore d’oro, che deve scavare nel fango di un letto di fiume, setacciare tutto il materiale estratto, scartare quello che non serve e setacciare di nuovo, fino a consumarsi le mani e gli occhi, in cerca della “vena” d’oro, la cui presenza viene annunciata di solito dal ritrovamento di una pepita.

Discettare, sceverare, disquisire, sono verbi che rientrano nella sfera alta del linguaggio e mal si addicono ad un discorso comune, come invece avviene con sinonimi meno pomposi come discorrere, discernere, dialogare, distinguere. Indicano tutti, in modo diverso quanto a gradazione, il senso della separazione, della enucleazione.

Un uso distorto o sbagliato del verbo discettare, può creare un senso di fastidio e di noia in chi ascolta, in genere gente acculturata con la puzza sotto al naso, che guarda già con leggero spregio chi discetta e sa quel che dice, figuriamoci poi se la lezione proviene da un ciarlatano presuntuoso.

Un uso più leggero dello stesso verbo è consentito, in un discorso ironico, fatto con arguzia, per ridicolizzare le parole ampollose di un imbonitore da strapazzo, vuoto e prolisso.

Comunque, accertato che discettare non fa per noi, vediamo di accontentarci di qualcosa di più modesto, in coerenza, tra l’altro, con la linea da noi scelta, della leggerezza. Come contraltare a questo modo di esprimersi, aulico e vanaglorioso, propongo di parlare di un altro verbo, anch’esso di livello medio-alto, come per esempio, “discrepare”, che lì per lì, sembra “dissacrante” per il suo richiamo ai borborigmi intestinali, ma che invece possiamo prendere quasi come un “discettare in controcanto”. Infatti la parola viene dal latino “dis”, che indica anche qui separazione e “crepare” che significa “essere dissonante”, una voce che si stacca dal coro producendo un rumore sgradevole, che è proprio la “discrepanza”. Dal mondo dei suoni, poi la parola ha subito una traslitterazione a quello delle idee e la discrepanza, oggi, è un contrasto forte tra due opinioni su uno stesso tema. Come dire che tu ed io, impegnati in una discussione, di fronte ad altre persone, ci mettiamo a discettare, per esempio di politica, tema che più divisivo non c’è, e mentre tu discetti, ed io discetto, tra noi due nasce una discrepanza. La parola, in sé, è molto bella, anche se, usata in questo modo, da noi, c’è da crepare dal ridere.

Ci risiamo, anche la discrepanza non fa per noi, lasciamola agli scienziati, letterati, filosofi etc. Ma, sì, che ci frega! A noi basta dire che non siamo d’accordo. Su quasi niente. Ma senza discettare, né discrepare.

Commenti