STEREO

La fortuna di certe invenzioni. Un tipografo scopre un sistema per rendere fissi sulla lastra usata per la stampa di una pagina, i caratteri, fino ad allora mobili, così da poter fare infinite copie della stessa e per brevettare la sua invenzione crea un neologismo, “stereotipia” dal greco “stereos”, “rigido” e “typos” “impressione” e non sa di avere inventato, oltre ad un mezzo che ha consentito di fare un balzo in avanti sulla strada della editoria, una parola che avrà una grande fortuna per il senso veicolato che, ampliato figurativamente, dà adito a molte altre significazioni.

Macchina fotografia - Centro Português de Fotografia, Oporto - 2018

Da un lato “stereotipo” è passato a significare qualcosa che da “rigido”, diviene statico, immutabile, nel bene come nel male. Certi luoghi comuni che, per essere condivisi da tutti, diventano realtà senza supporto, di una genericità indiscriminata, tanto da perdere il proprio valore originario, anzi acquisendo una carica negativa come altrettanti pregiudizi. Il pregiudizio è una convinzione che non poggia su una esperienza diretta, ma si fonda sul sentito dire. Un giudizio che precorre la conoscenza, anzi che fa a meno della conoscenza. Rigidità, fissità, mancanza di elasticità, tutto il peggio che possa derivare dalla originaria fonte dello “stereo”, che però si rifà ampiamente con il secondo canale preso dal valore semantico della parola greca.

Lo stereo, per noi audiofili o presunti tali, oggi indica l’impianto ad alta fedeltà che abbiamo a casa per la riproduzione della musica. E la stereofonia è il sistema di riproduzione con più fonti del suono, così da rendere la sensazione di spazialità che ha la musica, come avviene nelle sale da concerto, dove l’orchestra è schierata da un lato all’altro del palcoscenico in modo da coprire l’intero spazio con il suono.

Spazialità e anche tridimensionalità, sembra fossero concetti già contenuti nel termine “stereos”, anche se non è chiaro come si possano conciliare con l’altra idea prevalente di rigidità e durezza, se non forse con un’ardita (temeraria) ipotesi di cosmologia arcaica. Quali erano le conoscenze sul cosmo, all’epoca in cui Platone scriveva i suoi Dialoghi? (a proposito dove li scriveva e come?). Mi sbaglio o c’è stata un’epoca in cui si riteneva che la terra fosse piatta, immobile e la cupola celeste con tutte le stelle in essa incastonate le girasse sopra? E questo non poteva suggerire ai semplici come avremmo potuto essere noi trasferiti a quel tempo, l’idea di una durezza nel senso di materialità, unita a quella di vastità, profondità e pluridimensionalità?

Comunque “stereo” è divenuto un prefisso che si adatta a molte altre situazioni, sempre in questo senso della dimensione spaziale, forse anche globale, e così, oltre alla stereofonia applicata alla musica, si hanno una stereochimica, una stereoscopia, stereocinematografia e addirittura in medicina una stereoagnosia che è l’incapacità di riconoscere un oggetto al tatto e al buio.

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