CRUCCIO
Il cruccio è un dolore non fisico ma spirituale, un tormento che prende l’animo e dà forte disagio. E’ uno stato di alterazione psicologica indotto da risentimento, collera, malanimo. Il sostantivo deriva dal verbo crucciare che significa affliggere.
In questo nostro tempo in cui sembra che tutto sia lecito, è ormai invalso nella lingua italiana parlata e scritta, l’uso indiscriminato del verbo “incazzarsi”, per indicare l’insorgenza nel soggetto di un moto di rabbia e di sconcerto che si prova in determinati momenti, espressione che una volta era riservata agli scaricatori di porto, oggi è alla portata di tutti e non disdice nemmeno sulla bocca ad una bella donna o di un bambino non tanto innocente. Si tratta indubbiamente di una volgarità e senza essere pedanti si può affermare che linguisticamente non esiste collegamento tra il modo di reazione ad uno stimolo dell’organo genitale maschile e lo stato d’animo che si crea quando un cruccio si crea in seguito ad un’arrabbiatura.
Esistono nel vocabolario italiano un’infinità di vocaboli molto più significativi di quello sopra nominato, tanto che spesso c’è l’imbarazzo della scelta, per via della qualificazione che si vuole dare alla collera. Arrabbiarsi, corrucciarsi, adombrarsi, immusonirsi, accigliarsi, imbronciarsi sono soltanto alcuni di essi. Corrucciarsi, rafforzativo di crucciarsi, forma riflessiva di corrucciare (al participio corrucciato), dà luogo anche al termine cruccio, che è il rovello, il motivo dell’ira e del rancore di cui sopra. Secondo alcuni deriva dal latino “cum”, uguale “con”, più “cruciari”, tormentare, come mettere in croce, che descrive in maniera lampante il senso della contrarietà che si prova a seguito di un fatto o di un’azione commessa da altri.
La rabbia si esprime principalmente con l’atteggiamento del volto ed infatti tutti i verbi di cui sopra fanno riferimento ad una parte di esso, gli occhi (di bragia), le ciglia o sopracciglia, vedi accigliarsi, la bocca, immusonirsi, la fronte che si aggrotta o il broncio che si tiene; imbronciarsi, che vuol dire dimostrare uno stato d’animo di profonda irritazione, dispetto, rabbia mal contenuta, con l’espressione contratta del viso. Corrucciarsi si dice anche del tempo e del mare, quando mettono al brutto. Ed è sempre uno spettacolo superbo quando le forze della natura si scatenano assumendo aspetti antropomorfi, il vento che soffia col guance gonfie di Eolo, il mare che si solleva sotto l’azione del tridente di Nettuno, le nuvole che si addensano e rabbuiano, come un tempo faceva Zeus, signore dei fulmini e delle saette, che scagliava in abbondanza ogni volta che Giunone scopriva qualche sua marachella, oppure c’era qualche dissidio fra gli Dei e toccava a lui ripristinare l’ordine e l’autorità sull’Olimpo o anche quando qualche umano rompiscatole commetteva azioni indegne dell’umana progenie da fare indignare il re degli dei.
Altra cosa è la gruccia, nome con cui si indicano due oggetti abbastanza differenti fra di loro, come la stampella di uso ortopedico per disabili, e l’appendiabiti, che però, secondo alcuni, a motivo della forma dei due supporti ora nominati, entrambi in qualche modo fatti a forma di croce, per sorreggere vuoi l’invalido, vuoi gli abiti, avrebbe anche essa discendenza dal latino “crux – crucis”, “la croce”.
E tanto vale senza farcene un cruccio.
Caron, non ti crucciare…
Caron dimonio con occhi di bragia.
(inf. Canto III).
In questo nostro tempo in cui sembra che tutto sia lecito, è ormai invalso nella lingua italiana parlata e scritta, l’uso indiscriminato del verbo “incazzarsi”, per indicare l’insorgenza nel soggetto di un moto di rabbia e di sconcerto che si prova in determinati momenti, espressione che una volta era riservata agli scaricatori di porto, oggi è alla portata di tutti e non disdice nemmeno sulla bocca ad una bella donna o di un bambino non tanto innocente. Si tratta indubbiamente di una volgarità e senza essere pedanti si può affermare che linguisticamente non esiste collegamento tra il modo di reazione ad uno stimolo dell’organo genitale maschile e lo stato d’animo che si crea quando un cruccio si crea in seguito ad un’arrabbiatura.
Maltempo nel bellunese (autunno 2018, fot.scon.) |
Esistono nel vocabolario italiano un’infinità di vocaboli molto più significativi di quello sopra nominato, tanto che spesso c’è l’imbarazzo della scelta, per via della qualificazione che si vuole dare alla collera. Arrabbiarsi, corrucciarsi, adombrarsi, immusonirsi, accigliarsi, imbronciarsi sono soltanto alcuni di essi. Corrucciarsi, rafforzativo di crucciarsi, forma riflessiva di corrucciare (al participio corrucciato), dà luogo anche al termine cruccio, che è il rovello, il motivo dell’ira e del rancore di cui sopra. Secondo alcuni deriva dal latino “cum”, uguale “con”, più “cruciari”, tormentare, come mettere in croce, che descrive in maniera lampante il senso della contrarietà che si prova a seguito di un fatto o di un’azione commessa da altri.
La rabbia si esprime principalmente con l’atteggiamento del volto ed infatti tutti i verbi di cui sopra fanno riferimento ad una parte di esso, gli occhi (di bragia), le ciglia o sopracciglia, vedi accigliarsi, la bocca, immusonirsi, la fronte che si aggrotta o il broncio che si tiene; imbronciarsi, che vuol dire dimostrare uno stato d’animo di profonda irritazione, dispetto, rabbia mal contenuta, con l’espressione contratta del viso. Corrucciarsi si dice anche del tempo e del mare, quando mettono al brutto. Ed è sempre uno spettacolo superbo quando le forze della natura si scatenano assumendo aspetti antropomorfi, il vento che soffia col guance gonfie di Eolo, il mare che si solleva sotto l’azione del tridente di Nettuno, le nuvole che si addensano e rabbuiano, come un tempo faceva Zeus, signore dei fulmini e delle saette, che scagliava in abbondanza ogni volta che Giunone scopriva qualche sua marachella, oppure c’era qualche dissidio fra gli Dei e toccava a lui ripristinare l’ordine e l’autorità sull’Olimpo o anche quando qualche umano rompiscatole commetteva azioni indegne dell’umana progenie da fare indignare il re degli dei.
Altra cosa è la gruccia, nome con cui si indicano due oggetti abbastanza differenti fra di loro, come la stampella di uso ortopedico per disabili, e l’appendiabiti, che però, secondo alcuni, a motivo della forma dei due supporti ora nominati, entrambi in qualche modo fatti a forma di croce, per sorreggere vuoi l’invalido, vuoi gli abiti, avrebbe anche essa discendenza dal latino “crux – crucis”, “la croce”.
E tanto vale senza farcene un cruccio.
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