RUGIADA

Da allora non aveva scritto più neanche una riga. Da quando aveva sentito, dalla voce dell’oncologo, il risultato infausto dell’esame istologico fatto sul campione di tessuto prelevato dalla sua prostata in occasione dell’intervento al quale era stato sottoposto il mese prima.

"Sig. Mario", aveva detto il chirurgo, "purtroppo l’esito dell’esame è positivo e noi dobbiamo procedere ad un intervento radicale per evitare l’insorgere di metastasi che la porterebbero rapidamente alla fine. Con l’intervento invece lei ha buone probabilità di sopravvivere a lungo, con un buon tenore di vita".

Ecovillaggio Torre di Mezzana (Prato) - 2017

Erano passati due anni dal secondo intervento, trascinati faticosamente fra terapie, nuovi accertamenti, visite di controllo e soprattutto difficoltà di adattarsi alla nuova condizione, con esercizi di riabilitazione e tentativi di riacquisire le normali funzionalità del suo corpo. L’intervento “radicale” aveva comportato un indebolimento di alcune capacità fisiologiche ed egli ora si ritrovava, dimesso definitivamente dall’ospedale, come “guarito”, almeno temporaneamente e si sentiva galleggiare come in un limbo opaco e senza punti di riferimento. Ida, la moglie lo aveva assistito amorevolmente e con lui aveva vissuto la lenta discesa verso una forma depressiva, ma faceva di tutto per non fargli pesare la sua nuova condizione. Si sentiva menomato e lo era. Nelle sue funzioni più basse, ma anche nel suo orgoglio di uomo. Non controllava più bene la funzione urinaria e per questo era costretto a tempi molto brevi. Dovunque andasse, doveva preventivamente accertarsi che il posto fosse dotato di impianti igienici. Non aveva più avvertito alcuno stimolo sessuale ed a questo preferiva non pensare. Faceva parte del rimosso, in fin dei conti aveva i suoi settanta anni e la sua vita l’aveva vissuta; ora si trattava di andare verso la fine e basta. Piuttosto soffriva per il fatto di non avere più idee. Non scriveva ed era convinto di non saperlo più fare. Come per l’altra questione, il sesso, avvertiva un gap che in realtà era in entrambi i casi un’ansia da prestazione. Le donne e la letteratura erano state le sue due grandi passioni. Ah, sì; e l’enologia, l’amore per un buon bicchiere di vino ad ogni occasione felice ed allora erano tante. Quando era con le donne o quando stava nel suo studio, con i suoi adorati libri. Ora la vita in città gli sembrava insopportabile e per questo, da qualche tempo, stava pensando di trasferirsi da qualche altra parte. Il suo editore gli telefonava ogni tanto, formalmente per informarsi sulle sue condizioni di salute, in realtà per sollecitarlo a portare avanti il progetto di un nuovo romanzo che egli aveva annunciato, alcuni anni prima e per il quale aveva ricevuto un anticipo sui proventi, poi abbandonato a causa della malattia. Allontanandosi dalla sua abitazione, avrebbe evitato di dare il suo nuovo recapito e così si sarebbe inabissato nell’anonimato, come avevano fatto grandi scrittori prima di lui.

In occasione di una gita fatta insieme a due cari amici, Edmo e la moglie Flora, aveva scoperto un posto incantevole, si saliva su per la statale dal lago di Campotosto, oltre il confine con il Lazio e ci si inoltrava per una strada regionale che in pochi chilometri portava ad uno slargo con la vista su un lago più piccolo, circoscritto, limpidissimo, con le sponde inondate dal verde delle piante tutt’intorno. La superficie del lago, appena increspato, rifletteva l’immagine segmentata e capovolta degli alberi sulla sponda. Si erano fermati ammaliati da quello spettacolo così inatteso ed avevano sostato per girare intorno al lago, esplorare le stradine che si perdevano nella boscaglia. Nascosti in mezzo al verde, ogni tanto, affioravano i tetti spioventi di legno di alcune casette disseminate nella zona, come dimore di fate e di gnomi. Data la stagione erano tutte chiuse ed il luogo sembrava deserto. Su una, il cartello “affittasi” con un numero di telefono, era vecchio e scolorito. Mario aveva preso il numero senza pensarci troppo: "chissà, forse, un giorno...".

Ed erano ritornati a casa, gli amici erano ripartiti e loro erano soli. La casa sembrava estranea. Quella notte Ida sentì che Mario si rigirava in continuazione nel letto. Al mattino, il suo sguardo aveva perso un po’ dell’appannamento degli ultimi tempi. Era limpido e determinato.

"Che ne dici Ida", esordì, "se per un po’ di tempo andiamo via da qui? Potremmo telefonare al numero che ho preso ieri e chiedere di quella casetta sul lago. Potremmo stare soli senza vedere nessuno. Io ne potrei approfittare per scrivere il mio nuovo romanzo. Per farlo ho bisogno di calma e solitudine. Debbo riprendere un discorso interrotto due anni fa. Potrebbe essere il romanzo della mia vita".

Ida lo guardò con occhi velati di pianto. Si rendeva conto dello stato d’animo del marito ed era disposta a tutto per agevolarlo. Ma temeva la solitudine. Principalmente per lui; era convinta che non potesse fargli bene. Avrebbe preferito che egli avesse ricominciato a frequentare gli ambienti letterari ai quali era abituato piuttosto che isolarsi col rischio di uscire fuori dal giro e di sentirsi escluso. Ciononostante disse:

"Possiamo provare. Magari per poco, vedrai il lago ti annoierà alla lunga. E desidererai tornare in città".
"Certo, se così fosse, potremo sempre tornare..."

La trattativa per l’affitto non fu affatto complicata. A Mario il prezzo richiesto sembrò congruo ed egli disse di voler affittare per un mese, salvo successive proroghe. Si incontrarono un giorno, di pomeriggio in un posto convenuto, con la proprietaria dell’immobile una donna gioviale, di nome Emma, che dette loro tutte le informazioni necessarie e consegnò le chiavi della casetta. Il giorno dopo partirono per una prima ricognizione. Quando furono sul posto, l’emozione della prima volta si trasformò in un caldo sentimento di beatitudine che traspariva dagli occhi di entrambi. La sensazione di essere entrati in un mondo magico pieno di fascino, segreto, al riparo da sguardi e intrusioni indesiderate. La macchina fu posteggiata nello slargo proprio davanti al lago e loro rimasero un pezzo a guardare intorno, senza scendere. La casetta, lì vicino, ispirava un senso di conforto, era il rifugio in mezzo a tanta bellezza, di cui ora avevano la disponibilità, che costituiva non senza una punta di ebbrezza, un punto fermo per non perdersi subito nei sogni. Questa impressione fu ancor più evidente quando entrarono nell’abitazione che aveva tutte le caratteristiche di un alloggio essenziale dotato di grazia e originalità, ma soprattutto funzionale; tutto era in ordine e ben tenuto. Essi si rallegrarono e cominciarono a disporre le loro cose, cercando di non sovvertire quella disposizione che sembrava studiata per il massimo del comfort, nel minimo di spazio.

"Sei contento?", chiese Ida al marito, "qui dovremmo stare molto bene e tu potrai lavorare in serenità."
"Credevo che non esistessero più posti come questo", fu la risposta estasiata di Mario, "voglio andare subito a dare un’occhiata qui intorno. Metteremo il mio studio nell’abbaino al piano di sopra, che sembra una piccola torre di guardia, ma ha una bella finestra che si apre sul lago".

La padrona di casa aveva indicato dove andare a fare i rifornimenti: a pochi chilometri di distanza, presso un incrocio tra la via regionale ed una via comunale c’era un piccolo emporio che aveva di tutto, dagli alimentari, ai pezzi di ricambio per auto, ed accanto una stazione di servizio con una pompa di benzina ed una per gasolio. Il primo giorno trascorse in modo un po’ casuale, così, tra la sensazione di straniamento del primo momento e la necessità di procurare tutto ciò di cui avrebbero avuto bisogno per un certo tempo. A sera erano fuori della porta di casa, sotto il portico di legno, su due sedie, stanchi ma soddisfatti. Si guardavano intorno affascinati, ma preoccupati: con il sopraggiungere delle ombre, il paesaggio aveva assunto un aspetto diverso e leggermente inquietante. Il lago era una macchia nera, la cima degli alberi, abeti per la maggior parte, si stagliava contro lo sfondo del cielo, rischiarato solo dalle stelle, come una corona irta di punte, la luce elettrica della lampadina esterna illuminava debolmente una chiazza di terreno davanti alla casa, lasciando nel buio tutto il resto. Nel silenzio generale un lieve sciabordio proveniente dalla sponda del lago e, ogni tanto, il richiamo di qualche uccello notturno; brevi fruscii dalla vicina siepe. Ida rabbrividì e Mario le offrì una coperta che aveva preso dall’ingresso. Non faceva freddo ma l’umidità era notevole.

"Credo sia meglio andare a letto", disse lei e il marito dopo un attimo di esitazione convenne. Entrambi rientrarono e spensero le luci. La camera da letto era adiacente all’ingresso ed era carina, accogliente; un grande letto matrimoniale, un armadio a due ante, un comò con quattro cassetti e due sedie. Un grande specchio a muro a fianco del letto, faceva uno strano effetto di duplicazione della stanza e degli occupanti. Dalla finestra entrava un lieve bagliore notturno. Mario strinse la mano di Ida sotto le coperte e le augurò la buona notte. "Buona notte", rispose lei addormentandosi. Tra la veglia e il sonno, avvertì il verso di una civetta e anziché spaventarsi, se ne compiacque e con questa eco nell’ultima frazione di coscienza, scivolò inavvertitamente nella nuova realtà del sogno, dove spesso ciò che era improbabile diventava possibile e le cose che non avevano senso, ne acquistavano uno con naturalezza. All'inizio del sogno era pieno di vigore e una girandola di immagini stimolavano la fantasia ma, dopo un poco, la scena seguente era quella di un deserto con lui stanco al punto di non poter muovere le gambe.

"Tutto bene?", gli chiese Ida premurosa.
"Tutto bene", rispose in un vuoto sena fine.

Il mattino seguente si svegliò abbastanza rinfrancato. Uscì per tempo per fare il giro del lago, ma ben presto si rese conto che non era un’impresa delle più facili e le sue forze erano molto limitate. Allora salì in macchina e prese il sentiero che costeggiava la sponda. Il sentiero si interrompeva poco dopo e fu costretto a fare retromarcia e prendere la strada comunale che saliva a mezza collina. Ida dal letto sentì il rumore del motore della macchina, andare tornare e poi di nuovo allontanarsi e rimase in pensiero. “Chissà dove andrà” pensò.

Giunto sul lato opposto del lago, Mario arrestò la macchina e scese. Con un binocolo era possibile distinguere tra il verde la loro casa dall’altra parte e gli parve di scorgere Ida affacciata alla finestra della camera. Rimase in contemplazione per un pezzo. Si sentiva come quel Wakefield di Hawthorn che lascia moglie e figli per andare ad abitare poco lontano e per anni resta solo, vicino a loro ma senza mai incontrarli e spiandoli di notte da una finestra, come un reietto. La natura intorno lo affascinava e gli faceva paura. Temeva di non riconoscersi: chi era lui? Cosa gli era successo? Perché la sua vita si era modificata in quel modo? Cosa andava cercando? Tornato sulla comunale, vide un gruppetto di case ed un locale che doveva essere una specie di bar-osteria. Posteggiò lì davanti, scese ed entrò. Era un luogo angusto e buio: un bancone, pochi tavolinetti, l’oste dietro il banco e due uomini vestiti con abiti da pescatori, in piedi, intenti a parlare. Uno dei due zoppicava vistosamente. Ordinò un caffellatte ed una brioche che si portò ad un tavolino per fare colazione.

"Si pesca nel lago?", chiese rivolto ai due pescatori. I due smisero di parlare tra i loro ed uno rispose:
"Qualcosa, carpe, coregoni, qualche anguilla...".
"E’ possibile noleggiare una barca?"
"Dall’altra parte del lago c’è un pontile. E’ di una straniera venuta qui da chissà dove", disse lo zoppo, facendo qualche passo verso di lui, "il diavolo se la porti, è una pazza scatenata, però fa pagare poco e la barca gliela puoi riportare anche dopo diversi giorni".

Mario si avvicinò al banco per pagare la consumazione. Tirò fuori una banconota ed attese il resto.

"Capo, fate anche da mangiare, qui?", la domanda era rivolta all’oste intento a lavare tazze e bicchieri.
"Certo, quando vuoi", rispose un po’ incongruamente l’interpellato, incassando la banconota e mettendo sul banco alcune monete, che Mario raccolse.
"Grazie, ci rivedremo", proferì Mario che, fatto un cenno di saluto ai due pescatori, uscì.

La prima cosa che fece, tornato sull’altra sponda del lago, fu cercare la casa con il pontile e non fu difficile trovarla. Era presso una insenatura ad appena cinquecento metri da casa sua, ma non si vedeva perché nascosta da un promontorio. Scese il vialetto che conduceva all’ingresso e bussò alla porta. Non rispose nessuno. Provò a spingerla e vide che si apriva.

"C’è nessuno?", gridò nel vano della porta, "è permesso?".

Vedendo che nessuno rispondeva, riaccostò la porta al battente e fece il giro della costruzione, caso mai chi ci abitava fosse sul retro. Quando stava per rinunciare e andare via, sentì una voce che lo chiamava:

"Cerca qualcuno?"

Si girò e la vide. Era uscita da una specie di gazebo che si trovava in prossimità del lago a fianco del pontile, al quale vide ormeggiata una barca dal fondo piatto, e gli veniva incontro con passo deciso. Era una donna dalle forme rotondette, nel pieno di una maturità lussureggiante, né giovane, né vecchia, molto attraente, vestita semplicemente, dallo sguardo dritto ed impertinente.

"Vanessa", disse tendendogli la mano "sono la proprietaria di questo posto".
"Sono venuto per la barca", disse Mario stringendo la sua mano, "al bar mi hanno detto che è possibile noleggiarla...".
"Lei chi è?", chiese la donna.
"Sono l’inquilino della villetta qui vicino. Mi chiamo Mario e sono qui con mia moglie".
"La casa della Emma? Ho capito. Intendete rimanere a lungo?"
"Dipende, rispose incerto l’uomo, "abbiamo bisogno di riposo, mia moglie ed io; per il momento è un mese, poi si vedrà".
"Sono molto felice che siate qui, lei ha una faccia che mi pare di conoscere. Vuol dire che ci faremo compagnia. Qui non si vede mai nessuno, eccetto d’estate e a Natale. Siete i benvenuti. Verrò a conoscere la signora...".
"Ida", pronunciò lestamente l’uomo.
"Ida, ripeté Vanessa con un sorriso che le fece lampeggiare gli occhi. "Mi diceva della barca? La può prendere senz’altro quando vuole", aggiunse lasciando la mano dell’uomo, trattenuta distrattamente fino a quel momento, come se non se ne fosse accorta.
"Quanto vuole per il noleggio?"
"Siamo fuori stagione, non posso farle un prezzo. La tenga pure e alla fine vedremo; mi darà un compenso, ma vedrà che non le costerà molto".
"Grazie, lei è davvero molto gentile" e fece per salutarla, ma la donna, inaspettatamente gli gettò le braccia al collo e lo abbracciò calorosamente. Mario sentì tutto il piacere di quel contatto, la donna aveva un odore fresco di erbe selvatiche, ma egli avvertì nella stretta un’ansia che lo mise a disagio. Perciò, delicatamente fece per sottrarsi alle braccia della donna, la quale, prima di mollare, non rinunciò a dargli un bacio sulla guancia.
"Qui siamo fatti così", disse.
"A presto" rispose lui un po’ impacciato.
"A presto e salutami tua moglie, dille che diventeremo buone amiche".

Mario registrò il passaggio dal lei al tu e ne fu contento.

"Grazie glielo dirò. Sono felice di averti conosciuta", aggiunse per recuperare la distanza che aveva involontariamente creato con l’atteggiamento di poco prima e voltò le spalle. Tornato a casa, salutò appena Ida, alle prese con la cucina della quale ignorava il funzionamento e si chiuse nel bagno. Avvertiva tutto il peso di una situazione incresciosa. L’improvvisa comparsa di quella donna esuberante ed estemporanea aveva sconvolto il suo precario equilibrio psichico, facendo rinascere in lui l‘antico desiderio del predatore ed il timore di non poterlo soddisfare.

"Ho affittato una barca, per fare delle escursioni sul lago e andare a pesca. La padrona è una donna che abita a poche centinaia di metri da qui e si chiama Vanessa. E’ un tipo estroso e dice che vuole conoscerti. Probabilmente verrà a trovarti. Sii gentile con lei".

Salì i gradini della scala a chiocciola che portava all’abbaino dove aveva trasferito tutta la sua roba e sedette al tavolino che aveva preso come posto di lavoro. Aveva l’animo in subbuglio: doveva superare l’impasse della malattia per riprendere la sua attività. Aveva dei lavori iniziati e mai portati a termine che non trovava il coraggio di riprendere in mano. Voleva ricominciare da qualcosa di assolutamente nuovo; niente più a vedere con la vita di prima. Egli aveva rischiato di morire; adesso viveva a metà; doveva assolutamente trovare il modo di tornare a vivere nella pienezza del suo essere. Ad ogni costo, partendo dalla malattia. Quello che gli era capitato poteva essere l’occasione buona per cambiare totalmente il suo modo di concepire la vita. Accese il computer e cancellò la posta degli ultimi due anni, che non aveva mai aperto. Poi annullò la cronologia degli eventi e ripulì la memoria da cose che non gli servivano più. Alla fine andò sul suo vecchio programma di scrittura ed attese la schermata bianca per cominciare a scrivere. Il mondo era tutto fuori della sua finestra. Gli venne in mente la rugiada. Quella mattina, appena fuori della porta di casa, aveva fatto conoscenza con la rugiada. Una fresca sensazione di umidità che sembrava dare linfa a tutto il creato. Camminando in mezzo all’erba, le sue scarpe si erano presto bagnate. Goccioline di acqua risplendevano su ogni foglia o filo d’erba. Si ricordò di una definizione scolastica del fenomeno, "precipitazione atmosferica conseguente alla condensazione della umidità dell’aria, calda, che si deposita sotto forma di goccioline di acqua sulle superfici più fresche". Lì per lì non aveva dato peso alla cosa, ma ora, a ripensarci, gli sembrava un fatto degno di nota. Era la stessa sensazione di fresco fragrante che aveva sentito provenire dal corpo di Vanessa. E il suo pensiero ritornò a quella donna istintiva e calorosa. I giorni cominciarono a passare in fretta. Mario era tornato da Vanessa per prendere la barca dal pontile dove era ormeggiata e portarla davanti casa sua. Questa volta era in casa, fu moto contenta di vederlo e gli chiese di entrare.

"Siediti", gli disse una volta dentro "ti preparo un caffè".
"Senti, per il pagamento come facciamo?", chiese lui.
"Lascia perdere il pagamento", lei rispose. "La barca puoi tenerla quanto vuoi, io ora non so che farne".

Mise sul tavolo due tazzine con i reativi piattini e poco dopo vi versò del caffè nero fumante.

"Che fai nella vita?", gli chiese all’improvviso, guardandolo con gli occhi al di sopra della sua tazzina, mentre si accingeva a fare il primo sorso.
"Niente", rispose lui, "sono uno scrittore, ma non scrivo".
"Magari non scrivi adesso, ma avrai ben scritto in passato. Tutti gli scrittori ad un certo punto entrano in un periodo di crisi creativa e si bloccano. Ma poi si riprendono, Si tratta di ritrovare il filo. A volte è una maturazione, l’occasione per fare un salto di qualità". Lo accompagnò sul pontile, lo salutò con un bacio ed attese che lui, entrato nella barca, sciogliesse la cima e cominciasse a remare.

Da quel giorno Mario, tutte le mattine, usciva e gironzolava nei dintorni, poi con la barca si dirigeva al largo. Ida osservava il suo andirivieni dalla finestra della cucina ed aveva visto che alcune mattine sostava per qualche tempo in mezzo al lago, apparentemente senza fare niente. Poi scompariva dietro un promontorio. Lei era sempre affaccendata ma in quei momenti si soffermava a pensare a cosa potesse affliggerlo. Quando tornava, talvolta dopo alcune ore, aveva notato che l’umore del marito, sembrava meno ombroso ed abulico, cosa che la faceva sperare in un effetto benefico di quella strana vacanza fuori dal mondo. Non che non vi fossero ricadute; allora diventava assente con il pensiero lontano e non mostrava alcun interesse. Lei si confortava pensando che l’importante per il momento era che lui riprendesse contatto con il suo mondo interiore, si accettasse per come era e ricominciasse a scrivere. Per questo non interferiva nelle sue scelte ed acconsentiva ad ogni sua stravaganza. Vanessa aveva mantenuto la sua promessa ed era venuta a far visita ad Ida e le due donne avevano sodalizzato in fretta.

"Per qualunque cosa chiedi a me", le aveva detto, "vedrai qui non si sta male. Lasceremo tuo marito a lavorare e tu e io andremo a fare belle passeggiate nel bosco".
"Ben volentieri", aveva risposto Ida con finto entusiasmo.

Era autunno inoltrato e le condizioni atmosferiche mutavano in peggio con pioggia, vento e nebbia sempre più fitta. Le giornate più corte e la temperatura seguitava a scendere. Mario usciva all’alba, indossando una giacca impermeabile ed un cappello da pescatore, che non era ancora giorno e tornava dopo diverse ore. Poi si chiudeva nello studio e riemergeva solo per il bagno e per i pasti. Ida seguiva accorata il ritmo delle giornate: la luce, il buio, il giorno, breve; la notte, interminabile; il suo cuore sempre più stretto in una morsa. Quando lui glielo permetteva, ella saliva sull’abbaino a fare pulizia e trovava la stanzetta invasa dai libri aperti dappertutto, sul tavolo fogli sparsi e una pila, ancora piccola, di fogli stampati a destra ed un’altra più grande a sinistra di fogli in bianco. In mezzo la stampante, sempre accesa. Il computer, quando lei saliva, era quasi sempre chiuso. Vanessa era tornata qualche volta a trovarla ed era riuscita a convincerla a fare brevi passeggiate, durante le quali l’argomento di conversazione era stato quasi esclusivamente il lavoro di Mario scrittore. E di quanto era bravo e di quanti libri aveva già scritto e della momentanea difficoltà a riprendere in seguito alla malattia. Vanessa aveva manifestato molto interesse per questo aspetto che toccava lo stato d’animo dello scrittore. Dopo non si era più vista.

Ai primi di dicembre cadde la neve. Per fortuna la casa era ben riscaldata con il camino sempre acceso, che irradiava calore anche nelle altre stanze mediante un sistema di tubi che alimentavano di acqua calda i vari caloriferi sparsi per la casa. La superficie del lago era immobile e sembrava di cristallo. Comunque durò poco, tornarono belle giornate, ma l’aria era rigida. Il contratto con la signora Emma era stato rinnovato più volte ed a Natale la pila dei fogli stampati sul tavolo di Mario era molto più alta di quella dei fogli non scritti. Mario aveva tirato fuori un’altra risma ed Ida era speranzosa di una rapida conclusione, forse pensando che se egli fosse riuscito a terminare il nuovo romanzo, il loro isolamento sarebbe finito ben presto. All’inizio del periodo festivo Vanessa si era ripresentata e senza tanti complimenti, aveva detto che voleva trascorrere le giornate festive insieme a loro. O nella loro stessa casa o anche a casa sua, purché si stesse insieme. Disse anche che aveva invitato a partecipare ai festeggiamenti “la Emma”, in quanto tutt’e due erano curiose di vedere come i due coniugi si fossero organizzati. Ed erano eccitate all’idea di entrare per la prima volta nel laboratorio di uno scrittore famoso.

"Pensa, Emma", aveva detto Vanessa all’amica, "la sera della vigilia di Natale, in cui si erano trovate insieme a casa di Mario e Ida, abbiamo la fortuna di avere con noi un vero scrittore. Lui non ha detto niente, ma io ho fatto delle indagini ed ho scoperto che si tratta di Mario Sirolo, quello che ha scritto “Metamorfosi” e “Punto di non ritorno”, due libri che io ho letto ed adorato e non lo sapevo".

Emma non riusciva a spiccicare le parole.

"Quando mi ha telefonato per l’affitto, ho capito subito che non si trattava di un inquilino qualunque, ma certo non potevo immaginare...", disse alfine.
"Ora ci dobbiamo impegnare a non fargli mancare niente", disse ancora Vanessa. "Il nostro scrittore ce lo dobbiamo coccolare, vero Ida?"
"Siamo tre donne completamente ai tuoi piedi, prode cavaliere", disse ironicamente Ida, "morirai in un mare di giuggiole".

Mario stappò una bottiglia di vino bianco e ne offrì alle signore, poi, mentre le altre due si davano da fare per preparare la cena, Vanessa, prendendo Mario per un braccio, disse che voleva visitare con lui l’abbaino e lo trascinò di sopra un po’ riluttante. Appena entrati, Vanessa chiuse la porta e si guardò intorno con ammirazione. Di ogni libro aperto consultò il titolo sulla copertina, poi si avvicinò al tavolino e sfiorò con le dita la pila di fogli stampati, accarezzandoli.

"E’ il tuo nuovo romanzo vero?", gli chiese andandogli molto vicino "mi piacerebbe leggere di nascosto quello che hai scritto. Sono molto emozionata. Di che parla?"
"Non posso dirtelo per il momento. E’ top secret".
"Promettimi che me ne parlerai un giorno, quando potrai. Dimmi almeno come si chiama."
"Penso che lo intitolerò “Rugiada”, sai quella che si posa sopra i fiori e sull’erba, donando la vita alle piante. Oppure, con una metafora, quella azione benefica di alcuni eventi che ridona forza allo spirito degli uomini. C’era una volta un fiore trascurato da tutti che stava appassendo. Fu coperto un giorno dalla rugiada e da quel giorno si trasformò nel fiore più bello, con tanti brillantini luccicanti. Tu credi alle favole?"
"Te lo dirò quando tu mi parlerai del tuo libro, un giorno, quando avremo tempo. Io adoro il tuo modo di scrivere e vorrei esserti vicina per ispirarti bei sentimenti. Vorrei essere la tua rugiada", azzardò, maliziosamente ironica.

Vanessa aveva istintivamente preso nelle sue le mani di Mario e le stringeva a sé, con grande trepidazione.

"So di cosa parli nei tuoi libri. Hai già scritto in “Metamorfosi” dell’impossibilità di conoscere fino in fondo l’animo delle persone e perfino di chi ci sta più vicino e nell’altro libro, “Punto di non ritorno”, ancora più interessante del primo, fino a che punto sia possibile spingersi su quella strada, conoscere l’animo delle persone, senza farsi male, cioè senza pagare uno scotto troppo grande. Immagino che questo ultimo possa trattare di come sia possibile superare una crisi irreversibile con i propri mezzi, affidandosi semplicemente alla natura. Dopo un buio profondo, una nuova luce".
"Vedo che hai un buon intuito e conosci il mio percorso letterario. Non mi dispiacerebbe scambiare con te idee e opinioni per rabberciare quanto sia possibile del mio passato e riuscire ad intravedere un futuro accettabile".
"Avrei piacere che tu mi dessi un bacio", gli disse ad un tratto, avvicinandosi ancora di più, fino a sfiorare quasi il volto di lui con il suo. Nel suo sguardo ogni traccia di ironia era scomparsa.

Mario fu colto di sorpresa; dentro di lui si agitarono molti pensieri; un raptus, vago ricordo di antichi stimoli, lo prese. Posò le sue mani sulle spalle della donna e la tenne davanti a sé ad una certa distanza, per poterla osservare attentamente negli occhi. Vanessa non cedette di un centimetro ed il suo sguardo intenso e speranzoso, prometteva dolcezze paradisiache. L’abbraccio fu brusco ed improvviso da entrambe le parti.

"Sembra che Vanessa si stia interessando un po’ troppo al lavoro di mio marito", disse ad un tratto Ida ad Emma, mentre stendeva la tovaglia sul tavolo della saletta.
"Vanessa è molto buona", rispose Emma, "ma è anche molto intraprendente. Fossi in te terrei gli occhi aperti".
"Figurati", disse Ida, "non abbiamo più l’età per essere gelosi".
"Non si tratta di essere gelosi o meno", insistette Emma, "Vanessa è proprio donna da prendere con le pinze. Povera donna, deve avere avuto un passato molto tormentato. Quando è venuta qui, è stata avvicinata da parecchi, ma nessuno ha legato con lei. Ha avuto anche qualche episodio poco piacevole; in paese ci sono due sbandati che vivono di pesca. Immagina che pesca ci possa essere qui. I pochi pesci che prendono, li vendono ai turisti durante la stagione, fuori di quella, ai pochi residenti, o alla trattoria. Appena arrivò Vanessa, essi cominciarono a rifornire la straniera di pesce appena pescato e lei, da principio, fu contenta e pagava bene. Venne il giorno in cui disse basta e i due non la presero bene. La cosa avvenne in casa di Vanessa, dove essi si erano recati con il pescato del giorno. Ne nacque una discussione e i due minacciarono di violentarla. Vanessa prese una mazza da baseball e cominciò a menare mazzate all’impazzata, colpendo i due più volte. Uno dei due, fuggendo, saltò da una finestra e si ruppe una gamba. Da allora è rimasto zoppo e per questo viene chiamato “Lo Sciancato”. Ida, ancora assorta per il racconto di Emma, stufa di attendere, salì al piano di sopra ed aprì la porta dell’abbaino.

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Tre anni dopo Ida tornò nella casetta sul lago e trovò ad attenderla Vanessa ed Emma. Tutto era stato allestito con grande semplicità. Nella sala d’ingresso, al posto del tavolo, il catafalco, con il corpo dello scrittore Mario Sirolo, spirato il giorno precedente. Niente ceri, niente fiori e nessuna immagine religiosa. A fianco una piccola esposizione delle opere dello scrittore. Da un apparecchio stereo collocato in uno scomparto della libreria, dall’altro lato della stanza, emanava una musica a volume bassissimo, che alternava pezzi di musica classica, tra i quali, ripetuto più volte, l’adagio della V sinfonia di Mahler, a brani di musica jazz di Parker, Coltrane, Mingus e l’Armstrong degli anni '20 e '30. Una piccola folla di conoscenti ed ammiratori dello scrittore, stazionava fuori della porta d’ingresso, un fotografo si aggirava discreto e faceva fotografie. Le tre donne vegliavano la salma in attesa dell’arrivo del carro funebre. Vanessa, che aveva assistito Mario fino alla fine, accolse Ida, la ex moglie, abbracciandola e ringraziandola per essere venuta. Emma compunta, assisteva alla scena con e lacrime agli occhi. Da quando Ida era partita, il giorno di Natale di tre anni prima, non l’aveva più rivista e tra di loro non c’era stato nessun contatto. Lo stesso era per Vanessa, che dal giorno stesso della sua partenza, aveva trasferito la sua dimora a casa di Mario. L’ultimo libro dello scrittore, pubblicato un anno prima, aveva ottenuto un buon successo di lettori affezionati e nuovi adepti, nonché buone recensioni da parte di critici letterari. Il titolo era: “RICREAZIONE”.

Dopo il funerale le tre donne tornarono nella casetta sul lago.

"Non vuoi rivedere l’abbaino, dove tuo marito ha trascorso la maggior parte del tempo, in questi anni?", chiese Vanessa ad Ida.
"Sì, rispose lei salendo con passo sicuro lungo la scala a chiocciola, "voglio che ci lasci soli, me e lo spirito di mio marito. Dovete lasciarci soli, abbiamo molte cosa da dirci".

Chiuse la porta dietro di sé e da quel momento passarono ore prima che riaprisse. Nel frattempo il silenzio aveva regnato su tutta la casa. Quando finalmente ridiscese, aveva gli occhi rossi di lacrime.

"Che ne dite di un buon caffè?", chiese, "magari corretto con qualcosa di forte".
"Ho della grappa"; rispose Vanessa, alzandosi per prendere la macchinetta del caffè.
"Vada per la grappa. A me una tazza grande.

Nessuno parlò fino a quando la macchinetta, con un sibilo, avvertì che il caffè era uscito. Vanessa servì e le tre donne, intorno al tavolo, cominciarono a sorseggiare, dopo essersi passata di mano in mano la bottiglia di grappa.

"Cara Ida", cominciò Vanessa a voce bassa, "so di doverti delle spiegazioni", Ida guardava dentro la sua tazza, "tu hai creduto che io abbia voluto rubarti tuo marito. Ma non è così. Non ero per niente interessata all’uomo, ma allo scrittore. Tuo marito aveva un grande talento, ma dopo la malattia, si era ripiegato su stesso, con l’abitudine si era indebolito, spiritualmente dico, non era più lo stesso e aveva bisogno di una scossa. Tu sei andata via, senza darmi la possibilità di spiegarti e le cose sono andate come sono andate".
"Cominciamo col dire", rispose Ida sibilando, "che quando vi ho sorpresi sull’abbaino, non eravate in un atteggiamento propriamente spirituale."
"Io ho cercato di farlo sentire libero, indipendente. Tu sei scappata e l’equivoco non è stato chiarito; tuo marito viveva sotto una cappa e io gliel’ho tolta. Se tu fossi rimasta…"
"Potevamo tenercelo in condominio, no? E’ questo che volevi propormi? Tu badavi a tenergli alto lo spirito e io avrei curato il corpo?"
"Non essere ingiusta", intervenne Emma, "Vanessa è stata generosa e si è comportata bene con Mario per il quale nutriva una vera venerazione. D’altro canto, se può esserti di consolazione, sappi che Mario fino alla fine ha pensato a te. Tornerà, mi diceva, sento che tornerà. In tutta la mia vita non ho amato che lei".

Vanessa tese le braccia attraverso il tavolo verso le altre due donne, invitandole ad unirsi a lei in un moto di affetto, formando un circolo al quale Emma aderì immediatamente, facendo segno ad Ida di fare altrettanto. Ida allargò piangendo le braccia e prese nelle sue le mani tese verso di lei dalle due amiche. Si salutarono abbracciandosi vicendevolmente, poi uscirono fuori. Emma chiuse a chiave la porta, Ida salì in macchina e partì. Vanessa, lentamente si avviò verso casa. Volse gli occhi al lago e vide la barca. Avrebbe provveduto in un altro momento a riportarla al pontile. Fin quando era lì, si disse, poteva illudersi che Mario fosse ancora vivo.

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