UNO SPARO NELLA NOTTE

IL FATTO

Quando di notte si udì lo sparo, qualcuno pensò che si trattasse di una delle solite scorribande di sbandati che la sera si riunivano in quel quartiere e facevano chiasso fino a tarda ora, sebbene, fino a prima di quella sera, non si fossero mai sentiti colpi d’arma da fuoco. Un colpo solo, secco e poi silenzio. Quelli che avevano alzato la testa dal cuscino, poco dopo, la riabbassarono, scuotendola perplessi; non si era sicuri più di niente in quella parte della città. Per strada non c’era nessuno, ad eccezione di un cane randagio, che andava rovistando nei cassonetti dell’immondizia che ebbe uno scarto improvviso di lato, spaventato dal rumore e fece per fuggire, poi si fermò, si guardò furtivo intorno e non vedendo nessuno, rassicurato riprese la sua attività indisturbato.
Gole dell'Infernaccio - 2018

Erano esattamente le tre del mattino del giorno 27 agosto 2018. L’ora fu confermata da diversi testimoni che a quell’ora erano svegli e avevano sentito lo sparo. Ma nessuno aveva visto niente.

GLI ANTEFATTI

L’avv. Gustavo Marchetti, noto penalista della capitale, abitante in un lussuoso attico, con annesso Studio Legale, in via Parioli e vista su Villa Borghese, è al culmine di una crisi coniugale con la moglie Monica Lambretti, crisi che i due coniugi, i quali si sono sempre mostrati di posizioni progressiste in campo di diritti civili e di famiglia, intendono risolvere in modo moderno e condiviso. Il marito ha sessanta anni di età ed un passato sentimentale costellato da ripetute infedeltà nei confronti della moglie che ha taciuto per tutto il tempo, ma ora ha deciso di passare al contrattacco: all’età di cinquantacinque anni ha allacciato una relazione sentimentale con un pittore quarantenne che la riceve nel suo atelier ed il marito lo sa. Dani Camardella, di Teramo, da poco laureato in Giurisprudenza, ha intenzione di intraprendere la professione di Avvocato e per questo è in cerca a Roma di uno studio legale disposto ad accoglierlo come praticante procuratore. 

GLI AVVENIMENTI

Quando Dani vide che sul pullman era salita anche quella ragazza, il suo cuore sussultò. Era la prima volta che la vedeva, ma ne rimase completamente affascinato. Non era raro per lui che avvertisse quel richiamo, ma mai così forte. Lei attraversò tutto il corridoio portando dietro di sé il suo trolley, senza guardare nessuno; gli occhi di lui invece non la lasciarono un momento; andò a sedersi tra le ultime file, a fianco di una ragazza, che doveva essere una sua amica, perché si misero subito a parlare. Dani si accertò che uno dei sedili dietro di loro fosse libero, e si alzò per cambiare posto, spostandosi con le sue cose in maniera abbastanza rocambolesca, perché il pullman nel frattempo si era messo in movimento e le ragazze risero delle sue sbandate tra una fila e l’altra di sedili, impacciato dalla borsa che portava con una mano e l’impermeabile appeso all’altro braccio. Lui sorrise in risposta e farfugliò qualcosa di spiritoso che nessuno capì. Appena seduto, si mise comodo e allungò il collo verso i due sedili davanti. Gli occhi divertiti delle ragazze conversero su di lui.

"Sono Dani, da poco laureato in Giurisprudenza; vado a Roma in cerca di lavoro. Capirete che sono un poco con la testa tra le nuvole."
"Benvenuto tra gli imbranati, rispose l’amica, lei è Silvana e studia lettere; io mi chiamo Virginia e non faccio niente."

Lui allungò il braccio tra i sedili e strinse la mano prima a Virginia e successivamente a Silvana, trattenendola brevemente e guardandola negli occhi. Il viaggio ebbe così inizio e Dani era lieto di aver fatto la conoscenza con quella che già considerava la donna della sua vita. Conversava con entrambe, ma il suo sguardo era rivolto verso Silvana alla quale parlava accoratamente, facendole gli occhi dolci e cercando di farle capire che egli era già innamorato di lei, che aveva avuto un vero e proprio colpo di fulmine e che ora avrebbe fatto di tutto per non perderla. E che era già disperato per paura che questa eventualità fosse reale. A Roma, si salutarono con abbracci e baci, e la promessa di rivedersi presto. Lui alloggiava in una pensioncina prenotata in via Castro Pretorio, a due passi dal capolinea del pullman e non lontano dall’Università e dalla Stazione Termini. Le ragazze invece abitavano in via Campo dei Fiori, circa mezz’ora di un bus di linea.

"In bocca al lupo", gli gridò Virginia, allontanandosi, mentre Silvana, girata anche lei, rimase muta a guardarlo, leggermente apprensionata; poi via tra la folla, sottobraccio alla sua amica.

La pensione nella quale Dani alloggiava ogni volta che andava a Roma, per periodi più o meno lunghi, era gestita da due donne, una madre anziana che provvedeva anche alla cucina e sua figlia, Arianna, quarantenne la quale lavorava nello studio di un avvocato, lo stesso di cui abbiamo parlato all’inizio ed era quasi sempre fuori casa, tranne che all’ora dei pasti, nei giorni dei week-end che trascorreva a casa e di notte, quando dormiva. Arianna era una ragazza dall’aria infelice ed insoddisfatta, di modi gentili delicati, bella, ma di una bellezza un po’ spenta; parlava del suo lavoro con riserbo e tutte le volte che nominava l’avvocato suo datore di lavoro, sempre con deferenza, arrossiva leggermente. Nei periodi in cui ospitata Dani si ravvivava e si vedeva che era contenta della sua presenza. Gli riservava delle accortezze durante il pranzo e dopo, prima di tornare al lavoro, si tratteneva con lui, ancora in vestaglia, qualche momento, sedendo, disinvoltamente sul bracciolo imbottito della poltrona dove Dani usava riposare nella stanza a lui assegnata, magari prolungando la conversazione iniziata a tavola. Un paio di volte era comparsa di notte, entrando furtivamente della camera dell’ospite, e si era messa nel letto al suo fianco. In quelle occasioni, gli aveva confidato con le lagrime agli occhi di non essere per nulla contenta della sua vita e di essere stata l’amante dell’avvocato, fino a quando quel quell’uomo cinico ed egoista si era messo con un’altra dello stesso studio ed aveva abbandonato lei. Per questo ora era triste e depressa e cercava consolazione. Che Dani, di buon cuore, non si sentì di negarle tutte le volte che ciò accadde.

"Ora le cose sarebbero andate diversamente", pensò, "perché adesso c’era Silvana e per lui era cambiato tutto."

Con Silvana Dani aveva allacciato un rapporto molto forte, ma non era riuscito a convincerla per una relazione stabile e definitiva, tanto che lui, sperava che una volta trovata un’occupazione le avrebbe proposto di andare a vivere insieme, con la prospettiva finale del matrimonio. Nel frattempo la portava con sé dovunque andasse e volle che venisse con lui alla pensione a conoscere le sue due locandiere. La prima volta che Dani portò con sé Silvana nella pensione, Arianna non era in casa. Fu sua madre la sera ad informarla della visita ricevuta. Non fu facile per lei digerire il colpo. Una sera Marianna rientrò annunciando che l’avvocato la settimana successiva avrebbe fatto una festa a casa sua e che avrebbe gradito anche la presenza del giovane laureato che ospitava nella pensione e della sua fidanzata, aggiungendo che da quella conoscenza sarebbero potute scaturire importanti conseguenze, dal punto di vista del lavoro, visto che lui stava cercando un praticante da assumere per il suo studio. Dani ne fu subito entusiasta e disse che anche Silvana sarebbe stata contenta di conoscere l’avvocato.

Il mercoledì successivo, quindi Dani e Silvana insieme a Marianna, erano, alle cinque del pomeriggio, a casa dell’avvocato Marchetti, la festa stava per cominciare. Dani e Silvana erano molto eccitati per l’accoglienza che il padrone di casa aveva riservato loro e per il fatto di trovarsi, così all’improvviso, proiettati nel mondo dei vip di cui ignoravano tutto. L’avvocato Marchetti era un uomo robusto e vigoroso, con un faccione bonario, occhi vivaci indagatori e dalla forte stretta di mano. Proprio in quel momento aveva radunato i suoi ospiti sull’ampio terrazzo coperto con un sistema di tende retraibili e si accingeva a parlare per spiegare il motivo di quella festa, visto che nessuno aveva idea di cosa si trattasse. Fin dalle prime parole si capì che il tono con il quale l’avvocato parlava era semiserio e voleva apparire divertito.

"Cari amici, vi ho qui riuniti per un annuncio importante: da questa sera io e Monica, mia moglie non dormiremo più insieme e questo non perché abbiamo litigato, come voi sapete, accaduto altre volte, ma per comune amore della libertà. Abbiamo deciso che tra di noi non debbano più esserci vincoli formali, ufficiali, della cui cogenza possiamo tranquillamente fare a meno ed affidare invece la continuazione della nostra comunione, alla fiducia e alla stima reciproca, con un rapporto basato su un concetto più alto di amore, che annulli volgarità come la gelosia, l’infedeltà e il tradimento che noi consideriamo residui di mentalità medioevali, strumenti del passato, non più proponibili tra coniugi che si rispettino, indipendentemente dal comportamento di ognuno che deve essere libero, spontaneo, genuino."

Gli astanti si guardavano l’un l’altro perplessi. Confusi. Alcuni abbozzavano sorrisi ironici. Sembrava che nessuno volesse prendere atto della dissacralità della cerimonia. Quella rappresentazione era una messa in scena assolutamente gratuita e non necessaria. Era puro snobismo.

"L’amore", stava affermando l’oratore, "è una cosa molto seria. Come viene, se ne va. In entrambi i momenti, è importante che gli altri, le persone che ci stanno vicino, sappiano quale è lo stato delle cose tra di noi, così che non abbiano a meravigliarsi di nostri comportamenti apparentemente anomali e così, come c’è una cerimonia apposita per il momento del compimento, che si chiama matrimonio, deve esserci una cerimonia uguale e contraria per il momento dell’abbandono."

Qualcuno ha detto: "è come lo sbattezzo". No, cari amici, non è come lo sbattezzo. Lo sbattezzo infatti è un’abiura, un voler cancellare quello che non vogliamo più, o non abbiamo mai voluto. Nel caso di quello che potremmo chiamare, con termine simile, lo smatrimonio, non si rinnega proprio niente; l’amore che c’è stato, c’è stato; è stato bello, lo abbiamo vissuto fino in fondo, solo che adesso è finito, stop, non c’è più e non è un dramma, è un fatto naturale del quale è bene prendere atto a trarre le conseguenze.

"Quella alla quale siete stati invitati e alla quale ora assisterete, è la cerimonia della separazione dei letti, che consiste nel fatto che il letto matrimoniale viene smembrato in due singoli che verranno collocati in due camere diverse. Ma noi non ci siamo separati. Ci siamo soltanto liberati dalla schiavitù di dover condividere un’intimità non più gradita. E continuiamo a volerci bene. Prego, accomodatevi dove volete, mentre gli operai provvederanno al distacco. Seguirà un piccolo buffet sul terrazzo. Grazie di essere intervenuti."

Dani e Silvana si guardarono intorno con sguardo incerto: la compunzione ieratica di alcuni, come di fronte ad una manifestazione patriottica, con l’applauso finale rivolto anche a loro, senza motivo, era comica e paradossale. Lo stesso discorso dell’avvocato era sembrato troppo serioso. Per una cerimonia del genere, ci sarebbe voluta una chiara dimostrazione di consapevole naif. Una grossa sbavatura, uno sberleffo, un avvertimento inequivocabile che si era nel campo dell’iperreale.

"Ognuno è libero di fare come vuole e di seguire le mode che crede più rispondenti al proprio stato, ma che ragione c’è di andarlo a pubblicizzare in questo modo", diceva qualcuno. La signora Monica, la moglie dell’avvocato non sembrava stare molto bene nel suo ruolo. E la figlia. La bionda Regina, era una statua di sale, impossibile sapere cosa pensasse di quella cosa che doveva apparirle soltanto qualcosa di vagamente indecente e buffonesco. Una inutile esibizione di falso modernismo. Gli invitati si erano sparpagliati per tutta la casa, e furono di nuovo radunati per assistere alla demolizione di quello che era stato un simbolo del matrimonio blindato, il talamo. Con l’intervento di alcuni esperti mobilieri, il letto matrimoniale fu smontato e fatto scomparire, sostituito da un singolo ad una piazza e mezza nella stessa camera ed un altro uguale nella camera accanto e due librerie separate in stile svedese. Ovviamente ogni camera aveva il suo bagno. Tutto lì. La rivoluzione era compiuta.

Sul terrazzo il buffet apparve subito lussuoso, ridondante, assolutamente sopra le righe, stante il tipo di cerimonia cui si era assistiti. La folla stentava a sistemarsi, non per carenza di posti a sedere, ma per l’impaccio di piatti piattini bicchieri e tovaglioli cui trovare un posto adeguato, onde poter gustare le prelibatezze che tutti si erano serviti. Poco alla volta l’assetto fu trovato e al vocio, subentrò una pacata conversazione tra i vari gruppi che si erano formati, tutti, più o meno interessati allo stesso tema, l’amore, il matrimonio, la libertà dello stato civile, come era stato presentato dall’anfitrione. Monica e Regina, tornata presente a se stessa, erano particolarmente attive, intervenendo in più discussioni contemporaneamente come fa il direttore d’orchestra che dà il via al solista, senza perdere di vista tutti gli altri componenti del complesso.

"Il male dell’amore consiste nel fatto che l’amante pretende il possesso esclusivo della persona amata", diceva Monica.
"La gelosia è la prova dell’amore", rispondevano.
"No, la gelosia è la negazione dell’amore."
"Dice bene l’avvocato, ma la gelosia è una pianta che non è possibile estirpare dall’animo umano, affermava solennemente uno."
"Io so di un caso in cui due vecchietti in un ospizio si sono sfidati a duello per il possesso di un’anziana ammaliatrice."

La sera, in pensione, Dani ebbe uno scambio di opinioni con Arianna, la quale sosteneva che l’amore doveva essere libero e tra una cosa e l’altra, disse che l’avvocato aveva molto gradito la loro partecipazione alla festa, ed era rimasto molto colpito dalla persona di Silvana che gli era sembrata molto carina e sicura di sé, facendo intendere che, se mai si fosse trovata a passare da quelle parti, all’avvocato non sarebbe dispiaciuto di ricevere una sua visita, nel corso della quale avrebbero potuto parlare di una futura sistemazione di Dani, a proposito del quale, però voleva sapere da lei quali erano i loro progetti e le loro aspettative, sulle quali egli avrebbe potuto influire positivamente. Quella sera l’avvocato Gustavo Marchetti fece finta di non essersi accorto di nulla e, si ritrovò solo in camera sua a rimuginare su tutto quello che era successo e non era per nulla contento. Sua moglie si era chiusa in camera con il pittore.

Tutti avevano detto la propria opinione a proposito di amore, tranne lui. Si era limitato a dire quelle quattro sciocchezze all’inizio, come in un gioco di società e poi si era seduto ad ascoltare quello che dicevano gli altri. Tutti bravi, tutti con molteplici esperienze, tutti certi di saper uscire da situazioni ingarbugliate senza difficoltà, in qualunque momento avessero voluto. Ma là in mezzo, era certo, nessuno aveva amato come aveva amato lui. Donne bellissime. Con tutto il cuore e l’anima. Questi, invece, mezze tacche, cazzi mosci. Egli aveva amato fino a tre donne contemporaneamente ed a tutte e tre aveva dato tutto se stesso. E nessuna si era mai lamentata. Ora si trovava per la prima volta a dover soffrire di gelosia. E’ bello, è moderno, parlare dell’amore, di come si concepisce in altri Paesi, con una società più evoluta della nostra, far sbalordire questi provinciali della suburra, di fronte al coraggio di rendere pubblica una cosa così intima come la separazione dei letti, di inneggiare alla liberalizzazione, in astratto, ma quando si parla di tua moglie è un’altra cosa. il corpo di tua moglie è sacro. Nessuno può toccarlo prima, durante e dopo di te. Questo era il suo pensiero, anche se non lo aveva mai confessato.

Per quanto facesse a non pensarci, non gli riusciva di togliersi dalla mente che gli eventi erano precipitati da quando aveva ritirato quel maledetto referto medico del Centro Tumori, dal quale risultava che la sua impotenza non era affatto momentanea, come il suo medico curante gli aveva assicurato, bensì permanente e che le sue condizioni erano destinate a peggiorare in quanto il tumore alla prostata era in fase molto avanzata e neanche un’eventuale operazione sarebbe servita a ridargli anche solo per un breve periodo un relativo benessere. Monica, sua moglie, che per tutto il periodo del loro matrimonio aveva sopportato i numerosi tradimenti, ritirandosi in un silenzio angosciato, ora, ignara della disgrazia che era capitata al marito, aveva deciso di risollevarsi dalla sua condizione di sudditanza passiva ed aveva preteso di fare qualcosa di eclatante per uscire allo scoperto, costringrndo il marito a sottometttersi a quella messinscena grottesca, di carattere sociale e divulgativo.

"La gelosia", aveva detto qualcuno durante la festa, "può essere di vario tipo. C’è la gelosia contestuale, quella che ti perseguita sempre mentre sei innamorato e c’è quella retroattiva, che, dicono, è quella dei cornuti. Ma io affermo che può esserci anche una gelosia in prospettiva, quella che può prenderti da un momento all’altro. Tua moglie è partita per un viaggio di lavoro insieme ad un collega, tuo carissimo amico, che sai non ti tradirebbe mai. E’ notte, sei solo a letto: e se loro invece fossero insieme a letto? Una volta che il tarlo della gelosia si è fatta la sua nicchietta nella tua testa, non riesci più a togliertelo. Anche senza volerlo, al ritorno guarderai con sospetto entrambi e cercherai poi, nell’intimità, di scoprire piccoli segni che possano farti ritenere che il fattaccio si sia verificato oppure no. Ma il dubbio resterà sempre."

Era disperato: sua moglie, la sua amata Monica, ora era fra le braccia di un altro uomo. Si sentiva impazzire. Monica questo non glielo doveva fare. Durante il pomeriggio, mentre fingeva di essere allegro e di condividere quella imposizione della moglie di separare i letti e rendere la cosa di pubblico dominio, aveva notato quei due ragazzi che erano con la sua segretaria, così giovani, così belli, così disarmati rispetto ai casi della vita ed un’idea cominciò a formarsi nella sua mente, come diversivo alla sua angoscia, caso mai nella sua esistenza, che ormai volgeva al termine, gli riuscisse di fare del bene a qualcuno. Tornò nello studio e sedette al suo scrittoio. Scrisse di suo pugno una lunga lettera per la sua segretaria. Istruzioni per la mattina successiva. Erano molto dettagliate, con l’indicazione di un iter burocratico da seguire e l’intervento di altre persone. Quando ebbe finito di scrivere, alcune ore dopo, era stanco, depresso. Tornando alla sua condizione di marito, tradito e gravemente malato, capiva che la situazione gli era sfuggita di mano e che tra lui e sua moglie, a quel punto, non c’era più nulla da fare.

"Non era successo niente", gli aveva detto lei una volta che egli le aveva rinfacciato l’avvenuto adulterio, "anzi, quello che è successo non vuol dire nulla, non significa nulla."

Ma c’era una parte di lei, aveva continuato a dire, che faceva bene a non considerare più sua. Anche perché non lo era mai stata.

"Tu eri tutto per me, ricordi? Ti avevo affidato la mia anima. Tra noi due, dicevamo ci dovrà essere sempre una comunione di intenti che ci legherà fin quando vivremo. Ma tu hai subito rotto il patto che c’era tra me e te e non hai avuto nessuna considerazione della mia sensibilità, del mio spirito, della mia personalità. Ma la mia anima non l’hai mai posseduta. Chi può possedere l’anima di una persona? Chi vede così a fondo in una persona da poter affermare di conoscerne ogni pensiero?"
"Se dunque non l’ho mai avuta", pensava, "nessuno me la può rubare. Ma allora perché mi sento così senza risorse, perché non riesco a togliermi dalla mente che la mia donna ora apre il suo cuore ad un’altra persona che le ruba l’anima?"
"Qualcuno adesso sa di lei ciò che tu non sai". Era il suo io impietoso che gli parlava e rigirava il coltello nella ferita.

Nel cassetto in fondo a destra, c’era una scatola, all’interno una pistola. L’aveva comperata tanto tempo prima e regolarmente denunciata. Per legittima difesa e protezione personale. Per via della sua professione aveva avuto a che fare con uomini la cui pericolosità era già stata oggetto di sentenze importanti. Accertata dai giudici, poi declassata per la sua abilità di difensore, a vivacità di carattere. Ma non l’avrebbe usata, non proprio quella sera, in cui gli sembrò di intravedere ancora qualcosa di incompiuto che doveva fare. Tutto il suo passato di uomo, di marito, di avvocato di successo, gli passò davanti agli occhi ed egli ebbe pietà per se stesso. Per il suo corpo malato. Ecco che ora capiva cosa era la gelosia. Nasceva dalla sua impotenza. E ti prende quando non sei più in grado di competere, quando sei finito e devi sopportare che qualcun altro faccia quello che prima facevi tu. Quando non sei più il capo del branco e devi piegarti alla legge naturale, uscire dal branco e rimanere solo. Di fronte all’atto fisico, quando tu sei ancor in grado di reagire, si può anche accedere al perdono (quale perdono? Per che cosa? Non siamo mica noi padroni del comportamento di un’altra persona!) e lasciare che il partner, la partner, ti dica "non è stato niente, per me non ha rappresentato niente", e prenderlo per buono; ma se per caso è l’anima che ti è stata rubata, l’anima della tua amata, che prima era tua, per amore, per dovere di fedeltà, per la fiducia che riponevi in lei, per la comunione degli spiriti, che prima c’era e ora non più, indipendentemente dal fatto che ci sia o non ci sia stato un atto o più atti fisici, carnali, tutti "che non hanno rappresentato niente", come la mettiamo? Possiamo ancora dire "non è successo niente"?

Aprì il cassetto, tirò fuori la scatola e la pose sul tavolo, davanti a sé. Un’idea disperata gli attraversò la mente, come una scarica elettrica... non l’aveva mai usata contro nessuno; sarebbe stato capace di farlo? Alzò gli occhi alla grande sveglia che aveva sul tavolo. Le lancette segnavano le tre esatte. Mancavano tre ore all’alba del 27 agosto 2018. Il mattino successivo, gli inquirenti trovarono sullo scrittoio, accanto al corpo senza vita dell’avvocato, un fascicolo di istruzioni per la segretaria ed un foglio sgualcito, nel quale, tra le sbavature dell’inchiostro rigato da quelle che con tutta probabilità erano state lacrime versate, restavano ancora leggibili le seguenti parole, scritte con mano tremante:

Rubare l’anima.


Dani Camardella fu ugualmente assunto nello Studio Legale Marchetti, ricostituito mercè l’intervento di un gruppo di amici del defunto che, seguendo le istruzioni che lui stesso aveva lasciato alla segretaria, in merito alla destinazione da dare allo studio per il periodo successivo alla sua morte, avevano rilevato tutto il possibile del volume di affari correnti, con l’utilizzo anche di un fondo precostituito, appositamente per il prosieguo. Superato il periodo di pratica e l’esame di Stato per la professione di avvocato, Dani fece la sua carriera professionale all’interno di esso, come aveva disposto che avvenisse l’avv. Marchetti nel suo fascicolo di istruzioni e divenne in breve uno dei titolari. Silvana invece partì per la Cina per completare la sua specializzazione in lingue orientali e non tornò più a Roma. Arianna, morta la madre, lasciò lo studio legale e si dedicò solo alla gestione della pensione familiare. La sig.ra Monica, vedova del’avv. Marchetti, una volta sistemate le pratiche per la successione, mise in vendita l’attico dei Parioli e si trasferì insieme alla figlia in un altro quartiere e di loro non si seppe più niente.

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