IL FARO

Racconto

"Siamo girovaghi e perciò, pensa pure quello che ti pare, per noi la vita è un'altra cosa. Siamo buffoni . Non possiamo prenderci sul serio; giriamo il mondo e non chiediamo di più."

Il clown era di fronte a me e mi guardava con i suoi grandi occhi truccati e due lacrime dipinte sulle guance.

Il Circo Bidon - Bologna 2018

"Perchè Il Faro?, gli ho chiesto."
"Il faro era un'idea di mia moglie, ma era lei stessa un faro, sapeva sempre cosa fare e dove andare, rispose, "una donna meravigliosa; ci guidava e noi seguivamo la sua scia. Era saggia e vedeva oltre le cose. Purtroppo l'ho persa ed ora giro solo con mio figlio e il ricordo della sua luce, come un faro, che guida la nostra navicella al porto, solo che noi ci spostiamo in continuazione e il porto è sempre diverso. Però la luce che seguiamo, c'è anche dove non c'è un porto."

Tacque meditabondo e poi, di nuovo:

"Ci sono molte anime smarrite, aggiunse come tra sé, che aspettano che qualcuno indichi loro la strada. Noi possiamo indicare le direzioni, ma il percorso lo debbono scegliere loro."
"Non sarete per caso come quelli di certe sette religiose? Siete dei fanatici?", azzardai circospetto.
"Tutt'altro, rispose paziente, la luce che noi portiamo è quella della ragione. Sta poi ad ognuno farne l'uso che ritiene più opportuno."

Ero sorpreso ed ammirato. Non mi sarei mai aspettato di trovarmi davanti a quello spettacolo e di parlare con quello strano individuo. Ero arrivato lì per caso, attratto, da una musichetta, di quelle che si sentono al circo, suonate da musicisti improvvisati che con i loro strumenti si danno addosso l'un l'altro. Sono spuntati all'improvviso. Un uomo e un bambino Camminavano al ritmo della loro musica. L'uomo suonava una tromba interrompendosi spesso, per fare una capriola, il bambino portava un tamburo più grande di lui sul quale picchiava colpi a non finire, avevano le facce dipinte in modo grottesco e portavano collari di carta a soffietto su abiti larghi a palline, come quelli dei Pierrot. Si sono fermati a fianco di un furgone parcheggiato lì vicino. Né piccolo, né tanto grande, pressappoco delle dimensioni di uno di quei carrozzoni che usano i porchettari per vendere la porchetta. Era tutto illuminato e sembrava animato come una giostra: c'erano nastri scorrevoli con su delle scritte, che si componevano casualmente, sempre diverse e bambini che giocavano. Sembrava un carnevale. La prima impressione era stata di straniamento. Mi girava la testa e tutto ruotava intorno, come per incanto. La musica era una fantasia stramba di motivi noti tratti dai film di Felllini, che evocavano la cruda immagine di Zampanò e il volto lunare di Gelsomina, il carosello impazzito di Otto e mezzo e la fisarmonica del cieco di Amarcord e, perfino, il ballo di Casanova con la bambola meccanica e il valzer di Paolo Villaggio con la regina dei mendicanti. E il sonno ipnotico della Quartina Fatale.

Sul tetto inalberava quel cartello con la scritta "IL FARO", che aveva mosso la mia curiosità, ed aveva sui lati delle vetrine, con sopra pannelli colorati, per garantire un riparo sia dal sole che dalla pioggia agli eventuali visitatori. Sul retro, il portellone era spalancato e, attraverso una scaletta, invitava a salire. La merce esposta erano libri. Tutto il furgone era una esposizione di libri, libri nelle vetrine laterali, libri sul cofano, libri ai lati della scaletta e sicuramente libri all'interno, come si intravedeva dalla soglia. Perfino sul tetto erano posti grossi volumi, che avrebbero richiesto un bel po' di fatica per la consultazione. Libri nuovi e libri usati, libri rari, antichi, prime edizioni introvabili, ed opere dimenticate, libri famosi accanto a libri mai pubblicati di autori sconosciuti; libri vecchi e libri ancora odorosi di stampa. Libri, di ogni genere: collane di saggi delle più diverse materie, molte delle quali mai sentite nominare, non incluse in normali corsi di studio, romanzi, di autori dai nomi improbabili, raccolte di poesia, libri d'arte, di viaggi, invenzioni strampalate, armi, orologi, aggeggi di cui non si comprendeva l'utilità, libri di preghiere e pie devozioni insieme a libri di negromanti, alchimisti, stregoni, libri esoterici, scienze occulte, e libri che parlavano di paradiso..

Con passo incerto salii la scaletta e mi affacciai all'interno. Il locale era illuminato di luce calda e vaporosa. Era molto più vasto di quanto non sembrasse dal di fuori. Era diviso a metà da un alto scaffale centrale, con un'infinità di libri disposti in bell'ordine da un lato e dall'altro, e tanti libri intorno alle pareti. Mi addentrai lungo il corridoio e cominciai a guardare, non sapendo da dove cominciare: molti sentieri si aprivano davanti a me, ogni libro mi portava ad un altro libro, non sapevo più come orientarmi. Alcuni erano scritti in una lingua sconosciuta e purtuttavia, almeno in parte, comprensibile, altri erano come sigillati, difficili da aprire e, una volta aperti, di signifcato oscuro. impossibile da decifrare. Ebbi l'impressione che La Torre di Babele, il Labirinto dell'Iisola di Creta o la Biblioteca di Alessandria, non avrebbero potuto offrire agli incauti visitatori dell'epoca, difficoltà maggiori di quelle che si presentavano adesso a me, di fronte a quel groviglio inestricabile di nozioni contenute in quella piccola cellula-container in cui ero finito. Quando smisi di scorrere con occhi affaticati quel mare di parole che mi avevano portato molto lontano, era notte inoltrata. Le luci esterne erano spente, l'uomo e il ragazzo erano seduti fuori su due sedie ed aspettavano. I loro abiti, adesso erano normali ed i volti senza trucco. Tromba e tamburo tacevano a terra. Intorno non si vedeva più nessuno.

"Tornerò domani....", accennai confuso scendendo.
"Domani non ci troverai. Questa notte partiamo e chissà dove ci fermeremo, ma, se lo desideri potrai metterti in contatto con noi via radio. Abbiamo un baracchino che ci consente di essere in comunicazione con tutto il mondo e, se anche tu ami viaggiare sulle lunghezze d'onda, non ti sarà difficile trovarci, in qualsiasi momento e dovunque."

Mi allontanai perplesso; dopo circa cento metri, mi girai per guardarli un'ultima volta, ma non erano più lì. Ogni luce era spenta e il furgone era scomparso, inghiottito dalla nebbia di quella notte stralunata.

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