JACOB, PESCATORE ARZILLO MA UN PO' BRILLO - 1 WHERE

JACOB, PESCATORE ARZILLO MA UN PO' BRILLO

1 - WHERE

Esiste un luogo, non ricordo bene se tra le Isole Sottovento o quelle Sopravento, nella corrente del Golfo, in cui si trova un tratto di mare che ha l’aspetto di una laguna e resta nascosto agli occhi dei naviganti, circondato come è da un gruppo di isole che formano una barriera , una protezione naturale contro le tempeste di mare, molto frequenti da quelle parti. Sulla prima di queste isole, a destra, guardando da terra, c'è un faro che di notte segnala la presenza del pericolo ed indica ai naviganti, l’imboccatura di un canale, che sfocia nella laguna interna, mentre l’ultima sulla sinistra, la più grande, si protende verso il largo, riaprendo la via verso il mare aperto.

Pescatore all'alba, Totoreto 2013

Sulla terraferma viveva un vecchio pescatore con la sua barca chiamata Soledad, 'Solitaria', un nome di donna, il ricordo di un antico amore dell’uomo, ai suoi tempi migliori. Che fossero finiti, non volevano ammetterlo; conservavano entrambi la loro grinta, lui dotato di uno spirito vispo ed arzillo specie quando era un po' brillo, sì perché amava attaccarsi di tanto in tanto alla bottiglia, la barca perché conosceva i segreti del mare come nessun'altra e non avevano, né lui né la barca, alcuna volontà di arrendersi al tempo che fa invecchiare. Jacob, questo il nome del nostro pescatore, viveva in una casupola costruita a ridosso del mare, su una sporgenza rocciosa dalla quale si scendeva facilmente nella sottostante spiaggetta sabbiosa. Un giorno mentre con la sua barca era uscito (a pescare? No, forse stava soltanto facendo un giro per i fatti suoi; spesso si allontanava da casa per molto tempo, senza alcun apparente motivo, trovando da sopravvivere là dove arrivava), ad un tratto avvistò qualcosa che galleggiava sulla superficie dell'acqua a non molta distanza da lui. Bordeggiò per avvicinarsi alla cosa e vide che si trattava di una bottiglia, di forma un po' diversa da quelle che era abituato a vedere, con una pancia larga dentro cui si vedeva brillare qualcosa, che con il movimento delle onde, oscillava. Incuriosito prese il mezzo marinaio che aveva con sé e armeggiò per avvicinare la bottiglia al bordo della barca, quindi, sporgendosi un poco, riuscì, allungando una mano, a prenderla per il collo che fuorusciva dall'acqua.

"Vuoi vedere che si tratta di un messaggio di aiuto lanciato in mare da un naufrago nella speranza peregrina che venisse ritrovato da qualcuno?", pensò.

Con un po' di emozione, il vecchio tirò fuori dall'acqua la bottiglia e la alzò in controluce, per studiarne il contenuto. Sì, era proprio un foglio di carta quello che si vedeva dentro la bottiglia e sembrava che vi fosse scritto qualcosa. Con mani tremanti prese un mazzuolo che aveva nella coffa dove normalmente metteva il pesce pescato e, appoggiando la bottiglia al bordo della barca, vi menò su un colpo per rompere il vetro. Anche senza occhiali, lesse agevolmente quello che c'era scritto: a caratteri cubitali una sola parola "HELP!"

Egli non parlava altre lingue oltre il suo dialetto, ma per aver girato il mondo con la barca, sapeva che help in inglese significa "aiuto". Con il foglio ancora in mano, si guardò intorno in cerca di non sapeva nemmeno lui cosa. Magari un segno, qualche altro elemento che aiutasse ad arrivare all’autore o autrice della richiesta di soccorso. Niente, dal mare nessuna risposta: tutto era calmo e placido e diciamolo pure indifferente. L'unica cosa che si agitava in quel momento era il suo cuore. Ma come? C'era una persona, un essere umano in pericolo di vita, un disperato che non poteva essere molto lontano e lui cosa poteva fare? Quanta distanza poteva aver percorso quella richiesta di aiuto dal punto in cui era stata gettata in mare? Esaminò ancora il foglio alla ricerca di qualche indizio; da quanto tempo poteva essere stata scritta? Forse si poteva capire dallo stato di conservazione della scrittura: se questo era buono significava che la bottiglia era stata affidata alle onde da poco tempo e le speranze di trovare il naufrago erano buone, se invece la scrittura fosse stata consunta e con qualche sbavatura, forse a quel punto il naufrago non avrebbe più avuto bisogno di alcun aiuto.

Egli però, in assenza degli occhiali, vedeva sfocato: i tratti sembravano abbastanza nitidi, ma ne vedeva più d'uno. E poi - rifletté - la bottiglia era ben tappata e lo scritto dentro avrebbe potuto mantenersi integro per molto tempo. Non sapeva che fare, ma ben presto si convinse che qualunque ricerca fatta a caso, senza ponderazione, sarebbe stata inutile e decise di fare rotta verso casa. Attraccò al porticciolo che si era costruito da sé negli anni della giovinezza, un semplice pontile di legno che entrava perpendicolarmente nel mare per una decina di metri, sporgendo tra le rocce e un tratto di sabbia, che aveva retto a più di un uragano senza danni alla barca ed entrò nella casa che era il suo guscio.

Jacob nella zona era conosciuto come un vero lupo di mare, sempre solo non si fermava mai e con la sua Soledad affrontava il mare con qualsiasi tempo. Il nome Soledad gli suscitava vari ricordi. Il simbolo forse di un amore vissuto in solitudine e la solitudine del suo cuore quando era in mezzo al mare, lontano dalle isole che conosceva, nel grande pelago universale. Posò il foglietto al centro del tavolo, bene aperto e andò in cerca degli occhiali. Tornò inforcandoli e cominciò ad esaminare il documento da ogni parte come fa il medico settore con un cadavere per l'autopsia. Al primo esame non rilevò nulla di particolare. Prese intanto la fiaschetta che di solito gli faceva compagnia e se la mise a fianco sul tavolo. Dopo il primo sorso si sentì già rinfrancato. Il mistero non poteva poi essere così irrisolvibile come aveva immaginato. Dopo qualche altro sorso gli venne un'idea brillante. Si sentì rassicurato. Preparò qualcosa da mangiare, e andò subito a dormire. Il giorno dopo avrebbe avuto molto da lavorare. Si alzò di buon'ora ed andò in cerca di un quaderno che sapeva di avere. In passato aveva avuto l'abitudine di appuntare le cose notevoli che gli erano capitare. Oppure suoi pensieri originali che non avrebbe comunicato mai a nessuno. Ma poi la vena si era persa ed il quaderno era stato abbandonato e chissà dove era. Lo trovò nel fondo di un cassetto, sotto un po' di cianfrusaglia. Lo prese, lo spolverò e quasi lo accarezzò. Ebbe qualche attimo di esitazione prima di aprirlo, troppi ricordi gli venivano in mente, ma alla fine si decise. Prese con il pollice verso la metà del blocchetto di fogli che formavano il quaderno, ed aprì; si trovò davanti l'ultima pagina scritta ed a fianco la prima bianca.

Un delfino. Un delfino un giorno lo aveva seguito per tutto il tragitto ed aveva giocato con lui per tutto il tempo, facendo salti fuori dall'acqua in continuazione, con il suo dorso lucido che emergeva e subito si inabissava ed ogni volta emetteva quel grido festoso caratteristico, pieno di allegria. Distolse gli occhi dalle ultime parole lette e guardò la metà del quaderno ancora da scrivere. Quando mai l'avrebbe fatto, ormai? Non era forse egli vecchio e stanco e la sua vita così vuota che non gli succedevano più cose notevoli da raccontare? Ma tosto ebbe un attimo di ribellione :come, e allora quello che gli stava avvenendo proprio allora? La bottiglia, per esempio, non era straordinario che fosse successa proprio a lui?. Sì questa sarebbe stata una cosa da scrivere. Non gli era mai capitata prima una vicenda così eccitante. Segno che la sua vecchiaia non era ancora definitiva. Sì era ancora capace di nuove avventure...

Ora però doveva pensare al da farsi, a tutto quanto era possibile fare perché il messaggio in bottiglia non rimanesse inascoltato. Decise di mettere in atto il pensiero che gli era venuto prima di addormentarsi. Strappò alcuni fogli dal quaderno, facendo sì che ne rimanessero abbastanza per eventualmente scrivere qualcosa quando la voglia gli fosse ritornata. Poi su ogni foglio scrisse, in formato stampatello, con mano un po' malferma e caratteri ben leggibili "Tell me where" che, sapeva, significava nella lingua più parlata sul mare (i libri più belli che parlavano di mare non erano stati scritti da un ceco in inglese?), "dimmi dove". Ne scrisse una decina. Trovare le bottiglie non fu difficile: ne aveva diverse e di vari formati, tutte con etichette scritte in lingue straniere. Per trovare altrettanti tappi l'impresa fu più ardua, ma alla fine riuscì ad infilare un foglietto arrotolato dentro il collo di ogni bottiglia ed a tappare il tutto adeguatamente. Poi corse alla barca e ve le caricò. Prese il vento di terra, da ponente e la barca si allontanò ben presto verso l'orizzonte. Nell'impazienza di giungere prima possibile dove voleva arrivare, ogni tanto perdeva il filo della corrente ed il fiocco sbatteva furiosamente contro la sartia; ma era un attimo che subito si ricomponeva e con la spinta forte della randa ben gonfia di vento, la barca volava sul mare. Giunto pressappoco nel posto (poteva essere sicuro? Nel mare ci possono essere posti?) dove la sera precedente aveva fatto la strana scoperta, allentò le vele e mise la barca alla deriva. Non era certo una grande trovata e lo sapeva. Buttare in mare dieci bottiglie, ma fossero state anche cento o mille era lo stesso, nella vana speranza che colui o colei, come faceva a dirlo? che il giorno prima si era trovato in difficoltà ne potesse intercettare una, leggere la richiesta e rimandare un messaggio con l'indicazione di dove si trovava, per mettere in condizione lui, Jacob buono ora solo a bere, di essere utile a qualcuno, era un'idea assurda e senza senso. Ciononostante, egli gettò in mare la prima ed aspettò che si stabilizzasse in acqua e quando fu certo che galleggiava bene ed era ben visibile, anche da lontano, cazzò di nuovo la vela e si allontanò a velocità ridotta. Ogni tanto, quando il luogo gli sembrava propizio, ne gettava un'altra. Ma propizio per quale ragione? il mare non era tutt'intorno e tutt'uguale? Il suo istinto lo guidava ed egli fiutava l'aria per rendersi conto della bontà di quanto stava facendo. Quando anche l'ultima bottiglia finì in acqua, a distanze tra di loro di un braccio di mare né tanto grande da interrompere una catena di speranze, che così aveva formato, né tanto piccolo da rendere inutile la presenza di più bottiglie nello stesso posto, Jacob si sentì soddisfatto e tirata fuori dalla coperta la fiaschetta che aveva portato per sé, si compensò con un buon sorso e si distese sul fondo della barca per riposare.

Quando si svegliò era notte. Il carro, con il timone un po' storto, era ben fermo nel cielo. Nel mare un'infinità di luccichii seguiva il movimento delle onde, appena avvertibile, erano il riflesso delle stelle. In assenza della luna, era buio e nient'altro... Conosceva la rotta per averla percorsa un'infinità di volte e non ebbe difficoltà a tornare a casa. Il giorno successivo lo passò a pensare a quello che gli era capitato. Non c'era nulla di ragionevole, né nel grido di allarme contenuto nel messaggio in bottiglia, né tanto meno in quello che aveva fatto lui. Ciò nonostante era convinto che qualcosa doveva ancora succedere ed era in ansia per l'attesa, per quanto infondata. Passarono giorni e giorni senza che nulla accadesse. Jacob ogni mattina riprendeva la barca e ripercorreva il percorso che aveva fatto per disperdere le sue bottiglie in mare. Non ne ritrovò nessuna; chissà dove erano andate a finire. Una mattina, un po' fuori del solito giro, un colpo di vento lo costrinse a riparare in una caletta che non conosceva, ben protetta dai venti e dalle onde, dove si trovò a galleggiare in una calma piatta, col mare assolutamente fermo. Dappertutto, lungo i bordi, strisce di posidonie, detriti di vario genere portali là da passate tempeste, ondeggiavano lievemente, disegnando la linea di separazione della terra dall'acqua come una grande bocca del mare. Fuori infuriava il vento. Decise di attendere ed ammainò le vele. Accostò alla riva e scese a terra, ancorando la barca ad un palo che era stato messo lì per quello scopo. Fece una sommaria esplorazione del posto per escludere che potessero esserci dei pericoli, poi si distese in un piccolo tratto di spiaggia sabbiosa.

Forse sonnecchiò, certo non si rese conto del tempo che passava. Ad un tratto, nell'acqua, vicino ai suoi piedi, vide che affiorava tra le alghe morte e piccoli pezzi di legno infracidato, qualcosa che luccicava: ma sì, era il collo di una bottiglia che lui ben conosceva per la forma schiacciata di una fiaschetta. Balzò in piedi e febbrilmente l'afferrò, estraendola dall'acqua ed alzandola a mezz'aria per vedere se conteneva qualcosa. Era una delle sue bottiglie e conteneva il foglietto che lui ci aveva infilato contenente la richiesta di un luogo. Il luogo dove si sarebbe dovuto trovare la persona bisognosa di aiuto. Il suo interesse diminuì. L'aver ritrovato, anche se in un posto diverso da quello dove lui l'aveva lasciata, una sua bottiglia, non era dopotutto un fatto di grande rilevanza. La gettò quindi tra le rocce a poca distanza da sé. La bottiglia si ruppe e il foglietto, ancora arrotolato, ruzzolò verso di lui che distrattamente l'afferrò e lo srotolò. Lesse all'interno quello che lui ci aveva scritto "Tell me where" ed il ricordo della sua ingenuità lo fece sorridere. Una richiesta assurda; una speranza pazza.  Rovesciò il foglietto prima di buttarlo via e notò che anche sul retro c'era una scritta. Diceva esattamente: "Nowhere". Tutto il suo entusiasmo si risvegliò. Qualcuno aveva risposto, dunque la sua idea non era stata del tutto balorda. Nowhere, nowhere. Nessun posto? Il richiedente aiuto non era (o era) in nessun posto? In un non posto? E che avrebbe potuto dire una cosa del genere? Forse qualcuno si stava prendendo gioco di lui? Il mistero si faceva sempre più fitto.

Certo a qual punto non avrebbe potuto mollare. Aveva bisogno di altre informazioni e di un buon goccio.

Le sorprese non finirono lì. Dopo qualche giorno Jacob, pescando, nella sua rete trovò ancora una delle sue bottiglie. L'aprì naturalmente tremando non per il Parkinson temuto come incipiente, ma per l'emozione che era ancora in grado di sentire e come sennò! Come il precedente, conteneva il foglietto scritto da lui e l'aggiunta sul verso di un'altra parola : "Everywhere", in ogni luogo. Il soggetto era in ogni luogo; e che era, Dio? Come si poteva essere così schiocchi da rispondere in ogni luogo? e di che utilità avrebbe potuto essere una simile informazione? Insomma tutte a lui! Quella sì che avrebbe potuto essere l'oggetto di un bel racconto che avrebbe voluto scrivere, una volta che la storia fosse finita e tutto si fosse chiarito. Ma il tempo scorreva veloce e Jacob perdeva la speranza. Aveva capito che qualcuno (la stessa persona o due persone diverse?) aveva raccolto alcune delle sue bottiglie e si divertiva a rispedire quei messaggi assolutamente incomprensibili. Senza la speranza a sua volta che esse venissero ritrovate dall'autore del primo messaggio. Il vecchio pescatore si sentiva stanco. Quella vicenda lo aveva sfinito e disperava di arrivarne a capo. Tutto sembrava essere successo per confondere la sue idee nel momento della sua vita in cui molte cose in cui aveva creduto, cominciavano a diventargli indifferenti. La vita, la morte, cose alle quali aveva sempre pensato, ma che non lo avevano in precedenza preoccupato, ora trovavano uno spazio dentro il suo animo. Non perché avesse paura, ma per il timore di non riuscire a comprendere il significato della sua esistenza. E la solitudine, la solitudine che non aveva mai temuto, che anzi lo gratificava, si era fatta pesante, opprimente. Stava sempre meno bene con se stesso. La sua vita si era svolta sul mare e nel mare voleva finire. Quando all'alba partiva, la vista della grande distesa d'acqua lo rinfocolava, ma il mare limpido, sereno, o corrucciato, non gli sembrava più quello di una volta. Sentiva comunque di appartenergli. Ancora una volta sarebbe andato e non sapeva se sarebbe tornato.

La terza bottiglia la trovò sotto il suo pontile, una sera al rientro da una giornata particolarmente pesante. La raccolse senza entusiasmo e la posò sul tavolo rientrando, dopo di che bevve fino ad addormentarsi. Diceva "Anywhere" che egli nel sonno tradusse 'in qualche posto e vattelappesca quale. Niente nessuna indicazione. Poteva soltanto congetturare. E congetturò a lungo, chiuso nella sua piccola abitazione, la fiaschetta sempre al suo fianco, fino a ridursi in un vecchio barbone; non usciva più di casa, non andava a pescare, aveva davanti a sé i tre foglietti, in ordine di ritrovamento: Nowhere, Everywhere, Anywhere. Era un gioco triste e crudele. Ma un giorno si riscosse. si ripulì ben bene, barba capelli, una bella maglietta pulita e pantaloni comodi ed armò di nuovo il suo vascello. Aveva in animo di fare il giro delle sette isole, scendere in ognuna di esse, parlare con la gente dei porti, frequentare vecchi amici, passare il tempo nella trattorie per sentire quello che si diceva: era sicuro che avrebbe appurato qualcosa pure su quell'accidente (come lo doveva chiamare?), che lo riguardava.  Fu il guardiano del faro ad incontrarlo prima ancora che approdasse alla sua isola. Era uscito su un guscio di barchetta per fare una breve perlustrazione del tratto di mare su cui si affacciava il suo faro e lo vide arrivare con la sua vela spiegata, una festa per un vecchio orso come lui che non vedeva mai nessuno. Condannato per vocazione a stare sempre solo, lui e il suo faro. Jacob si ricordò di averlo conosciuto un tempo, quando per entrambi ogni cosa sembrava illuminata da una luce miracolosa.

"Ehi! Giose", gli gridò non appena fu sicuro che era lui.
"Che mi venga un accidente! Tu sei Jacob quel miserabile della terra ferma", ed entrambi arrestarono la corsa delle loro imbarcazioni, come cavalli al morso, scivolando alla deriva e affiancandosi l'una all'altra.

Il realtà per Jacob che andava in cerca del tempo perduto, quello fu un vero tuffo nel passato. Egli voleva rivisitare, è vero, tutti i posti nei quali era stato da giovane, per risvegliare i ricordi e per ritrovare se stesso, lo Jacob che era stato e che pensava di aver perduto nel lungo tempo. Ma un pugno così forte allo stomaco come quello non se lo aspettava. Proprio mentre l'età avanzata stava per prendere il sopravvento sulle sue residue speranze e mentre eventi eccezionali come l'ultimo di cui non riusciva a trovare la soluzione, ancora lo stimolavano a non mollare ed a sentirsi vivo. Giose, il guardiano del faro non era una semplice conoscenza. In realtà era una specie di alter ego, un secondo Jacob che in passato aveva esercitato una forte influenza sulla vita, sulla condotta e sul modo di essere del nostro pescatore. A cominciare dalle donne. Entrambi era stati follemente innamorati della stessa donna e per essa si erano battuti, quando Marina, la donna dei loro sogni, così com'era arrivata, un bel giorno era semplicemente scomparsa.

I guardiani del faro a quel tempo erano due ed erano come fratelli. Vivevano entrambi all'interno della torre, nell'alloggio al piano terra dove c'era un'ampia stanza sempre ingombra di vari materiali ed attrezzi marini, corde, sartiame, vele ed una scaletta che portava a due stanze al secondo piano dove dormivano e da dove partiva il camminamento fatto di una ripida scala di ferro, a pioli che portava fino alla cima della torre, con l'accesso alla zona delle lampade rossa e verde per l'avvistamento. Marina era apparsa un giorno come una sirena. Sorrideva contenta del semplice fatto di esistere ed era sempre allegra. Disponibile e soccorrevole in ogni occasione, si donava con facilità con tutta se stessa, ma era imprendibile. Nessuno mai poté vantasi di averla posseduta veramente. Era una creatura fatta essenzialmente di amore che si dona ma non si compra. Che si conquista ma non si detiene. Era il simbolo delle libertà e della felicità. Fu Giose a vederla per primo, che era appena uscita dall'acqua e si era sdraiata sulla sabbia della riva, davanti al faro. Era arrivata a nuoto, da un'isola vicina, proprio come una sirena e risplendeva alla luce del sole come un essere soprannaturale.

Quella notte al faro successero cose da pazzi. Jacob e Giose felici di essersi ritrovati dopo tanto tempo, si abbandonarono ad un vero e proprio revival di ricordi. Tra realtà, realtà immaginata e pura fantasia, con l'aiuto di qualche bicchiere di bevande alcoliche varie, essi rifecero la storia di quanto era accaduto cinquanta e più anni addietro. Le notti passate a tenersi d'occhio vicendevolmente, per impedire che uno andasse nella cameretta che Marina si era ricavata in un angolo della stanza del primo piano, con vele rappezzate tra quelle abbandonate nel ripostiglio degli attrezzi abbandonati, come pareti. Un angolo al quale i due maschi non avevano accesso, ma che era al centro dei pensieri più infervorati di entrambi. Una notte più calda delle altre notti, Giose, diceva Jacob, aveva tentato di entrare di soppiatto tra le pieghe di quelle vele allucinanti e Jacob, secondo Giose, era già tra le braccia di Marina quando egli riuscì a fare capolino fra le tende.

Brillarono i coltelli quella notte, al chiaro di luna che illuminava la scena dalla finestra sempre aperta del faro. Ci furono inseguimenti, fin tra le fasce di luce del faro che mandò ai naviganti strani segnali. Odio e feriti. Sangue. All'alba Marina non c'era più. Jacob, dopo un periodo di alcune settimane passate in un villaggio di pescatori nella parte opposta dell'isola, per curarsi le ferite, alla fine tornò sulla terra ferma, senza rivedere Giose, che, dal suo canto, dovette affrontare un'inchiesta dell'autorità marittima per l'aggressione al suo amico ed il malfunzionamento del faro, alla fine ottenne di poter continuare a fare il guardiano del faro, ma come una forma di detenzione ai domiciliari, come diciamo noi oggi, perché non poteva allontanarsi senza avvertire, né ospitare persone nel locale della struttura di avvistamento. Quella notte ricordando tutto questo, i due uomini risero della loro dabbenaggine. Marina forse non era mai esistita; l'avevano inventata loro con le loro fantasie erotiche e quindi probabilmente si erano battuti per niente, solo perché la solitudine e l'alcool aveva acceso in loro una furia che l'età giovanile e l'estinto selvaggio avevano contribuito a rendere incontenibile.

Oppure, sì, era esistita e loro l'avevano effettivamente avuta con loro per quel breve periodo, ma essi non avevano capito che quella era una creatura diversa, venuta da un altro mondo che non era il loro ed era arrivata dal mare e scomparsa in mare. Chissà, forse in qualche angolo di mare, o sulla costa, o nel centro di quel complesso di isole che erano il mondo, il loro mondo, da qualche parte, Marina era ancora viva, giovane e bella come essi l'avevano conosciuta. Forse nuotava da un'isola all'altra ed alcuni pescatori l'avevano vista, all'alba, ai primi raggi del sole, ed avevano pensato ad un'apparizione. Le leggende del mare narrano di cose così, di uomini che vedono cose straordinarie e le storie di bocca in bocca si ingrandiscono ed acquisiscono tutte le caratteristiche della fantasia, della cosa fantastica.

Jacob aveva con sé i fogli che a lui erano pervenuti per movimentare la sua vecchiaia. Dal primo con la scritta "Help!", agli altri scritti da lui "Where?" con il risvolto sul quale era stato impresso un triplice messaggio "Nowhere" , "Everywhere", e "Anywhere", enigmatico e misterioso e li mostrò all'amico ritrovato che sembrò perplesso ed anche un poco reticente.

"Sei sicuro di non aver scritto tu anche il primo?", gli disse brutalmente, "a me questo sembra un artificio per tornare a parlare di Marina. Sei rimasto tutto questo tempo con il pensiero fisso di Marina ed ancora ora non riesci a liberartene! Fattene una ragione!"

Jacob sentì rinascere dentro di sé i sentimenti di odio per il suo troppo franco amico. Come si permetteva di parlare così? Egli era in cerca della verità che non poteva essere quella scagliatagli contro da Giose. Giose forse parlava così perché era geloso. Con altrettanta sincerità, allora gli disse:

"No, sei tu che dopo tutto questo tempo, sei ancora geloso di me, perché Marina aveva scelto me e non te. E' questo che non ti va ancora giù ed è per questo che prenderesti ancora il coltello."
"Sei pazzo", disse Giose, "guarda dentro di te. Il segreto è in te. Il mistero sei tu."

Non finì bene neanche quella volta e l'amicizia, appena ritrovata, si perse di nuovo dietro le nuvole delle loro ubbie. Senza neanche rispondergli, Jacob si alzò dal tavolo, raccolse le sue carte, le ripiegò accuratamente ed uscì senza una parola di saluto. Nel suo animo si agitavano grandi emozioni ed egli effettivamente non sapeva più chi era lui stesso.

Il faro era ormai lontano ed egli non voleva vederlo nemmeno nel ricordo. Puntò dritto sull'ultima isola, la più lontana, chè, per raggiungerla si doveva attraversare un lungo braccio di mare nell'arcipelago, e puntare al largo, in mare aperto, dove dalla parte dove spunta il sole, si vedeva la foschia verdeggiante di quell'ultima Thule. Jacob guardava davanti a s'è, assorto nei suoi pensieri, teneva come sempre fra le mani la barra del timone e sentiva gli schiocchi della vela che sbatteva ogni volta che il vento mutava appena direzione. La barca scivolava sull'acqua quasi senza rumore. Solo un piccolo sciabordio che le sue orecchie nemmeno percepivano, tanto erano abituate. La luce sfolgorante del sole rendeva un po' tutto irreale, gli elementi si confondevano e Jacob avvertiva come la sensazione di essere alle porte di una rivelazione. Ad un tratto vide Marina, ma non era Marina; era salita sulla sua barca e gli sorrideva. Sono qui per aiutarti, gli disse. Perché quello che ha bisogno di aiuto sei tu. Non hai scritto tu la lettera, quello è stato un incidente. Ma l'help! è per te. Sei tu che ti si sei perso e rischi di affondare. La visione scomparve e Jacob pensò di essersi addormentato al timone.

"Brutta cosa", si disse, "doveva stare più attento. Non sarebbe successo mai più."

Extrema era l'isola alla quale era diretto, l'ultima, la più grande, la quale nascondeva per lui molti punti oscuri che non conosceva. Sapeva che sull'isola viveva un uomo molto anziano, il più vecchio di tutta la comunità, il quale era anche molto famoso per la sua saggezza. Salomme era il suo nome, ma alcuni lo chiamavano Nestorre, mentre la maggior parte lo conosceva come Matù.

"E' dalla parte opposta dell'isola", gli dissero appena sbarcato, coloro ai quali aveva chiesto di lui - non sappiamo neppure se è ancora vivo, noi è da tempo che non lo vediamo più. Non è facile trovarlo. Vive in una grotta. Se vi riceve non offritegli denaro: potrebbe cacciarvi via in malo modo."

Bordeggiò lungo la costa fino a raggiungere l'estrema punta a sud dell'isola, studiando l'aspro paesaggio in cerca di un punto buono all'approdo. Lo trovò in una caletta dove i gabbiani riempivano l'aria di voli e di strida e scese a terra in una spiaggetta sabbiosa. Dovette chiedere a più d'una persona per sapere dove abitava il grande vecchio ed alla fine giunse davanti all'ingresso della sua grotta. L'aspetto del luogo era singolare: un pianoro ben pulito a picco sul mare, dove per arrivare bisognava seguire un sentiero scavato nella roccia che finiva davanti alla cavità dell'antro entro cui era stata ricavata una tana protetta da una chiusura rudimentale, un nido di aquila piuttosto che un'abitazione umana. Il vecchio era sulla soglia e sembrava aspettarlo.

"Ragazzo", gli disse, "quale angoscia ti porta da me?"

Non era facile indovinare l'età dello strano individuo che sembrava vecchio fino al punto di avere oltrepassato ogni limite della vita umana. Egli chiamava ragazzo chiunque si rivolgesse a lui, perché da più di cinquanta anni si era rifiutato di accettare che il tempo passasse e guardava ogni cosa con occhi fermi a cinquanta anni prima. Jacob gli parlò delle bottiglie.

"Maestro", gli chiese, "esiste persona più sfortunata di me? Ho trovato in mare una bottiglia contenente una richiesta di aiuto da parte di una persona sconosciuta, per conoscere la quale al fine di aiutarla, ho perso la pace."
"Vedi ragazzo", gli rispose il matù con voce cavernosa, "gli uomini tutti hanno dei desideri che hanno sempre a che fare con la conquista della felicità ed usano per realizzarli, i più strani stratagemmi. C'è chi non avendo altro modo, si affida alla casualità più improbabile, lancia un messaggio chiuso in una bottiglia che lascia cadere nel mare, nella speranza che qualcuno di buon cuore la raccolga e gli venga in aiuto. Ma la maggior parte di queste bottiglie finiscono qua", continuò, ed indicò al suo fianco un posto nel quale erano accatastate una grande quantità di bottiglie di tutte le forme e dimensioni: "qui giacciono i desideri di tutti gli uomini. Molti sono morti, altri hanno rinunciato, molti si sono dimenticati. Io sto qui e ogni tanto rimetto in acqua quelle che mi sembrano ancora buone. Gli dò un'altra possibilità, anche a quelle che non contengono l'indicazione del mittente e del posto dove si trova il malcapitato. Sono le più disperate e per questo meritano compassione. Tu avevi un desiderio troppo grande e la tua donna se n'è andata; sei rimasto solo col tuo desiderio insoddisfatto, ma lei che ti amava veramente non ti aveva mai lasciato, solo tu non riuscivi a vederla, fino a quando è diventata un'idea. Tu hai creduto che fosse un'idea. La bottiglia che hai trovato ti offriva aiuto per farti superare la crisi e non era una richiesta d'aiuto come tu hai pensato, solo che si è perduta perché tu non avevi occhi per vederla e l'hai trovata solo ora che è tardi per fare qualcosa. E' una bottiglia riemersa dal passato ed il testo del messaggio era help? e non help!, cioè Vuoi aiuto?, non, semplicemente aiuto!.  Una bottiglia che ha attraversato il vuoto di cinquanta anni nella mente atemporale del vecchio.

"Peccato, non ti resta che arrenderti, Marina non c'è più.ma allora chi ha scritto le risposte?"
"Ma lei, Marina, quando c'era. Ad ogni tua richiesta ha risposto in tutti i modi possibili sono qui, in un luogo vicino a te, sono dappertutto, sono in nessun luogo che è l'ultima."

Jacob si sentiva completamente sbalestrato. Avvertiva una nausea profonda che non aveva mai avuto neanche dopo le sbronze senza fine della sua vita miserevole.

Tornando indietro con la sua barca, guardò lassù a quel nido d'aquila e pensò che tutto era stato un incantesimo. Nessun Matusalemme poteva abitare lì, era una leggenda che non aveva la possibilità minima di essere vera. Le parole che aveva sentito pronunciare da lui, egli le conosceva da sempre. Nessun sortilegio, nessuna funamboleria. La vita è piena di sorprese e non c'è età in cui tutto non possa accadere. Passando sotto il faro ebbe l'idea di lanciare un messaggio per il vecchio Giose. Fratello coltello siamo vecchi e fra non molto andremo a batterci per Marina nel mondo delle ombre. E buttò giù un lungo sorso. Era brillo, sì come quando la mente sprizza scintille. Ora le idee si erano rischiarate e ora vedeva. Aveva buttato la sua vita, inseguendo una fata Morgana, l'idea della sua stessa solitudine, ed aveva dato il nome Soledad alla barca, per ricordarsi sempre di essa, del suo stato, la tristezza di una condizione insostenibile. Marina-Soledad, Marina la Solitaria, Marina la Scomparsa, Marina l'amore suo sperduto e mai più ritrovato. A casa, nell'incerta luce della prima alba, ritrovò il quaderno dei suoi appunti, lo aprì e rilesse l'ultima pagina da lui scritta, chissà quanto tempo prima. Parlava di un delfino che lo aveva seguito per un giorno intero e col quale aveva a lungo giocato. Bisognava ricucire il quaderno, dal quale erano stati strappati dei fogli. Le pagine bianche attendevano di essere riempite. Prese la penna e si accinse a scrivere. Sì dopo la visione del delfino il tempo si era come fermato. Bisognava ripartire da lì.

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