IL SEGNO DELLA CROCE
Li avevo visti arrivare e fin dal primo momento mi ero accorto che avevano qualcosa di diverso rispetto agli altri nuclei familiari che si erano avvicendati in quell’appartamento nel corso della stagione. Due uomini e due donne tutti nella fascia tra i 40 e i 45 anni e tre ragazzi, il più grande di circa 12 anni, il più piccolo non maggiore di 7. Unica concessione all'età critica dell'adolescenza, per il maggiore, una frivolezza di moda, il ciuffo dritto sulla fronte e i capelli della parte superiore della testa con una leggera coloritura di colore giallo.
Presero possesso della casa, aprendo le finestre e dilagando sul balcone con moderato entusiasmo. Dei due uomini, uno sembrava il capo della comitiva. Più alto di statura, si muoveva con una compostezza un po' controllata, quasi solenne. Il secondo era chiaramente un gregario: dimesso nell'aspetto, aiutava le donne a sistemare i bagagli sotto gli occhi del primo, che con lo sguardo sembrava controllare tutto. I bambini dovevano essere abituati ad una disciplina severa perché manifestavano la loro allegria in modo soft, alquanto sottotono e stavano attenti a non intralciare il passo agli adulti. Le donne erano entrambe di corporatura robusta, ma non troppo alta. La prima portava occhiali da vista e praticamente non aveva fianchi, ma con la sua forte complessione, assicurava un ottimo rendimento sul lavoro. L'altra, rotondetta, bellina, bruna leggermente più civettuola, collaborava con la prima molto fattivamente. Era evidente che fra le due correva un'intesa solida nella tenuta della casa e nella cura dei rispettivi mariti. Forse erano cognate che avevano sposato due fratelli. Una volta le ho viste abbracciarsi e scambiarsi affettuosità come si fa incontrandosi tra parenti. Quello che ho chiamato il capo del gruppo, magro, asciutto, capelli corti brizzolati, si è seduto dopo poco al lato di un tavolo che era sul balcone con le spalle al muro, in quello che poi sarebbe diventato il suo posto abituale per mangiare e per trattenersi. Ricordo che tutte le volte che l'ho visto, in quella posizione, aveva gli occhi fissi su un libro che teneva per mano e leggeva o meditava.
All'ora del pranzo, ho capito il motivo del mio interessamento per quelle persone sconosciute che avevo davanti e cosa le rendeva diverse dagli altri. Praticamente la loro casa era costantemente aperta davanti ai miei occhi ed io avrei dovuto fare giochi di prestigio per non vederli nello svolgimento delle loro attività. Quella mattina, quando una delle due donne è uscita dalla cucina recando davanti a sé una grande padella tenuta per il manico con tutt'e due le mani ed ha lanciato il richiamo "Tutti in tavola!", senza volerlo, ho assistito ad un rito che mi ha colpito in profondità. Erano seduti intorno al tavolo, i piatti già pieni di cibo ed ecco il capo farsi compostamente il segno della croce, subitamente imitato dagli altri commensali. Poi tutti si sono raccolti in una preghiera silenziosa, ma a me è parso sentire "Dio ti ringraziamo per il cibo che anche oggi ci offri", dopo di che sempre il capo ha dato il segnale del "rompete le righe" con un nuovo segno di croce collettivo e tutti hanno cominciato a mangiare.
Vi sembra questo un avvenimento di poco conto? Ho accennato un applauso verso di loro, ma subito mi sono vergognato: loro avrebbero potuto scambiare il mio plauso per una irrisione e la cosa mi sarebbe dispiaciuta immensamente. Quando ero bambino, a casa mia non si usava questo rito del ringraziamento, benché mia madre fosse molto religiosa e successivamente non ho mai visto nessuno officiarlo, per cui mi sono commosso. So che, per altri motivi, l'ammirazione che ora dimostravo per loro, avrebbe potuto tramutarsi in chiaro dissenso, pur tuttavia in quel momento guardai il gruppo con tenerezza.
L'imprevisto una sera, sul balcone all'ora di cena; tutto pronto per il rito del ringraziamento. Accade qualcosa che non vedo. Il capo si interrompe e con ciò sembra che arresti il tempo. Lentamente con la testa, fa il giro della tavola e si ferma con lo sguardo su uno dei ragazzi, inchiodandolo sul posto. Quindi si alza con calma inesorabile, afferra saldamente per un braccio il ragazzo, lo costringe ad alzarsi e mentre quasi lo trascina fuori dalla tavola riunita, espellendolo, con l'altra mano gli appioppa una sberla tra capo e collo, colpendolo sonoramente più verso il capo che verso il collo. Lo porta dentro casa redarguendolo lungo il percorso e chiudendolo infine in una camera (buia?). Tutto lascia pensare che per il malcapitato salti la cena. Non ho capito il motivo della punizione: non c'è stata agitazione in tavola e quindi non deve essersi trattato di un'azione, riprovevole o no, ma piuttosto di una qualche parola sbagliata.
E' capitato anche con i miei nipoti, più o meno della stessa età di questi ragazzi, che sia sorta una questione a tavola per una parolaccia sentita per strada e ripetuta senza (o con? Non è dato sapere) intenzione. E' facile pensare che si sia trattato di qualcosa del genere. Fortemente colpito per quella punizione, non so se giusta o sbagliata, comunque a mio avviso veramente eccessiva, il mio giudizio sulla imperturbabilità di questo gruppo stava per subire un totale rovesciamento, pronto io ad attribuire lo squilibrio della punizione rispetto alla eventuale colpa ad una severità di costumi assolutamente fuori del tempo, immagino a ragione del loro credo religioso, che di colpo mi è sembrato non illuminato, ma mostruoso.
Sono passati lunghi attimi durante i quali nessuno ha detto niente; lui, il capo, raccolto a testa alta, ed occhi chiusi, forse pregava o forse cercava una via di uscita da quella situazione. Si è alzato infine ed ha riattraversato il terrazzo verso la camera dove il ragazzo scontava la sua pena, ha aperto la porta, cercato il reprobo e presolo per mano lo ha riaccompagnato alla tavola ed alla mensa dalla quale era stato escluso, invitandolo a riprendere il suo posto, non senza averlo ammonito, indice alzato, ancora una volta.
Presero possesso della casa, aprendo le finestre e dilagando sul balcone con moderato entusiasmo. Dei due uomini, uno sembrava il capo della comitiva. Più alto di statura, si muoveva con una compostezza un po' controllata, quasi solenne. Il secondo era chiaramente un gregario: dimesso nell'aspetto, aiutava le donne a sistemare i bagagli sotto gli occhi del primo, che con lo sguardo sembrava controllare tutto. I bambini dovevano essere abituati ad una disciplina severa perché manifestavano la loro allegria in modo soft, alquanto sottotono e stavano attenti a non intralciare il passo agli adulti. Le donne erano entrambe di corporatura robusta, ma non troppo alta. La prima portava occhiali da vista e praticamente non aveva fianchi, ma con la sua forte complessione, assicurava un ottimo rendimento sul lavoro. L'altra, rotondetta, bellina, bruna leggermente più civettuola, collaborava con la prima molto fattivamente. Era evidente che fra le due correva un'intesa solida nella tenuta della casa e nella cura dei rispettivi mariti. Forse erano cognate che avevano sposato due fratelli. Una volta le ho viste abbracciarsi e scambiarsi affettuosità come si fa incontrandosi tra parenti. Quello che ho chiamato il capo del gruppo, magro, asciutto, capelli corti brizzolati, si è seduto dopo poco al lato di un tavolo che era sul balcone con le spalle al muro, in quello che poi sarebbe diventato il suo posto abituale per mangiare e per trattenersi. Ricordo che tutte le volte che l'ho visto, in quella posizione, aveva gli occhi fissi su un libro che teneva per mano e leggeva o meditava.
Accademia di belle Arti di Ravenna, Mosaico murale - 2013 |
All'ora del pranzo, ho capito il motivo del mio interessamento per quelle persone sconosciute che avevo davanti e cosa le rendeva diverse dagli altri. Praticamente la loro casa era costantemente aperta davanti ai miei occhi ed io avrei dovuto fare giochi di prestigio per non vederli nello svolgimento delle loro attività. Quella mattina, quando una delle due donne è uscita dalla cucina recando davanti a sé una grande padella tenuta per il manico con tutt'e due le mani ed ha lanciato il richiamo "Tutti in tavola!", senza volerlo, ho assistito ad un rito che mi ha colpito in profondità. Erano seduti intorno al tavolo, i piatti già pieni di cibo ed ecco il capo farsi compostamente il segno della croce, subitamente imitato dagli altri commensali. Poi tutti si sono raccolti in una preghiera silenziosa, ma a me è parso sentire "Dio ti ringraziamo per il cibo che anche oggi ci offri", dopo di che sempre il capo ha dato il segnale del "rompete le righe" con un nuovo segno di croce collettivo e tutti hanno cominciato a mangiare.
Vi sembra questo un avvenimento di poco conto? Ho accennato un applauso verso di loro, ma subito mi sono vergognato: loro avrebbero potuto scambiare il mio plauso per una irrisione e la cosa mi sarebbe dispiaciuta immensamente. Quando ero bambino, a casa mia non si usava questo rito del ringraziamento, benché mia madre fosse molto religiosa e successivamente non ho mai visto nessuno officiarlo, per cui mi sono commosso. So che, per altri motivi, l'ammirazione che ora dimostravo per loro, avrebbe potuto tramutarsi in chiaro dissenso, pur tuttavia in quel momento guardai il gruppo con tenerezza.
L'imprevisto una sera, sul balcone all'ora di cena; tutto pronto per il rito del ringraziamento. Accade qualcosa che non vedo. Il capo si interrompe e con ciò sembra che arresti il tempo. Lentamente con la testa, fa il giro della tavola e si ferma con lo sguardo su uno dei ragazzi, inchiodandolo sul posto. Quindi si alza con calma inesorabile, afferra saldamente per un braccio il ragazzo, lo costringe ad alzarsi e mentre quasi lo trascina fuori dalla tavola riunita, espellendolo, con l'altra mano gli appioppa una sberla tra capo e collo, colpendolo sonoramente più verso il capo che verso il collo. Lo porta dentro casa redarguendolo lungo il percorso e chiudendolo infine in una camera (buia?). Tutto lascia pensare che per il malcapitato salti la cena. Non ho capito il motivo della punizione: non c'è stata agitazione in tavola e quindi non deve essersi trattato di un'azione, riprovevole o no, ma piuttosto di una qualche parola sbagliata.
E' capitato anche con i miei nipoti, più o meno della stessa età di questi ragazzi, che sia sorta una questione a tavola per una parolaccia sentita per strada e ripetuta senza (o con? Non è dato sapere) intenzione. E' facile pensare che si sia trattato di qualcosa del genere. Fortemente colpito per quella punizione, non so se giusta o sbagliata, comunque a mio avviso veramente eccessiva, il mio giudizio sulla imperturbabilità di questo gruppo stava per subire un totale rovesciamento, pronto io ad attribuire lo squilibrio della punizione rispetto alla eventuale colpa ad una severità di costumi assolutamente fuori del tempo, immagino a ragione del loro credo religioso, che di colpo mi è sembrato non illuminato, ma mostruoso.
Sono passati lunghi attimi durante i quali nessuno ha detto niente; lui, il capo, raccolto a testa alta, ed occhi chiusi, forse pregava o forse cercava una via di uscita da quella situazione. Si è alzato infine ed ha riattraversato il terrazzo verso la camera dove il ragazzo scontava la sua pena, ha aperto la porta, cercato il reprobo e presolo per mano lo ha riaccompagnato alla tavola ed alla mensa dalla quale era stato escluso, invitandolo a riprendere il suo posto, non senza averlo ammonito, indice alzato, ancora una volta.
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