IL GUFO
Quel mattino d'estate Ubaldino uscì prima del solito, in pochi minuti raggiunse la spiaggia e il suo spirito si aprì al consueto spettacolo del mare, che lo affascinava sempre. Un'idea aveva che gli era maturata nella notte ed ora lo conduceva là dove non era mai andato, oltre i confini della sua naturale riservatezza.
Da alcuni giorni, ad un certo punto della passeggiata incontrava immancabilmente un uomo che procedeva in senso contrario, di buon passo, dall'aspetto buffo e simpatico: di statura piuttosto piccola, vispo, con un po' di pancetta, ammiccava e salutava amici e conoscenti con occhi grandi, acquosi, un naso eccezionale a becco ricurvo e guance pendenti che gli davano l'aspetto sputato di un pappagallo, per di più egli muoveva il collo ritmicamente, girando il capo da una parte e dall'altra, guardando prima con un occhio e poi con l'altro, proprio come fanno gli uccelli. Quella vista lo rallegrava ed egli non poteva fare a meno di seguirlo con gli occhi, cercando di intercettare la sua attenzione, così da potergli rivolgere la parola.
Dopo averlo osservato per alcuni giorni, Ubaldino, sempre più preso da quella strana rassomiglianza, aveva deciso di fare qualcosa per vedere se beccava anche. Cosa che fece senza indugio non appena lo vide venire avanti, vivace e buffo come ogni volta.
"Buon giorno", cominciò, parandoglisi davanti e costringendolo a fermarsi.
"Buon giorno a lei!", rispose l'uomo tra il sorpreso e l'imbarazzato, guardandolo guardingo, proprio come fa un pappagallo, con la testa di traverso.
"Permette che le dica una cosa?"
"Faccia pure, di che si tratta?"
"Sono giorni che la osservo, sempre allegro e sorridente e spesso ho avuto l'impulso di fermarla, ma sono stato trattenuto dal timore di importunarla, per dirle quello che, questa mattina ho deciso di confessarle: sono attratto dalla sua faccia e dal suo comportamento; lei ispira simpatia e buonumore solo a guardarla."
L'uomo, il capo ancora inclinato, osservava attentamente, ma in modo strano, il soggetto che aveva davanti: un uomo comune, dall'aspetto tranquillo, ma chi può dirlo? Non aveva ancora deciso se annoverarlo tra i pericolosi o i pazzi, ma dall'espressione si vedeva che si sentiva ringalluzzito dai complimenti che lo sconosciuto gli tributava. Un tipo strano, però, pensò tra di sé.
"M'bè, senta, non mi era mai capitato un fatto del genere. Confesso che sono sorpreso. Comunque la ringrazio."
"Non c’è nulla da ringraziare", disse il giovane, "l'idea mi è venuta spontanea e non ho resistito: le ripeto che lei è un soggetto unico in tutta la spiaggia. Detto questo si apprestava ad andar via."
"Qua la mano", disse invece l'interlocutore e lo trattenne, mentre i suoi occhi dicevano che stava pensando tutt'altro che lasciarlo andare. Aveva riflettuto in fretta e presa la sua decisione.
"Non pensa mica di lasciarmi, senza avermi spiegato quello che è accaduto, vero? Facciamo così, per oggi abbiamo camminato abbastanza; qui vicino c'è il bar dove ho fissato il mio recapito; Antonio, il barista è un mio amico ed è una brava persona. Ci sediamo comodamente ad un tavolinetto ed io le offro la colazione. Penso che avremo parecchio da dirci. Occasioni come questa non capitano tutti i giorni. Non vorrà dirmi qualcosa di lei?"
A quel punto, il sorpreso fu Ubaldino, che non si aspettava un esito del genere.
"No guardi, sono spiacente", azzardò dopo un attimo di sospensione, ma deciso a non accettare l’invito, "oggi proprio non posso, rimandiamo ad una prossima occasione, tanto adesso non sarà facile perderci di vista."
"Allora domani…facciamo domani…io l'aspetto, su questa spiaggia, non mi deluda.
- Ci sarò, non dubiti, alla stessa ora. Piacere arrivederci."
Seconda calorosa stretta di mano. Ubaldino riprese a camminare, ma aveva la sensazione di non essere più lui a guidare il gioco, ma di essere passato da cacciatore a preda. Dubitò tra sé e sé che l'indomani si sarebbe fatto vedere da quell'uomo nei confronti del quale si era lasciato andare a quella che adesso cominciava ad apparirgli una stupida bravata. L'uomo intanto si era voltato a guardarlo andar via e quando lo vide scomparire tra la gente, quasi di corsa attraversò il breve tratto di spiaggia che lo separava dal bar dello stabilimento ed entrò nel locale che aveva il nome di un altro uccello, si chiamava infatti "Canarino". Tutto sommato era pentito di aver dato retta a quell'impulso sciocco del mattino che lo aveva portato a simili conseguenze non previste. Per il momento decise di non dire niente a sua moglie. L'avrebbe di sicuro preso in giro.
Passò il mattino ed il pomeriggio come al solito, nuotò molto e cercò di togliersi dalla testa il fastidio che provava per essersi lasciato intrappolare in modo così banale, del cui eventuale seguito, non riusciva a vedere alcun lato positivo. La notte passò alla menopeggio.
"M'bè, dopotutto", pensava per farsi animo, "cosa era successo? Nulla di che preoccuparsi, si sarebbe preso un caffè con quell'uomo, detto qualche banalità e poi ciascuno sarebbe tornato al suo ruolo e basta buffonate". Certo se avesse avuto la faccia di un elefante, non gli avrebbe detto niente. Ma un pappagallo un innocuo pappagallino, chi avrebbe potuto immaginare?
Quando arrivò il mattino del giorno dopo, si alzò, si vestì e di malavoglia si avviò al luogo dell'appuntamento. Pensò che se l'uomo si fosse mostrato minimamente offeso dalla sua iniziativa, senza confessargli il suo intento burlesco, gli avrebbe chiesto scusa e la partita si sarebbe chiusa lì. Arrivato nelle vicinanze del tratto di spiaggia in cui si erano incontrati il giorno precedente, Ubaldino trovò il suo uomo che lo stava aspettando e, dopo averlo salutato e ringraziato per essere venuto, senza ulteriore indugio, lo prese per un braccio e lo guidò verso l'ingresso del bar. Nel locale, nonostante l'ora mattutina, c'erano diverse persone, oltre al barista, che faceva anche da cameriere.
"Ecco, Antonio", disse trionfante l'uomo dalle sembianze di pappagallo, rivolgendosi al barista dietro al bancone, guadando dal basso in alto, ma in modo che potessero sentire anche gli altri, "questo è il cortese signore che ieri mi ha fermato sulla spiaggia per dirmi che provava una grande simpatia per me."
Lo mostrava in giro come padrone di un circo fa presentando uno spettacolo sensazionale, di cui solitamente è protagonista qualche essere mostruoso, di cui si mettono in risalto i lati più caratteristici e abnormi e raccapriccianti, suscitando reazioni sdegnate tra gli ingenui spettatori.
"Stavo facendo la mia solita passeggiata sulla spiaggia, quando questo signore con la massima cortesia mi ha fermato e detto quelle cose che già sapete."
Il barista e anche gli altri avventori si congratularono, con espressioni di apprezzamento, per il gesto "coraggioso" e di ammirazione per l'uomo che aveva avuto l'ardire di compierlo, ma sia l'uno che gli altri non si peritavano di nascondere risolini ironici e ammiccamenti divertiti. Il povero Ubaldino, imbarazzato e depresso, non sapeva cosa fare davanti a quella che gli sembrava una farsa che si sarebbe potuta rivolvere facilmente in tragedia, caso mai qualcuno dei curiosi avesse fatto apertamente cenno alla possibilità che quel comportamento altro non fosse che una presa in giro da parte dell'ora inerme marpione nei confronti del tipetto semplice, oggetto allora di un finto omaggio da parte del primo ed ora di ironia da parte di tutti i presenti.
"Ci vogliamo accomodare, signori?", esordì il barista, togliendo il malcapitato dai carboni ardenti e mostrando la serie dei tavolinetti che aveva preparato per l’occasione. Al centro, naturalmente quello riservato ai due protagonisti della insolita storia. Tutti presero posto, chi più vicino, chi più lontano dal tavolo dei protagonisti ed Antonio cominciò il giro per raccogliere le ordinazioni, tutte a carico dell'uomo che sembrava aver toccato il cielo con un dito.
"In tutta la mia vita, mai mi era capitata una cosa come questa," andava ripetendo a chiunque gli capitasse vicino, "voglio festeggiarla come si deve con voi, miei cari amici, ai quali tutti auguro di aver pure loro la fortuna di incontrare un uomo come il qui presente."
Poi, rivolto a lui:
"Come ti chiami, amico?"
"Ubaldino - rispose l'interpellato."
"Ubaldino dunque sia il nostro eroe - concluse commosso."
"Io per la cronaca mi chiamo Gesualdo."
Le ordinazioni furono servite, l'atmosfera si stemperò in una pacata riunione conviviale, in cui tutti parlavano e nessuno ascoltava.
"Chi sei?", gli chiese una volta che il chiasso cominciò a scemare e i due si trovarono testa a testa, uno di fronte all'altro.
"Dimmi chi sei e perché mi hai apostrofato in quel modo, ieri, sulla spiaggia.
Ubaldino maledisse il momento in cui aveva deciso di farlo. Sentiva che l'ora della verità si avvicinava e per lui non sarebbe stato bello.
"Io non sono nessuno. Possiamo cominciare da te?", propose rispondendo, quando ormai si sentiva in trappola. Non di un pappagallo si trattava, pensò, ma di un grosso gatto che adesso avrebbe giocato con il suo topo.
"Ho un aspetto un po' buffo, vero?", disse come premessa, "Ebbene è stata la mia fortuna; per merito suo nella vita ho incontrato solo persone che mi hanno voluto bene. Mai nessuno ha pensato di prendermi in giro. Sono sicuro che anche tu non volevi."
Di fronte alla pacatezza dell'uomo, Ubaldino si sentì come un verme.
"Ascoltami Gesualdo", esordì, ormai deciso a tutto. "ero del tutto sincero quando ti ho detto che la tua persona ispirava simpatia e buonumore. Non pensavo minimamente di offenderti. Se credi che volessi sbeffeggiarti, ti sbagli. Sono comunque disposto a chiederti scusa, qui davanti a tutti. Vogliamo chiarire l'equivoco?"
"Per l’amor di Dio, amico mio non farti prendere dagli scrupoli e non rovinare tutto: soprattutto fa che nessuno ti senta. Non voglio le tue scuse: tu non mi hai offeso.
Ora era pensoso e guardava lontano.
"Ho pensato molto questa notte", continuò, "tu non sei cattivo. Sei solo troppo chiuso in te stesso ed ogni tanto ti capita di voler uscire e compiere un atto che ti dia la sensazione di essere vivo: c'è chi dà fuoco ai barboni, tu per fortuna non sei di quelli."
"Il mio aspetto non conta. Ci sono abituato. Molti dicono che sembro un pappagallo, ma non è così, non ho nulla del pappagallo. Sono invece un gufo, sai quell'uccello notturno che esce quando fa buio e nel buio vede tutto quello che non vediamo noi? Il gufo porta scarogna, dicono molti, che non sanno; non è vero, il gufo è un portafortuna ed è fortunato chi di notte ode il suo richiamo. Ho una sorella che al paese chiamano civetta, per lo stesso motivo, ma pochi sanno che la civetta è simbolo di Saggezza. La poveretta è malata di cancro ed io vado a trovarla tutte le sere. Le ho detto di te. Mi ha risposto che sei una benedizione. Noi siamo siciliani e sappiamo bene cos'è l'ironia e cosa il buonumore, La Corda Pazza di Sciascia, i Personaggi di Pirandello; siamo della terra dei Pupi; con la mia faccia da marionetta, un puparo mi ha scelto per rappresentare Re Artù e mia sorella ha fatto Isotta. Poi ci siamo trasferiti a nord molto tempo fa per necessità. Io abito a Cremona, mia sorella a Bellante, qui vicino, ha sposato un abruzzese. Mi ha fatto capire che tutto può avvenire da un incontro così casuale, ma anche così inconsueto."
Piuma, 2013 |
Da alcuni giorni, ad un certo punto della passeggiata incontrava immancabilmente un uomo che procedeva in senso contrario, di buon passo, dall'aspetto buffo e simpatico: di statura piuttosto piccola, vispo, con un po' di pancetta, ammiccava e salutava amici e conoscenti con occhi grandi, acquosi, un naso eccezionale a becco ricurvo e guance pendenti che gli davano l'aspetto sputato di un pappagallo, per di più egli muoveva il collo ritmicamente, girando il capo da una parte e dall'altra, guardando prima con un occhio e poi con l'altro, proprio come fanno gli uccelli. Quella vista lo rallegrava ed egli non poteva fare a meno di seguirlo con gli occhi, cercando di intercettare la sua attenzione, così da potergli rivolgere la parola.
Dopo averlo osservato per alcuni giorni, Ubaldino, sempre più preso da quella strana rassomiglianza, aveva deciso di fare qualcosa per vedere se beccava anche. Cosa che fece senza indugio non appena lo vide venire avanti, vivace e buffo come ogni volta.
"Buon giorno", cominciò, parandoglisi davanti e costringendolo a fermarsi.
"Buon giorno a lei!", rispose l'uomo tra il sorpreso e l'imbarazzato, guardandolo guardingo, proprio come fa un pappagallo, con la testa di traverso.
"Permette che le dica una cosa?"
"Faccia pure, di che si tratta?"
"Sono giorni che la osservo, sempre allegro e sorridente e spesso ho avuto l'impulso di fermarla, ma sono stato trattenuto dal timore di importunarla, per dirle quello che, questa mattina ho deciso di confessarle: sono attratto dalla sua faccia e dal suo comportamento; lei ispira simpatia e buonumore solo a guardarla."
L'uomo, il capo ancora inclinato, osservava attentamente, ma in modo strano, il soggetto che aveva davanti: un uomo comune, dall'aspetto tranquillo, ma chi può dirlo? Non aveva ancora deciso se annoverarlo tra i pericolosi o i pazzi, ma dall'espressione si vedeva che si sentiva ringalluzzito dai complimenti che lo sconosciuto gli tributava. Un tipo strano, però, pensò tra di sé.
"M'bè, senta, non mi era mai capitato un fatto del genere. Confesso che sono sorpreso. Comunque la ringrazio."
"Non c’è nulla da ringraziare", disse il giovane, "l'idea mi è venuta spontanea e non ho resistito: le ripeto che lei è un soggetto unico in tutta la spiaggia. Detto questo si apprestava ad andar via."
"Qua la mano", disse invece l'interlocutore e lo trattenne, mentre i suoi occhi dicevano che stava pensando tutt'altro che lasciarlo andare. Aveva riflettuto in fretta e presa la sua decisione.
"Non pensa mica di lasciarmi, senza avermi spiegato quello che è accaduto, vero? Facciamo così, per oggi abbiamo camminato abbastanza; qui vicino c'è il bar dove ho fissato il mio recapito; Antonio, il barista è un mio amico ed è una brava persona. Ci sediamo comodamente ad un tavolinetto ed io le offro la colazione. Penso che avremo parecchio da dirci. Occasioni come questa non capitano tutti i giorni. Non vorrà dirmi qualcosa di lei?"
A quel punto, il sorpreso fu Ubaldino, che non si aspettava un esito del genere.
"No guardi, sono spiacente", azzardò dopo un attimo di sospensione, ma deciso a non accettare l’invito, "oggi proprio non posso, rimandiamo ad una prossima occasione, tanto adesso non sarà facile perderci di vista."
"Allora domani…facciamo domani…io l'aspetto, su questa spiaggia, non mi deluda.
- Ci sarò, non dubiti, alla stessa ora. Piacere arrivederci."
Seconda calorosa stretta di mano. Ubaldino riprese a camminare, ma aveva la sensazione di non essere più lui a guidare il gioco, ma di essere passato da cacciatore a preda. Dubitò tra sé e sé che l'indomani si sarebbe fatto vedere da quell'uomo nei confronti del quale si era lasciato andare a quella che adesso cominciava ad apparirgli una stupida bravata. L'uomo intanto si era voltato a guardarlo andar via e quando lo vide scomparire tra la gente, quasi di corsa attraversò il breve tratto di spiaggia che lo separava dal bar dello stabilimento ed entrò nel locale che aveva il nome di un altro uccello, si chiamava infatti "Canarino". Tutto sommato era pentito di aver dato retta a quell'impulso sciocco del mattino che lo aveva portato a simili conseguenze non previste. Per il momento decise di non dire niente a sua moglie. L'avrebbe di sicuro preso in giro.
Passò il mattino ed il pomeriggio come al solito, nuotò molto e cercò di togliersi dalla testa il fastidio che provava per essersi lasciato intrappolare in modo così banale, del cui eventuale seguito, non riusciva a vedere alcun lato positivo. La notte passò alla menopeggio.
"M'bè, dopotutto", pensava per farsi animo, "cosa era successo? Nulla di che preoccuparsi, si sarebbe preso un caffè con quell'uomo, detto qualche banalità e poi ciascuno sarebbe tornato al suo ruolo e basta buffonate". Certo se avesse avuto la faccia di un elefante, non gli avrebbe detto niente. Ma un pappagallo un innocuo pappagallino, chi avrebbe potuto immaginare?
Quando arrivò il mattino del giorno dopo, si alzò, si vestì e di malavoglia si avviò al luogo dell'appuntamento. Pensò che se l'uomo si fosse mostrato minimamente offeso dalla sua iniziativa, senza confessargli il suo intento burlesco, gli avrebbe chiesto scusa e la partita si sarebbe chiusa lì. Arrivato nelle vicinanze del tratto di spiaggia in cui si erano incontrati il giorno precedente, Ubaldino trovò il suo uomo che lo stava aspettando e, dopo averlo salutato e ringraziato per essere venuto, senza ulteriore indugio, lo prese per un braccio e lo guidò verso l'ingresso del bar. Nel locale, nonostante l'ora mattutina, c'erano diverse persone, oltre al barista, che faceva anche da cameriere.
"Ecco, Antonio", disse trionfante l'uomo dalle sembianze di pappagallo, rivolgendosi al barista dietro al bancone, guadando dal basso in alto, ma in modo che potessero sentire anche gli altri, "questo è il cortese signore che ieri mi ha fermato sulla spiaggia per dirmi che provava una grande simpatia per me."
Lo mostrava in giro come padrone di un circo fa presentando uno spettacolo sensazionale, di cui solitamente è protagonista qualche essere mostruoso, di cui si mettono in risalto i lati più caratteristici e abnormi e raccapriccianti, suscitando reazioni sdegnate tra gli ingenui spettatori.
"Stavo facendo la mia solita passeggiata sulla spiaggia, quando questo signore con la massima cortesia mi ha fermato e detto quelle cose che già sapete."
Il barista e anche gli altri avventori si congratularono, con espressioni di apprezzamento, per il gesto "coraggioso" e di ammirazione per l'uomo che aveva avuto l'ardire di compierlo, ma sia l'uno che gli altri non si peritavano di nascondere risolini ironici e ammiccamenti divertiti. Il povero Ubaldino, imbarazzato e depresso, non sapeva cosa fare davanti a quella che gli sembrava una farsa che si sarebbe potuta rivolvere facilmente in tragedia, caso mai qualcuno dei curiosi avesse fatto apertamente cenno alla possibilità che quel comportamento altro non fosse che una presa in giro da parte dell'ora inerme marpione nei confronti del tipetto semplice, oggetto allora di un finto omaggio da parte del primo ed ora di ironia da parte di tutti i presenti.
"Ci vogliamo accomodare, signori?", esordì il barista, togliendo il malcapitato dai carboni ardenti e mostrando la serie dei tavolinetti che aveva preparato per l’occasione. Al centro, naturalmente quello riservato ai due protagonisti della insolita storia. Tutti presero posto, chi più vicino, chi più lontano dal tavolo dei protagonisti ed Antonio cominciò il giro per raccogliere le ordinazioni, tutte a carico dell'uomo che sembrava aver toccato il cielo con un dito.
"In tutta la mia vita, mai mi era capitata una cosa come questa," andava ripetendo a chiunque gli capitasse vicino, "voglio festeggiarla come si deve con voi, miei cari amici, ai quali tutti auguro di aver pure loro la fortuna di incontrare un uomo come il qui presente."
Poi, rivolto a lui:
"Come ti chiami, amico?"
"Ubaldino - rispose l'interpellato."
"Ubaldino dunque sia il nostro eroe - concluse commosso."
"Io per la cronaca mi chiamo Gesualdo."
Le ordinazioni furono servite, l'atmosfera si stemperò in una pacata riunione conviviale, in cui tutti parlavano e nessuno ascoltava.
"Chi sei?", gli chiese una volta che il chiasso cominciò a scemare e i due si trovarono testa a testa, uno di fronte all'altro.
"Dimmi chi sei e perché mi hai apostrofato in quel modo, ieri, sulla spiaggia.
Ubaldino maledisse il momento in cui aveva deciso di farlo. Sentiva che l'ora della verità si avvicinava e per lui non sarebbe stato bello.
"Io non sono nessuno. Possiamo cominciare da te?", propose rispondendo, quando ormai si sentiva in trappola. Non di un pappagallo si trattava, pensò, ma di un grosso gatto che adesso avrebbe giocato con il suo topo.
"Ho un aspetto un po' buffo, vero?", disse come premessa, "Ebbene è stata la mia fortuna; per merito suo nella vita ho incontrato solo persone che mi hanno voluto bene. Mai nessuno ha pensato di prendermi in giro. Sono sicuro che anche tu non volevi."
Di fronte alla pacatezza dell'uomo, Ubaldino si sentì come un verme.
"Ascoltami Gesualdo", esordì, ormai deciso a tutto. "ero del tutto sincero quando ti ho detto che la tua persona ispirava simpatia e buonumore. Non pensavo minimamente di offenderti. Se credi che volessi sbeffeggiarti, ti sbagli. Sono comunque disposto a chiederti scusa, qui davanti a tutti. Vogliamo chiarire l'equivoco?"
"Per l’amor di Dio, amico mio non farti prendere dagli scrupoli e non rovinare tutto: soprattutto fa che nessuno ti senta. Non voglio le tue scuse: tu non mi hai offeso.
Ora era pensoso e guardava lontano.
"Ho pensato molto questa notte", continuò, "tu non sei cattivo. Sei solo troppo chiuso in te stesso ed ogni tanto ti capita di voler uscire e compiere un atto che ti dia la sensazione di essere vivo: c'è chi dà fuoco ai barboni, tu per fortuna non sei di quelli."
"Il mio aspetto non conta. Ci sono abituato. Molti dicono che sembro un pappagallo, ma non è così, non ho nulla del pappagallo. Sono invece un gufo, sai quell'uccello notturno che esce quando fa buio e nel buio vede tutto quello che non vediamo noi? Il gufo porta scarogna, dicono molti, che non sanno; non è vero, il gufo è un portafortuna ed è fortunato chi di notte ode il suo richiamo. Ho una sorella che al paese chiamano civetta, per lo stesso motivo, ma pochi sanno che la civetta è simbolo di Saggezza. La poveretta è malata di cancro ed io vado a trovarla tutte le sere. Le ho detto di te. Mi ha risposto che sei una benedizione. Noi siamo siciliani e sappiamo bene cos'è l'ironia e cosa il buonumore, La Corda Pazza di Sciascia, i Personaggi di Pirandello; siamo della terra dei Pupi; con la mia faccia da marionetta, un puparo mi ha scelto per rappresentare Re Artù e mia sorella ha fatto Isotta. Poi ci siamo trasferiti a nord molto tempo fa per necessità. Io abito a Cremona, mia sorella a Bellante, qui vicino, ha sposato un abruzzese. Mi ha fatto capire che tutto può avvenire da un incontro così casuale, ma anche così inconsueto."
"A Cremona conosco un ristorante chiamato Stradivari - intervenne per sviare il discorso - lì ho ospitato il comitato d'onore di una mostra allestita da mia nuora sulle modificazioni subite nel tempo dal letto del Po, che ha ottenuto molto successo, circa due anni fa."
"Non è vero", rispose lui, reciso; i suoi occhi rotondi fissavano intensamente il tavolo e la tazzina vuota del caffè, "a Cremona non c’è nessun ristorante con quel nome. Stradivari è il nome di una motonave con ristorante galleggiante, ormeggiato nel porticciolo di Boretto, sulle rive del Po. E lì sei stato con tua nuora e con tuo figlio, vero? Non ricordi? Non fa niente, non è importante. Importante è che ci siamo trovati in questo strano modo."
Quando finalmente la riunione, finì, fra abbracci, saluti, inviti e promesse di rivedersi ancora, Ubaldino aveva la testa completamente frastornata. Sentiva di aver vissuto per un periodo di tempo che non sapeva quantificare, come in una bolla, ed aveva bisogno di respirare a pieni polmoni, per tornare a vivere normalmente. Si affacciò alla porta dello stabilimento, guardando verso il mare e poco alla volta rientrò in se stesso. Di colpo si girò a cercare con lo sguardo Gesualdo, ma non lo trovò. Il bar era deserto. L'anno successivo, tornato al mare, durante una passeggiata dalle parti del Canarino, vide Antonio che lavorava sulla spiaggia. Si avvicinò e lo salutò. Dopo alcuni convenevoli, chiese di Gesualdo, se sapeva qualcosa su di lui.
"E' morto, non lo sapeva?", rispose Antonio con occhi tristi. "Era molto malato ed è morto nel corso dell'inverno, a Bellante. Non è più tornato a Cremona. La sorella lo ha assistito amorevolmente fino alla fine. Non è vero che somigli ad una civetta, sa? Tutt'altro, è carina, ma molto anziana. Penso che sarà senz'altro felice di parlare con lei, se va a trovarla. Mi ha detto che Gesualdo negli ultimi tempi le aveva detto molte cose su di lei e che non si offenderebbe se trovasse il tempo, così, quando può, di fare una visita al cimitero di Bellante. Ci teneva tanto; diceva che così avrebbe capito. Se vuole le do il numero e l’indirizzo..."
Ubaldino prese il biglietto sul quale Antonio aveva annotato il numero di telefono e l'indirizzo della signora, ma non andò mai a parlare con lei, come pure non trovò il tempo per salire fino al cimitero di Bellante. Se lo avesse fatto, non avrebbe avuto difficoltà a trovare la tomba di Gesualdo, nel campo, sotto un cipresso spelacchiato; la lapide, una lastra di marmo grigia, senza insegne, né simboli, recava, dopo le generalità del morto, scolpite le seguenti parole:
“La notte è il giorno
Nulla è più vero
Del falso”
Il Gufo.
Quando finalmente la riunione, finì, fra abbracci, saluti, inviti e promesse di rivedersi ancora, Ubaldino aveva la testa completamente frastornata. Sentiva di aver vissuto per un periodo di tempo che non sapeva quantificare, come in una bolla, ed aveva bisogno di respirare a pieni polmoni, per tornare a vivere normalmente. Si affacciò alla porta dello stabilimento, guardando verso il mare e poco alla volta rientrò in se stesso. Di colpo si girò a cercare con lo sguardo Gesualdo, ma non lo trovò. Il bar era deserto. L'anno successivo, tornato al mare, durante una passeggiata dalle parti del Canarino, vide Antonio che lavorava sulla spiaggia. Si avvicinò e lo salutò. Dopo alcuni convenevoli, chiese di Gesualdo, se sapeva qualcosa su di lui.
"E' morto, non lo sapeva?", rispose Antonio con occhi tristi. "Era molto malato ed è morto nel corso dell'inverno, a Bellante. Non è più tornato a Cremona. La sorella lo ha assistito amorevolmente fino alla fine. Non è vero che somigli ad una civetta, sa? Tutt'altro, è carina, ma molto anziana. Penso che sarà senz'altro felice di parlare con lei, se va a trovarla. Mi ha detto che Gesualdo negli ultimi tempi le aveva detto molte cose su di lei e che non si offenderebbe se trovasse il tempo, così, quando può, di fare una visita al cimitero di Bellante. Ci teneva tanto; diceva che così avrebbe capito. Se vuole le do il numero e l’indirizzo..."
Ubaldino prese il biglietto sul quale Antonio aveva annotato il numero di telefono e l'indirizzo della signora, ma non andò mai a parlare con lei, come pure non trovò il tempo per salire fino al cimitero di Bellante. Se lo avesse fatto, non avrebbe avuto difficoltà a trovare la tomba di Gesualdo, nel campo, sotto un cipresso spelacchiato; la lapide, una lastra di marmo grigia, senza insegne, né simboli, recava, dopo le generalità del morto, scolpite le seguenti parole:
“La notte è il giorno
Nulla è più vero
Del falso”
Il Gufo.
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