ORIGLIANDO

"Basta! Non ce la faccio più, me ne vado!"
"E dove vorresti andare mia piccola cara?" - la voce dell'uomo non era né arrabbiata, né canzonatoria, solo sconsolata.
"Non lo so, ma io qui non resisto" fu la risposta detta a voce più bassa, ma non tanto da non essere intesa chiaramente da me che ero dall'altra parte della parete.

E mettici pure che il mio udito non era dei migliori. Anzi decisamente scadente. Da quando erano arrivati su una scassata utilitaria che avevano parcheggiato a fianco della mia auto ed erano venuti ad abitare nell'appartamento adiacente al mio, quei due non avevano fatto altro che battibeccare, dalla mattina alla sera e sempre in camera da letto che era esattamente alle mie spalle.

Origliare, con Stefano Aielli - 2018

A non volerli sentire, avrei dovuto mettere dei tappi alle orecchie, tanto parlavano forte. Al mattino mi toccava svegliarmi agli sciaguattii delle loro effusioni ed era un bene che cominciassero sul prestino, perché così mi costringevano ad alzarmi di buonora, con la scusa di andarmi a preparare un caffè, pur di non sentire i loro orgasmi. Il resto della mattinata il più delle volte passava tranquilla. Loro avevano l'abitudine di uscire, non prestissimo, non in orario di inizio lavoro, per intenderci, ma con un certo comodo, sempre insieme e tornavano nel pomeriggio avanzato, portando con loro qualche pacchetto, una bottiglia, il necessario per la cena, immaginavo.

Li avevo incontrati un paio di volte sul pianerottolo o per le scale, loro a scendere, io a salire o viceversa e ci eravamo rivolti un saluto appena accennato, a mezza bocca, lui con lo sguardo rivolto altrove, lei curiosa che allungava il collo per guardare, civettuola. Non mi erano sembrati nulla di speciale, una coppia giovane, l'uomo poco più di un ragazzo, alto e magro, bruno di pelle, lei simpatica e bionda, leggermente più bassa, un po' sbarazzina. Erano sicuramente non sposati e non nuotavano nell'oro. Dovevano avere un gruzzoletto che però non li avrebbe portati lontano. D'altro canto la pensioncina che avevano scelto per dimora e nella quale ero finito anch'io, più o meno nelle stesse condizioni economiche che immaginavo fossero le loro, parlava per loro e per me. Io l'avevo scelta per il mio lavoro che richiedeva concentrazione ed in quel periodo, lì la tranquillità era assicurata.

Lunghe passeggiate al mare, senza incontrare quasi mai nessuno. Nel pomeriggio si concentravano la maggior parte degli ascolti indesiderati, in quanto io mi stendevo sul letto a leggere e loro erano ad una distanza dalla mia testa, di circa mezzo metro, cosa per cui anche i bisbigli arrivavano alle mie orecchie involontariamente indiscrete. Ma se parlavano da punti più distanti della casa, da una all'altra camera o dal corridoio, le voci mi arrivavano ugualmente, anche se smorzate ed a tratti incomprensibili. Dopo cena, andavano fuori e tornavano ad orari disparati, a volte quasi subito ed era per me uno strazio, a volte dopo un paio d'ore, giusto il tempo di un film, più spesso molto tardi, tanto che, benché io facessi le ore piccole cercando di lavorare, spesso non mi accorgevo di quando giravano la chiave nella toppa della porta d'ingresso, che pure faceva abbastanza rumore , con le sue due mandate, sul pianerottolo deserto. Per scopare, scopavano ed erano abbastanza calorosi, con orgasmi brevi ma intensi. Lui grugniva e lei guaiva, ma tutto sommato debbo dire che erano contenuti se non discreti, quasi avessero la sensazione che qualcuno li potesse sentire.

Debbo dire a questo punto che il mio lavoro consiste nell'inventare storie e che proprio in quel periodo, la mia riserva di idee era piuttosto a secco, per cui avevo accolto la novità della loro comparsa come un elemento stimolante, forse addirittura mi auguravo che tra di loro succedesse qualcosa di insolito, che mi desse la possibilità di imbastire un bel racconto, prendendo spunto dalle loro vicende. Qualcosa di fantasioso, nel filone ormai sfruttato ma sempre valido del realismo "magico" o giù di lì. Per cui, pur maledicendomi, talvolta mi sorprendevo ad ascoltare quello che dicevano nelle varie ore della giornata e non mi sembrava di stare origliando, in quanto, in fin dei conti, il mio era un interesse professionale, per così dire.

Ben presto mi resi conto che da loro, almeno per quello che era il loro tran-tran quotidiano, non avrei cavato nulla di interessante, per cui avevo deciso di andare a dormire da un'altra parte, per esempio sul divano dello studio, dove tra l'altro avrei trovato il conforto delle mie carte, in compagnia dei miei libri preferiti che portavo sempre con me. Era un pomeriggio un po' più tardi del solito, me ne stavo abbandonato sul mio letto, con un libro in mano, quando con fastidio sentii che rientravano. Feci per alzarmi e trasferirmi nell'altra camera, quando ad un tratto dei passi affrettati e la voce di lei che proveniva da un punto non vicino della stanza, o forse dal corridoio, alta ed allarmata, mi trattenne.

"Mettila giù, mettila giù...sei forse impazzito?" a cui seguì un silenzio.
"Hai paura?" disse l'uomo, dopo un poco, con tono alterato.
"Mettila giù e basta". Questi scherzi non mi piacciono.

Di nuovo silenzio, poi una porta che veniva sbattuta. Il cigolare di un cassetto che si apriva e poi si chiudeva molto lentamente, vicino alla mia testa. Pensai ad un comodino accanto al letto. L'uomo doveva aver messo giù l'oggetto che la ragazza aveva chiesto di abbassare.

Quando uscì dal bagno (avevo immaginato che lei fosse andata al bagno sbattendo la porta), la "vidi" che si guardava intorno e chiedeva:

"Dove l'hai messa?"
"Non ti preoccupare, è al sicuro."
"Voglio sapere dov'è!"
"Mi dispiace devi accontentarti della mia parola."

Nel silenzio che seguì, il mio cervello cominciò ad esaminare le diverse ipotesi. L'uomo aveva con sé una pistola e, rientrando a casa, l'aveva estratta, forse per metterla via o forse per fare il gradasso e prendersi gioco di lei vedendo la paura dipingersi sul suo volto. Non mi veniva in mente niente che potesse motivare un simile comportamento, ma pensai che se un motivo c'era, doveva essere ben serio.

"Se non mi dici dov'è, vado in un'altra stanza e mi chiudo a chiave" disse infine la donna, confermandomi nei miei sospetti.

Ci fu un tafferuglio, rumori di lotta, soffi, sbuffi e strisciate a terra di piedi calzati, poi di scarpe che cadevano a terra, un cigolio di molle sottoposte ad un peso eccessivo e vari rumori indistinti, tra i quali a tratti, respiri affannosi.

"Ecco, il bruto la sta violentando" dissi tra me ed ebbi l'impulso si alzarmi e correre a suonare alla loro porta.

Per fortuna mi astenni dal farlo, perché poco dopo, il tutto si placò in un sospiro prolungato di lei. Poi silenzio non si sentiva volare una mosca. Nel mio cervello, però ronzavano varie ipotesi che avrebbero richiesto una spiegazione. Il resto del pomeriggio passò tranquillo. Più tardi, acciottolio di stoviglie e mugolii di parole a bocca piena e poi il solito "clank-clank" della serratura che dava il segnale dell'uscita serale.

Sotto l'influsso di quanto era appena successo, mi sedetti allo scrittoio e mi immersi nel mio lavoro. Gli spunti non mi mancavano. Dovevo assolutamente imbastire una storia, con quanto stavo vivendo. Decisi che avrei seguito il flusso degli avvenimenti, con qualche invenzione fantastica. Per il momento avevo due giovani sconosciuti che vanno ad abitare in una locanda di un luogo di mare fuori stagione e un uomo che senza volere ascolta i discorsi che i due fanno a letto, i quali poco alla volta rivelano particolari che incuriosiscono l'uomo che ascolta, fino a fare di lui un "guardone" che segue le mosse dei due al di là della sola parete di separazione con sempre maggiore e morboso interesse. Comincio ad immaginare i miei due giovani protagonisti, diciamo una Elda ed un Mario, ai quali vorrei dare una vita indipendentemente da quello che sono veramente. Li faccio dunque venire dal sud, mettiamo la Sicilia; avevano intenzione di sposarsi ma i parenti dell'una e dell'altro non erano d'accordo. Allora essi hanno messo su il teatrino della "fuitina", per costringere parenti ed amici a trovarsi di fronte al fatto compiuto. Una volta fuggiti insieme, il matrimonio "s'ha da fare".

Arrivano in in paesino di mare del medio versante adriatico, alloggiano in una pensioncina modesta ed appartata e qui cominciano i primi dissapori dovuti a difficoltà economiche. Ben presto sarebbero dovuti tornare al paese con la coda tra le gambe. Il ragazzo, però non è di questo avviso; la sorte gli ha fatto incontrare in quel posto sperduto e in un periodo in cui il luogo è quasi deserto, lo strano tipo della porta accanto, di nome Maurizio ed egli intende sfruttare l'occasione per ricavarne un utile. Fa quindi in modo di fare amicizia con lui, il quale inaspettatamente prende a cuore il caso dei due derelitti e si dichiara disposto ad aiutarli. Sembra un tipo a posto, ma è un maiale. Passa il tempo a spiare le loro mosse e ad ascoltare quello che avviene nel loro appartamento, specie in camera da letto. Nelle poche occasioni che ha avuto di incontrarlo ha notato gli sguardi lascivi che ha lanciato verso Elda. Sembra proprio il tipo adatto. Anziano e sporcaccione. Gli avrebbe tirato un bel colpaccio.

Ha l'idea di invitarlo una sera a casa loro per farlo assistere ad uno spettacolo porno dal vivo. E' convinto che il vecchio sarebbe stato disposto a sborsare una bella cifra per vederli scopare. L'uomo ha un interesse relativo per la vicenda ma accetta ugualmente, per vedere fino a che punto i due giovani sono disposti ad arrivare nella loro spregiudicatezza. La serata si rivela di uno squallore indicibile e l'uomo, scoperto l'inganno, non intende sganciare un euro per i due "attori". Il giovane va in bestia, si sporge oltre il letto, sul quale giace ancora nudo, apre il cassetto del comodino e tira fuori una pistola, puntandola contro l'uomo. La ragazza balza fuori dal letto, nuda, e fugge precipitosamente. Tra i due uomini si accende una colluttazione ed il vecchio riesce a disarmare il giovane. L'idea, da sviluppare quanto al seguito, mi sembrava abbastanza buona, solo un po' fragilina quanto al personaggio maschile del ragazzo: se è un bravo ragazzo, fuggito per sposarsi con la ragazza che ama, come fa a diventare un cinico ricattatore?

Bene, bisognava lavorare di più sul personaggio e dipingerlo come un poco di buono fin dal principio. Egli è un "picciotto" implicato con la mafia che si è incapricciato della ragazza, che vuole possedere a tutti i costi, contro la volontà dei genitori di lei. Ma la ragazza che ruolo ha in tutto questo? E' forse una decerebrata che si lascia sfruttare in questo modo? Bisognava descrivere la ragazza come dotata di propria volontà, un po' ingenua ed innamorata del suo uomo, ma decisa e combattiva. Pronta ad immolarsi per amore, nella segreta speranza di poterlo redimere.

"Sono due settimane che stiamo in questa locanda e non è successo ancora niente, sei sicuro che verrà?"
"Non ha mai mancato un appuntamento. Dobbiamo solo aspettare. Quanto prima arriverà ed allora potremo agire. Questa sera andiamo solo a vedere come è il posto."
"A vedere cosa?"

Il cervello lavorava. I due hanno un piano. Ma la sera, quando escono, dove vanno? Mi concentravo sul rituale che si ripeteva ogni giorno del loro modo di fare e, incuriosito, decisi che una di quelle sere li avrei seguiti per saperne di più. Nel frattempo andavo prendendo informazioni, conducevo una piccola indagine per conto mio. Nel paese non c'erano locali notturni, però, chiedendo in giro, venni a sapere che in collina, c'era una grande villa dove molti, specialmente giovani, scapoli e gente facoltosa, la sera andavano ad intrattenersi. Decisi di andare a perlustrare la zona. In macchina presi la via della collina attraverso il sottopassaggio della ferrovia ed arrivai fino ad un ampio pianoro da dove si vedeva una vista sul mare sbalorditiva. Tutt'intorno villette immerse nel verde. Al centro del pianoro, isolata, la grande villa, una costruzione in ottima posizione con alberi intorno ed un vasto parco, recintato da un alto muro, chiuso da un cancello metallico monumentale. Sul lato sinistro, una piccola targa recitava "Al Pescheto – Hot Club – Solo soci". All'interno, passando davanti al cancello, un correre ed abbaiare di cani. Difficile pensare che i due, uscendo la sera abbiano come meta questa villa. Non sembra alla loro portata; eppure...

Dalla parte opposta al cancello di entrata, un intero lato del muro di cinta si apriva su un locale con l'insegna "Bar Dei Nottambuli". Di giorno era chiuso, ovviamente. Apriva di notte e chiudeva all'alba. Questa notte il mio uomo li avrebbe seguiti ed avrebbe scoperto il mistero del loro modo di comportarsi. Stavo cercando di approfondire questo punto del "dove vanno di notte?" quando li sentii uscire e li spiai dall'occhiolino della porta. Si erano agghindati per benino. Lui abito scuro e cravatta, lei abito bianco lungo con ampia scollatura. Li seguii dalla finestra: salirono in macchina e presi nota della strada che imboccavano, breve tratto di lungomare, poi verso l'interno, al bivio a sinistra. Con gli occhi della fantasia, mi vidi scendere a mia volta, salire sulla mia macchina e seguirli a distanza, come in un film noir. Le due macchine presero per la collina ed andarono direttamente alla villa.

Le luci sono tutte accese. Davanti all'ingresso del club, staziona un uomo a guardia del cancello. Girando sul retro, si accerta che il bar sia aperto e vede molte macchine parcheggiate intorno alla villa. Segue la macchina dei due giovani, che fa un giro completo dell'isolato prima di fermarsi in un viottolo laterale, dove ci sono molti posti liberi. Vede i due avvicinarsi al cancello, l'uomo fa un cenno di riconoscimento e i due fanno per entrare, poi ci ripensano e tirano dritto fino al bar. L'uomo resta in macchina, ad una certa distanza e si prepara ad un'attesa che non sa quanto sarà lunga, perché non ha un piano. Qui le sorprese potevano essere molte; si sarebbe potuto scoprire che il bar era, contrariamente ad ogni fosca previsione, un ritrovo di artisti e letterati, gente che passa la notte tra i fumi dell'alcool e delle fumisterie intellettuali, in maniera del tutto innocente ed ingenua ed i due ragazzi essere giovani adepti di quella congrega, oppure apprendere con orrore che era un covo delle malavita, il punto di ritrovo di zingari che nella zona hanno stabilito una loro base e sbandati, che di notte trafficavano tra droga e puttane, lì esercitando i loro malaffari. Allora il giovane avrebbe potuto essere un "protettore" di prostitute che ha in mente di spingere alla prostituzione anche la sua fidanzata.

Alle due di notte, stanco di attendere senza che nulla di rilevante si sia verificato intorno a quella villa, se non un traffico abbastanza intenso di auto che arrivano e partono, l'uomo decide di tornare alla locanda ed attendere che il suo inventore finisca di rimuginare intorno a questo abbozzo di racconto. Ero ancora immerso nei suoi pensieri, cercando il modo di dare maggiore consistenza al tutto, quando sentii rumori dalle parti dell'ingresso, provenienti dall'esterno. La luce sul pianerottolo era accesa ed un uomo era fermo davanti alla porta dei due giovani. Il suo aspetto era inquietante: portava un largo cappello, giacca con spalle larghe, cadenti, pantaloni attillati, una camicia colorata, aperta sul petto con un grosso collo, dal quale pendeva una pesante collana dorata. Stava guardando i nomi scritti a fianco del campanello, come per assicurarsi di essere proprio davanti all'abitazione che cercava, poi, estratto un mazzo di chiavi o grimaldelli, aprì la porta senza difficoltà ed entrò nell'appartamento. Sentì rovistare a lungo nelle stanze, senza un particolare riguardo ed infine dopo più di un'ora, la porta si richiuse sbattendo. Al buio, davanti alla finestra, lo vidi salire su una grossa auto e ripartire sgommando.

A questo punto il personaggio di Maurizio che si andava delineando sempre più nettamente nel mio cervello, non avrebbe resistito alla tentazione di entrare a sua volta nell'appartamento dei due fidanzatini, tanto più che l'uomo che era appena uscito, non si era premurato di chiudere a chiave la porta e lui sapeva come fare a sbloccare la serratura con una semplice tessera plastificata di una card. Anche io, in verità, avrei fatto volentieri una visitina per vedere cosa era successo nell'appartamento accanto, ma ero trattenuto dal timore di essere scoperto. Qualcuno uscì sul pianerottolo, non so più se il personaggio della storia che stavo scrivendo o io stesso. Tanto mi ero immedesimato in lui. Le due cose si confusero nella mia-sua mente, tanto ero-era preso dalla vicenda che stavo-stava vivendo e contemporaneamente inventando. La serratura, dall'esterno non appare forzata, all'interno l'appartamento è tutto sottosopra. Mobili spostati, sedie rovesciate, cassetti aperti, effetti personali ed abiti sparsi sul pavimento. Per puro caso si china a guardare sotto il letto e con sua somma meraviglia vi trova una grossa testuggine di terra, addormentata, che alla luce accenna a muovere lentamente le zampe senza muoversi. Nel cassetto del comodino, aperto, tubetti di pillole di vari medicinali, alla rinfusa. In camera da letto un vecchio modello di registratore a cassette è posato sul comò. Preme play, "Nel deserto di una calle bella voce mi destò...", una voce comincia a recitare una poesia, in maniera un po' scolastica. Poco dopo spegne l'apparecchio ed esce dall'appartamento, chiudendo dietro di sé la porta.

Ora sono davanti al suo computer. Varie ipotesi mi vorticavano nel cervello. Forse i ragazzi sono soltanto pseudo letterati, giocano a registrare poesie, sono in cerca di emozioni intellettuali vere, cercano contatti con quell'ambiente. Se è così, allora cade l'ipotesi del baby-boss mafioso con il seguito malavitoso. Dovevo scegliere o l'una o l'altra via e superare quella impasse. Ripresi da dove avevo lasciato, senza aver risolto questo problema. Entrati nel bar, i due si guardano intorno e, riconosciuti da un gruppo di persone che si affollano intorno ad un tavolo, vengono invitati ad unirsi a loro. Qualcuno sta leggendo delle poesie. Gli altri ascoltano e alla fine di ogni lettura, fanno commenti sul componimento appena ascoltato e complimenti all'autore. I due manifestano entusiasmo per la comitiva e partecipano attivamente; Elda legge una sua poesia che commuove gli astanti, i quali applaudiscono vivamente. Pochi sanno che attraverso un passaggio interno, anche questo sorvegliato da un "gorilla", dal locale del bar si può accedere direttamente all'Hot Club riservato ai soci e i nostri due protagonisti sembrano esserne a conoscenza dato che, dopo una parte della serata dedicata alla letteratura, essi, senza farsi notare, si appartano e scompaiono.

Mi accorgo allora che le mie due creature rivelano un doppio volto. Il loro interesse non può essere soltanto letterario; essi nascondono qualcosa. In una sala molto ampia, ci sono tavoli da gioco dappertutto e molti giocatori che si spostano da un tavolo all'altro, senza posa. In un angolo della sala è situato un piccolo palcoscenico per spettacoli di spogliarello e lap-dance. Conigliette in abiti molto succinti, si aggirano tutt'intorno. Al bancone è seduto un uomo con un ampio cappello che, se fossi stato lì presente anch'io, avrei riconosciuto come quello che era entrato proditoriamente in casa dei giovani, buttando tutto all'aria, in cerca di non si sa che cosa. I due giovani però devono saperlo, perché, appena lo vedono, gli si accostano, lei da una parte e lui dall'altra e tra i tre si accende subito una discussione, alla fine della quale essi escono insieme dal locale. Salgono sull'auto dell'uomo e prendono in discesa, la via verso il mare. La notte è piena di stelle ed il mare appare nero, con due piccoli riccioli chiari che si riversano sulle riva.

"Credevate di fregarmi, vero, bambocci?" dice l'uomo appena sono fuori della macchina, con i piedi nella sabbia.
"No, amico, non è come pensi, ti stavamo aspettando, diglielo, Elda che non abbiamo fatto niente in attesa del suo arrivo."
"Sì è vero", dice confusa la ragazza "Mario era impaziente, ma io l'ho fermato."
"Ditemi subito dov'è la roba, altrimenti vi uccido", disse l'uomo e tirò fuori una pistola "in casa vostra c'è soltanto una maledetta tartaruga."
"Dacci il tempo di andarla a prendere, ma noi non l'abbiamo toccata."
"E' dentro il guscio vuoto della tartaruga, che è finta" disse Elda "e lui mi faceva sempre lo scherzo di farmela trovare dentro il letto, perché sapeva che mi faceva impressione."

La mattina dopo ero fisicamente distrutto avendo dormito pochissimo. Il demone dell'immaginazione si era risvegliato dentro di me ed ora non mi voleva mollare. Avevo inseguito i miei personaggi per bische clandestine, lungo la costa, tra macchine, spari e morti ammazzati. Ero così frastornato che, ad un certo punto della notte, avevo sentito dei rumori e qualcuno doveva essere rientrato nell'appartamento accanto, ma non ricordavo se il fatto fosse veramente avvenuto o facesse ancora parte della fiction. Dallo spioncino avevo visto che si trattava dello stesso individuo della volta precedente che sembrava avere molta fretta. Poco dopo avevo sentito che riusciva e ripartiva, ma ero troppo stanco per chiedermi come mai fosse tornato e cosa fosse successo nel frattempo.

"Purché sia tutto finito" pensai e caddi in una specie di deliquio. Solo verso mezzogiorno uno stridore di freni d'auto sotto casa mi sorprese, destandomi dal mio torpore e subito dopo, un bussare alla mia porta mi fece sobbalzare.

"Il sig. Adalberto Castagna?" chiese il primo dei due carabinieri che con le loro divise di ordinanza e stivali lucidissimi, riempivano il vano dell'ingresso.
"Sono io" risposi.
"Si vesta in fretta, deve venire con noi al Comando."
"Al Comando? E perché?" dissi io.
"Lo saprà una volta che saremo là. Non siamo autorizzati a dire niente. Il Tenente la vuole interrogare."
"Vi sbagliate. Io non ho fatto niente e non so niente."

Mentre il primo parlava, il secondo girava per la casa e si fermava qua e là. Giunto davanti al mio scrittoio, dove io avevo lasciato acceso il computer con le ultime pagine del romanzo scritte durante la notte, si soffermò a leggere.

"Maresciallo, venga qui. Ho trovato qualcosa di molto interessante che deve vedere". Il Maresciallo dopo aver letto le prime righe, disse: "Brigadiere, sequestriamo tutto, penso che il sig. Castagna dovrà chiarire molte cose."

Benché mi sentissi molto male, mi venne da ridere; i due carabinieri si erano lasciati impressionare per la tragica fine che avevo fatto fare nel corso della notte a quei due poveri ragazzi sprovveduti.

"Sentite, non ho dormito per tutta la notte, vi dispiace se faccio un caffè? Ne avrei proprio bisogno e potremmo prenderlo insieme; poi vi spiegherò cosa è avvenuto."
"Sì", rispose uno dei due ironicamente, "gradisce anche qualche pasticcino? Si prepari e faccia in fretta!"
"Vedrete, vi potrò spiegare tutto; questa notte ho fatto morire due personaggi del mio romanzo ed ho posto fine a questa storia, per la quale avevo perso la pace, per cui ora non ho nulla da nascondere. Piuttosto perché non diamo un'occhiata all'appartamento qui a fianco dove questa notte sono successe cose strane e i due inquilini che ci abitano non sono ancora rientrati?"

La porta era aperta.

"Conosceva i due ragazzi che abitavano qui?" chiese il maresciallo.
"Per modo di dire. Sono arrivati da poco tempo e non abbiamo avuto modo di fare amicizia."
"Capisco."

Il volto del maresciallo era piuttosto enigmatico. Dopo una breve esitazione, i due entrarono e, prima che potessero impedirmelo, corsi in camera da letto, guardai sotto il letto e, avuta la conferma di quello che pensavo, dissi con evidente soddisfazione:

"Guardate pure voi: la tartaruga è sparita. Questa è la prova che qui si svolgevano traffici illeciti."

Ovviamente i due carabinieri non capirono un accidenti di quello che avevo trionfalmente annunciato; ai loro occhi dovevo essere impazzito. In strada, Adalberto, mano del brigadiere sulla testa, fu spinto senza tanti riguardi sul sedile posteriore dell'auto civetta. La prima cosa che vidi, mentre l'auto si metteva in moto, fu la scritta a caratteri cubitali sulla prima pagina del "Centro" il giornale locale che era posato sul sedile accanto a lui: "Duplice delitto ad Alba Adriatica – Trovati due giovani turisti morti sulla spiaggia."

"L'inchiesta si annuncia difficile" fu la premessa dell'avv. Ezio Cavallotti, una volta assunta la mia difesa. "Siamo di fronte allo strano caso di uno scrittore il quale ha scritto un libro nel quale si immagina che due giovani vengano assassinati in circostanze e con modalità che vengono descritte in ogni particolare, che, guarda caso, coincidono con le circostanze e le modalità con le quali due giovani sono stati effettivamente uccisi la stessa note in cui lo scrittore terminava di scrivere il romanzo."

"Per giunta, nel romanzo, il protagonista viene incriminato per aver lasciato le sue impronte digitali in vari punti dell'abitazione degli uccisi e anche nel suo caso, le sue impronte sono state rilevate sui mobili, le porte, un registratore e perfino su alcuni tubetti di medicinali dei due giovani uccisi. Ma il fatto più grave è che anche sulla pistola con la quale essi sono stati uccisi, risultano impronte appartenenti a lei. Il rischio di essere incriminato, se è un'invenzione letteraria nel romanzo, è quanto mai reale per lei, che ha fatto quella incursione in casa dei due ragazzi i cui corpi ora giacciono chiusi in una sacca impermeabile, all'obitorio del vicino ospedale a disposizione dell'autorità giudiziaria e non potranno mai più parlare."

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