NEMO PROPHETA

Poche parole a proposito del profeta, termine che ancora veicola suggestioni, che da religiose, si sono trasferite nel campo laico, con molteplici implicazioni (1).

Bologna, ospedale psichiatrico - 2014

I profeti nell'antichità erano molto importanti e parlavano per bocca degli dei. Ma lasciamo perdere i profeti della Bibbia e quelli delle tre religioni monoteiste. Concentriamoci sul concetto di profeta e di profezia. L'origine della parola è legata alla desinenza "pha", presente sia nel greco "phas-phemi", che nel latino "phar-is/phari" che vogliono dire entrambe "dire", ma il profeta è colui che predice il futuro e deriva da "pro" nel senso di "pre" e "phates" dire, quindi "pre-dire". La desinenza di cui sopra è alla base di tutta una serie di parole che hanno a che fare con il parlare, il dire, vedi fama, eufemismo, favella, favola, profano, professo, confessione, ecc. Anche la parola "professore", prende le mosse dalla stessa scaturigine (parola che fa sempre una certa impressione, ed immagino possa far piacere agli interessati). Il professore è la persona che "dice" a favore di altri, parla a vantaggio degli alunni, quindi insegna.
 Ed infine 'facondo'. E' un chiacchierone, un gigione della parola, uno che sa tutto lui e sa esprimersi con ricchezza di termini e di argomentazioni, Parla bene e gli piace ascoltarsi. 

Ma non posso esimermi da un richiamo, giusto un accenno, al "Fato" (lettera maiuscola per gli antichi, minuscola per noi che abbiamo abdicato in nome della democrazia e della laicizzazione dei costumi e delle coscienze, che hanno fatto superare categorie come la predestinazione o il libero arbitrio) e lo chiamiamo semplicemente "destino", mentre per i nostri precursori greci e latini era di più di un semplice accidente imprevisto, era una necessità ineluttabile alla quale dovevano sottostare perfino gli dei. Infatti gli dei si comportavano come gli uomini ed avevano gli stessi pregi e difetti e se un dio entrava nella storia a favore di un umano (il che avveniva spesso), poteva agevolarlo, sì, ma non poteva cambiarne il destino, che era iscritto nella radice immutabile del mito.

E il Fato deriva direttamente dal "phatum" participio passato di "phari", "dire" ed era "quello che è stato detto" una volta per tutte.

Andiamo ora al "nemo propheta in patria", che è una locuzione tratta dai Vangeli (ricorre in tutti e quattro i sinottici), che vuol dire semplicemente che nessuno è profeta in casa sua. Richiama un poco l'altro detto latino "Cicero pro domo sua", che si riferisce all'inevitabile tendenza degli uomini a confondere il pubblico con il privato, dimostrando che il problema del conflitto di interessi è sempre esistito.

Perché, richiama? Perché dà una risposta a mio avviso all'assunto del Vangelo: se è più facile acquisire titoli e benemerenze fuori dall'ambiente in cui si è nati, piuttosto che a casa propria, è per il fatto che da parte dei compaesani, nei confronti di chi per un motivo o per un altro si mette in mostra, c'è sempre una riserva, un'ombra di sospetto sulla sua effettiva integrità, capacità, onestà. Forse per invidia o altro sentimento poco nobile. Mentre non tocca il fenomeno attuale della fuga dei cervelli, dovuta a motivi economici e non a risentimenti personali.


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(1) Si farà questo governo Salvini/Di Maio? In mancanza di una "quadra" – altra parola che ha preso sempre più piede e che detesto – ci vorrebbe una sfera di cristallo. Facciamo voti per il sì; qualunque soluzione è meglio del voto a luglio e poi è giusto che dimostrino quello che sanno fare, anche se a pagare alla fine saremo sempre noi.

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