FINALMENTE
Finalmente, cioè alla fine, quante volte lo abbiamo detto o sentito, sulla bocca di tutti, come fossimo in continuazione in attesa di qualcosa che aspettavamo da tempo e che faceva fatica a realizzarsi.
Alla fine, un sospiro di sollievo: f i n a l m e n t e ! Ci siamo liberati di un peso.
In effetti noi siamo come archi tesi verso il futuro, tanto che ci lasciamo sfuggire molte delle occasioni offerte dal presente, che dovrebbe essere il nostro vero luogo dove stare.
Per ogni "finalmente" che arriva in porto, altri ne partono che ci terranno sospesi fino a quando anche quelli si realizzeranno o constateremo l'impossibilità del loro realizzarsi. Finalmente da "finale", ciò che sta alla fine, prossimo alla conclusione. Non è un caso che il sollievo giunga alla fine. Ma non sempre.
Ho fatto un sogno desolante. Ero vecchio, molto vecchio e sul punto di morire. Finalmente potevo vedere il mio libro stampato; il libro di tutta una vita, quello che ho atteso per tanto tempo e quasi non ci credevo più. Era bello, copertina, costola, risguardi, tutto a regola d'arte. Carta speciale di Fabriano, come per i grandi libri della storia. Il mio nome in testa, chiaro, visibile, bei caratteri, né troppo grandi, né troppo piccoli. L'ho preso in mano, era leggero, facile da maneggiare, piacevole al tatto; l'ho rigirato fra le mani, commosso, avrei finalmente avuto qualcosa da lasciare; le future generazioni se ne sarebbero avvantaggiate. Si poteva anche morire, qualcosa sarebbe rimasto.
Ho fatto per aprirlo, con le lacrime agli occhi che mi offuscavano la vista ed ho faticato a vedere lo scritto. Le pagine apparivano chiare; ho avvicinato la prima pagina agli occhi, era bianca. La seconda, la terza, la decima, la 100ima, la 200ima... tutte bianche, ancora da scrivere. Avevo il mio libro tutto da scrivere, ancora, era vuoto, neanche una parola, neanche "fine".
"Zio Sigmud", raccontava una nipote di Freud, non ricordo più in quale contesto, "era un uomo con una grande barba, vestito di nero, una figura imponente, severa" ed a lei, ancora bambina "faceva impressione, perché puzzava sempre di sigaro". Il fumo di quel sigaro vorrei avere ora intorno a me, per evocare il gran vecchio, interprete dei sogni più assurdi, per dare un senso a quello mio. Forse. tra le volute, la pagine potrebbero cominciare a coprirsi di righe; lo scritto potrebbe apparire, poco alla volta, come per incanto o perché impresso con un inchiostro simpatico, oppure potrebbe lui, il vecchio, spiegarmi perché il mio libro quello di una vita, giunto, finalmente, al limitare del tempo massimo, non contiene niente.
So bene che sarebbe tardi ormai per invocare una qualunque ipotesi di un secondo inizio. Vorrei però credere che tutto quello che ho tentato di metterci non si sia perso, che lo scritto ci sia, magari criptato, nascosto, ma pronto ad essere aperto con una chiave che io però al momento non ho ancora trovato. Per averlo in chiaro sarà necessaria una password che non conosco, ma altri forse, sì.
Questa la speranza.
Il capolavoro dell'Aielli: "Via degli Dei" - 2014 |
Alla fine, un sospiro di sollievo: f i n a l m e n t e ! Ci siamo liberati di un peso.
In effetti noi siamo come archi tesi verso il futuro, tanto che ci lasciamo sfuggire molte delle occasioni offerte dal presente, che dovrebbe essere il nostro vero luogo dove stare.
Per ogni "finalmente" che arriva in porto, altri ne partono che ci terranno sospesi fino a quando anche quelli si realizzeranno o constateremo l'impossibilità del loro realizzarsi. Finalmente da "finale", ciò che sta alla fine, prossimo alla conclusione. Non è un caso che il sollievo giunga alla fine. Ma non sempre.
Ho fatto un sogno desolante. Ero vecchio, molto vecchio e sul punto di morire. Finalmente potevo vedere il mio libro stampato; il libro di tutta una vita, quello che ho atteso per tanto tempo e quasi non ci credevo più. Era bello, copertina, costola, risguardi, tutto a regola d'arte. Carta speciale di Fabriano, come per i grandi libri della storia. Il mio nome in testa, chiaro, visibile, bei caratteri, né troppo grandi, né troppo piccoli. L'ho preso in mano, era leggero, facile da maneggiare, piacevole al tatto; l'ho rigirato fra le mani, commosso, avrei finalmente avuto qualcosa da lasciare; le future generazioni se ne sarebbero avvantaggiate. Si poteva anche morire, qualcosa sarebbe rimasto.
Ho fatto per aprirlo, con le lacrime agli occhi che mi offuscavano la vista ed ho faticato a vedere lo scritto. Le pagine apparivano chiare; ho avvicinato la prima pagina agli occhi, era bianca. La seconda, la terza, la decima, la 100ima, la 200ima... tutte bianche, ancora da scrivere. Avevo il mio libro tutto da scrivere, ancora, era vuoto, neanche una parola, neanche "fine".
"Zio Sigmud", raccontava una nipote di Freud, non ricordo più in quale contesto, "era un uomo con una grande barba, vestito di nero, una figura imponente, severa" ed a lei, ancora bambina "faceva impressione, perché puzzava sempre di sigaro". Il fumo di quel sigaro vorrei avere ora intorno a me, per evocare il gran vecchio, interprete dei sogni più assurdi, per dare un senso a quello mio. Forse. tra le volute, la pagine potrebbero cominciare a coprirsi di righe; lo scritto potrebbe apparire, poco alla volta, come per incanto o perché impresso con un inchiostro simpatico, oppure potrebbe lui, il vecchio, spiegarmi perché il mio libro quello di una vita, giunto, finalmente, al limitare del tempo massimo, non contiene niente.
So bene che sarebbe tardi ormai per invocare una qualunque ipotesi di un secondo inizio. Vorrei però credere che tutto quello che ho tentato di metterci non si sia perso, che lo scritto ci sia, magari criptato, nascosto, ma pronto ad essere aperto con una chiave che io però al momento non ho ancora trovato. Per averlo in chiaro sarà necessaria una password che non conosco, ma altri forse, sì.
Questa la speranza.
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