SOLEDAD

SOLEDAD

(La Solitaria)

Nei Paesi occidentali dove più si è fatta sentire l'influenza della religione cattolica, Italia e per esempio in Spagna, la tradizione ha voluto che molti nomi di donna fossero derivati da episodi della vita della Madonna e così da noi abbiamo avuto Annunziata, Concetta, Addolorata, quanto non addirittura Croce o Crocifissa. In Spagna Soledad è un nome che suscita emozione, allude alla condizione di solitudine in cui si trovò Maria dopo la morte di Gesù. Chiusa nel suo dolore, perse il contatto con la maggior parte degli Apostoli del Figlio e menò una vita ritirata e solitaria, fino alla fine.

Cucciolo di pastore abruzzese - 2012

La donna che conobbi tanto tempo fa e che disse di chiamarsi Soledad aveva circa 45 anni, nel volto i segni di una bellezza appena scalfita dal tempo e l'accenno di una piega amara sulle labbra di cui però si perdeva la traccia nella bellezza ariosa dei suoi capelli biondi e nella luminosità dei suoi occhi chiari. Abitava all'estrema periferia di quella città dove anche io mi trovai a vivere alcuni anni della mia vita e la notai per il modo signorile di occupare la scena con sostenuta discrezione ovunque si trovasse, indice di un carattere risoluto senza eccedere.

Ebbi modo di vederla spesso, perché venne ad abitare in un appartamento quasi di fronte a quello in cui abitavo io e dal primo momento in cui vidi aprirsi quella finestra ed uscire lei sul balcone in abiti casalinghi e sistemare alcune cose, senza mai guardarsi intorno, né rivolgere uno sguardo verso di me, capii che la nuova arrivata era un tipo interessante, che mi avrebbe intrigato un bel po'. Insieme a lei erano arrivate altre due signore anziane, che avevano nei suoi confronti una sorta di rispettosa dipendenza. Alle necessità di casa pensava lei, alle otto del mattino, la vedevo uscire in bicicletta e dopo un poco tornare con buste di verdura ed altri generi alimentari. Una volta la vidi che, giunta davanti al porta di casa, suonò più volte il campanello per farsi aprire, ma nessuno rispose. Alla fine dovette ricorrere con disappunto all'aiuto della proprietaria dell'appartamento, che abitava di fianco, la quale con il duplicato della chiave in suo possesso aprì l'uscio di casa, consentendole di entrare. La porta si chiuse alle sue spalle ed io non seppi mai la ragione del disguido che si era sicuramente creato fra le tre donne di quell'appartamento. Ero ormai abituato a quella routine, quando un giorno, ho visto un uomo affacciarsi a quel balcone. Era d'estate e lui girava per casa a torso nudo; di corporatura robusta e il ventre prominente, non ispirava simpatia per i modi bruschi che aveva, per il pizzetto sul mento ed i capelli lunghi legati a cipolla sulla sommità del capo, come fanno gli appartenenti a certe sette religiose dell'India. Si comportava da padrone con le tre donne e si vedeva che nessuna di esse mostrava entusiasmo per la sua presenza, semmai disagio e non si capiva quale fosse il rapporto che intercorreva tra lui e almeno una delle donne.

Una sera, uscendo dal lavoro, dall'altra parte della città, passai come tutte le sere, davanti alla vetrina del bar dell'angolo e guardando distrattamente, tra i visi noti degli avventori abituali, inaspettatamente vidi il suo. Era sola, seduta ad un tavolinetto appartato e sembrava assorta in meditazione. Senza esitare decisi di approfittare dell'occasione ed entrai nel bar dirigendomi dritto verso di lei.

"Permette?"

Il suo viso si girò verso di me con una lieve esitazione, poi sembrò animarsi, i lineamenti si distesero e lei mi piantò gli occhi addosso, riconoscendomi, ed allora il suo sguardo si addolcì, anche se mostrava contemporaneamente, piacere ed un filo di diffidenza.

"Sono il suo vicino di casa; non so se si è mai accorta di me e del fatto che sono mesi che la sto osservando. Posso sedere?
"Si accomodi", rispose lei gentile, ma titubante e subito dopo: "ha detto che è da tempo che mi sta osservando. Le dispiace dirmi per quale motivo? I suoi occhi si fecero fintamente inquisitori."
"Non pensi male la prego! Sono uno che si diverte a scrivere e mi incuriosiscono le persone che hanno qualcosa fuori del comune. Sono continuamente alla ricerca di soggetti interessanti e lei mi sembra una di quelli."
"Le dispiace se le dico dal primo momento che l'ho vista..."
"E' rimasto folgorato dalla mia bellezza, vero?" concluse lei prendendosi gioco di me.
"Ma via, non siamo tra adolescenti."
"No, infatti, volevo dirle che sto pensando ad un soggetto e se lei volesse, potremmo incontrarci e lei potrebbe aiutarmi a definire un personaggio femminile che ho in mente, ma non riesco a far emergere. Sono convinto che tu possa dirmi molto in proposito."

Lei notò l'improvviso passaggio dal lei al tu confidenziale e non se ne meravigliò. Ma il suo viso assunse un'espressione dispiaciuta.

"Sì, disse, guardando l'orologio, sarei ben lieta di collaborare con te, ma non ora. Purtroppo ho un appuntamento e la persona che aspetto sarà qui a momenti."
"Bene, sono lieto di averti incontrato. E, vedrai, mi farò vivo al più presto."

Le cose non andarono esattamente così. Per alcuni giorni ci limitammo a salutarci per strada o dal balcone. Lei sembrava sfuggire il mio sguardo. Io ero molto occupato e trascurai quella opportunità. Capitò abbastanza improvvisamente che dovetti abbandonare il quartiere perché mi trasferii in un appartamento in centro offertomi da un amico a prezzo conveniente e molto più vicino al posto dove lavoravo. Il mio ricordo di quella Soledad (mi aveva detto di chiamarsi così, precisando che non era spagnola), si faceva ogni giorno più sfocato. Lavoravo a quel tempo nell'ufficio di un casa editrice nata da poco, di piccole dimensioni ma grandi ambizioni, in cui ero entrato come correttore di bozze ma dopo poco tempo avevo raggiunto il ragguardevole grado di consulente letterario addetto alla ricerca di nuovi talenti. Il lavoro mio di scrittore lo facevo a casa, nelle ore libere e di notte. Una sera, uscendo dal locale che l'editore mi aveva messo a disposizione come ufficio, diretto verso casa, fui costretto a riparare dentro il bar dell'angolo, per uno scroscione di pioggia che all'improvviso si rovesciò sulla strada. Sedetti ad un tavolo vicino all'ingresso, per essere pronto ad andare via appena la pioggia fosse cessata ed al volo ordinai una birra bionda al cameriere di passaggio.

"Ha una passione per le bionde?" sentii dire alle mie spalle, ironicamente da una voce di donna. Soledad in piedi dietro di me mi guardava dall'alto sorridendo ed a me che ero seduto, la sua figura che si curvava leggermente sopra la mia testa, parve molto alta ed incombente.
"Soledad", mi uscì di getto dalla bocca, alzandomi e prendendole una mano, in un atteggiamento di spontanea familiarità, "tu qui?" e la invitai a sedersi accanto a me. Ella non fece resistenza e disse:
"Quanto tempo, vero? Sei andato via senza neanche un saluto."

Vista da vicino, nella tenue luce del locale, sembrava più bella di quanto non mi fosse apparso la prima volta. La pelle del suo viso era diafana, quasi trasparente. L'emozione spontanea per l'incontro casuale, denunciava il piacere di entrambi, di rivederci e fece sì che si stabilisse tra di noi un'atmosfera simile a quella che si crea tra due amanti che si sono lasciati e ritrovati dopo tanto tempo, scoprendo di avere ancora piacere a stare insieme.  Comunque ci piacque crederlo. L'abbracciai e la strinsi teneramente a me, baciandola sulle guance.

"Che ne è stato della tua eroina? Quella che avrei dovuto aiutarti a partorire", mi chiese sussurrandomi ironica all'orecchio, mentre i suoi occhi esprimevano un interesse sincero.
"In tua assenza, non è mai nata."

Aveva un delicato profumo ed un leggero ansito nel respiro ed echi meravigliosamente profondi nei palpiti del cuore. La piccola piega amara delle sue labbra ne aumentava il fascino, aggiungendo un che di enigmatico al suo sguardo.

"Ma chi è scomparso all'improvviso sei tu, non io, disse con convinzione."
"Soledad, cara", le dissi, "non immaginavo che il mio trasferimento potesse in qualche modo interessarti e che ti aspettassi qualcosa da me."

La pioggia cessò, guardai l'orologio, ella si ricompose, mi alzai per pagare il conto:
"Andiamo?", le chiesi.
"No grazie io rimango qui. Aspetto una persona."
"Anche questa volta! No, cara, questa volta non ti lascio. Voglio sapere tutto di te. Chi è la persona che aspetti?"
"Mio marito", mi rispose guardandomi seria negli occhi. Le sue pupille erano fisse su di me e mi studiavano. Voleva vedere come reagivo al colpo. Rimasi a bocca aperta e tuttavia finsi indifferenza.
"Non mi avevi detto di avere un marito", le dissi dopo un attimo di smarrimento, con voce che, contro la mia volontà, suonò amareggiata.
"Da quanto tempo mi conosci?" chiese con un po' di stizza. Quando avrei dovuto dirtelo? Comunque, sì, ho un marito... ma siamo separati...", aggiunse subito dopo. Ero talmente frastornato che non seppi come reagire,volevo prendere tempo, ma cercare comunque di salvare il salvabile, perché sentivo di tenere a lei, forse più di prima.
"Allora addio, le dissi, mentre lei mi guardava evidentemente delusa."
"Prometti che ci rivedremo, aggiunsi prima di lasciarci, passo di qui tutte le sere alla stessa ora. Vieni quando vuoi."

Ma lei era già lontana, era ridivenuta un'estranea. Accentuando la piega amara delle labbra, con indifferenza "Qualche volta ci sarò", rispose, ma senza convinzione e distolse gli occhi da me, riassumendo la sua fisionomia abituale. Feci per abbracciarla di nuovo:
"C'è qualcosa che non mi dici", le sussurrai all'orecchio, "cos'è che ti affligge?"
"Nulla...nulla..." rispose, respingendomi con grazia, un mano contro il petto. "Vai caro, ci rivedremo."

Uscii dal locale alquanto contrariato. Non mi era chiaro quello che era successo ed ero piuttosto preoccupato per il prosieguo della vicenda. Passarono lunghi mesi in cui io mi struggevo nell'attesa di vederla al bar o nei dintorni, tutte le sere ed indugiavo sperando che arrivasse, ma non successe mai.  Una sera presi un taxi e mi feci portare nel quartiere dove abitavo prima e dove probabilmente lei doveva ancora abitare. Mi feci lasciare all'inizio della strada, volendo fare a piedi il tratto fino a casa sua. Giunto nei paraggi, mi accorsi che il quartiere era cambiato. L'abitazione con il balcone sul quale l'avevo vista tante volte non c'era più. Il fabbricato era stato demolito ed al suo posto c' era un cantiere per lavori in corso di una nuova costruzione. Chiesi intorno se qualcuno sapesse dove erano andate le tre signore che vi abitavano, ma nessuno seppe dirmi nulla. Soledad e le sue amiche sembravano sparite nel nulla.

Venne l'inverno e fu uno dei più duri che io ricordi. Con la pioggia che imperversava quasi ogni sera, i pomeriggi erano brevissimi. Alle quattro era già notte. Una di quelle sere, uscii che pioveva a dirotto; l'ombrello non era sufficiente a coprirmi dalla pioggia, che veniva a raffiche, spinta dal vento. Nel breve tratto dall'ufficio, passando davanti al bar dell'angolo e poi tirando verso casa, mi ero bagnato un bel po'. La strada era quasi deserta ed io ebbi modo di sentire dietro il mio passo, lo scalpiccio di altri due piedi che sguazzavano nell'acqua. Dapprima non vi feci caso, ma poi, fermandomi brevemente davanti ad una vetrina e sentendo che anche chi mi seguiva faceva la stessa cosa, mi incuriosii e cercai di vedere chi era. Niente. Una donna era in attesa alla fermata dell'autobus e per il resto la via era vuota. Ripresi a camminare e poco dopo, anche l'altro riprese a seguirmi. Cominciai a preoccuparmi e senza darlo a vedere, accelerai il passo. Per fortuna ero vicinissimo a casa mia e appena giunto davanti al portone d'ingresso. aprii in fretta ed entrai, chiudendomi subito dietro l'uscio di casa. Dentro e al sicuro, tirai un sospiro di sollievo e dopo un attimo cominciai a togliermi gli abiti bagnati, per indossarne di caldi e comodi. Accesi il televisore, come atto abituale, mi versai due dita di whisky e sedetti in poltrona, disposto a godermi un po' di relax. Mi ero quasi appisolato nell'atmosfera calma della casa, quando improvvisamente sentii suonare il campanello della porta d'ingresso. Qualcuno chiedeva di entrare. Sbirciai dietro i vetri della finestra, in basso e vidi solo un ombrello aperto sotto la pioggia. Era un ombrello da donna. Non so come, ma pensai subito: Soledad! Poco dopo entrò dentro casa insieme ad una folata di aria umida e di freddo.

"Eri tu che mi seguivi?" le chiesi sbalordito. "Perché non mi hai chiamato?"
"Mi vergognavo e non sapevo cosa fare. Ho bisogno del tuo aiuto. Non so dove andare. Mi puoi ospitare per questa notte?"

Tremava tutta e sembrava in preda di una crisi nervosa di notevole intensità. L'aiutai a togliersi l'impermeabile grondante di pioggia e l'abbracciai teneramente. Lei si lasciò abbracciare, il corpo un po' rigido, senza corrispondere, in attesa della mia risposta. Le dissi che avrei fatto qualunque cosa per lei ed allora si sciolse. Abbondanti lacrime uscirono dai suoi occhi, mentre tutta la sua persona diventava più morbida e arrendevole. Corrispose ad un mio bacio con calore contenuto, chiudendo gli occhi e nascondendo il viso tra le mie braccia. Non era più la donna sicura ed altera che avevo conosciuto. Per quella notte non le chiesi niente. Le preparai prima un bagno caldo e dopo qualcosa da mangiare, indicandole la camera degli ospiti, dove andare a dormire.

"Mi dirai tutto domattina", le dissi. "per il momento riposati, ne hai proprio bisogno."

Alla porta d'ingresso si sentì raspare accompagnato da un guaito. Un cagnolino tutto bagnato era lì che aspettava.

"E' tuo?" le chiesi.
"No, l'ho trovato per strada e mi ha seguito fin qui."

Mi guardava fiducioso nel suo aspetto ben curato nonostante la pioggia e gli schizzi di fango da cui era coperto.

"Prenderemo anche lui", dissi a Soledad che ne fu felice. "lo chiameremo Nebbia, in omaggio a questa sera straordinaria" e per il momento fu tutto.

La notte passò tranquilla. Fuori la pioggia continuava incessante. Rimasi sveglio tutto il tempo. L'alba arrivò; non pioveva più, ma la luce livida che entrava dalla finestra era desolante. Ad un tratto, fu interrotta da un vorticare di luci di vari colori lampeggianti contro i vetri appannati e si sentì uno stridore di freni sotto l'abitazione. La volante della polizia era arrivata alle cinque del mattino e si era fermata davanti al mio numero civico. Scesero due agenti mentre il terzo rimase al volante con il motore acceso. Bussarono alla porta ed io aprii.

"La signora Angela Della Corte è qui?" mi chiese bruscamente il primo.
"Da me c'è una persona di nome Soledad ma ignoro quale sia il suo cognome."

Con gesto deciso, mi scostò di lato e entrò in casa "Da quale parte?" mi chiese senza cortesia. La porta della stanza dove aveva dormito Soledad si aprì ed ella apparve vestita di tutto punto.

"Sono io", disse facendosi avanti.
"C'è un mandato di arresto contro di lei. Qualunque cosa dirà potrà essere usata contro di lei.". I due agenti la presero e l'accompagnarono alla macchina. Passando davanti a me disse "perdonami, sei stato molto gentile, non mi dimenticherò di te.". Mi protesi per abbracciarla, ma l'agente mi bloccò:
"Lei rimanga a disposizione. Il giudice vorrà interrogarla."

La macchina partì a tutta velocità ed io rimasi solo. Sul cuscino del letto dove era stata Soledad trovai un biglietto: "Volevo essere solamente Soledad, volevo essere lasciata sola."

Più tardi seppi che un certo Cesare Della Corte, era stato ucciso con un colpo di pistola e che la moglie Angela era accusata del suo omicidio. Io fui convocato dal giudice istruttore ed interrogato sul rapporto che intercorreva tra noi due e sul perché quella notte lei era venuta a casa mia. Il giudice avanzò l'ipotesi di emettere un mandato di arresto anche nei miei confronti per concorso in omicidio e favoreggiamento. Dall'istruttoria risultò che il marito era un bruto che l'aveva martirizzata per venti anni e che lei aveva tentato di fuggire con l'aiuto delle due sorelle di lui, andando ad abitare insieme a loro in una casa di periferia, nell'anonimato di un centro medio-grande, sperando di sottrarsi alla sua persecuzione; ma inutilmente perché l'uomo le aveva ritrovate e di nuovo soggiogate. Risultò anche che io ero completamente ignaro di tutta questa storia e nulla sapevo dell'omicidio di Della Corte, quando avevo ospitato la moglie uxoricida.

Qualche difficoltà mi portò il fatto che il defunto marito fu trovato in possesso di una fotografia che ritraeva me e sua moglie mentre ci baciavamo in un bar. Ricordai l'improvviso cambiamento di umore della donna che io allora ritenevo fosse Soledad, al bar, quando mi disse che aspettava suo marito. Evidentemente l'uomo era già lì e ci aveva fotografati. Quella foto era stata usata dal persecutore come atto di accusa di adulterio nei confronti della moglie ed era stato il motivo per cui egli la sera precedente aveva incontrato Angela e dopo una furibonda lite, aveva minacciato di ucciderla con un coltello. Ma la donna che da molto tempo e dopo ripetuti atti di violenza subiti si era procurata una pistola, l'aveva estratta e fatto fuoco contro di lui una sola volta, uccidendolo. La testimonianza delle sorelle dell'ucciso, infine, fu determinante per l'assoluzione di Angela, in quanto il giudice ritenne che la stessa aveva agito per legittima difesa. Tornata libera la donna scomparve. Nonostante ogni mio sforzo, non riuscii ad individuare dove fosse andata a nascondersi. Dopo un anno o giù di lì, ricevetti un biglietto non affrancato, senza indicazione del luogo di spedizione, che recava questo messaggio: "Soledad finalmente sola. Grazie di tutto."

Guardai fuori per vedere se fosse ancora nei dintorni. La via mi sembrò deserta. Lei non c'era, ma c'era stata, vicinissima, e non aveva suonato. Sarei uscito per sentire la sua scia per strada, per trovarla: da qualche parte doveva pure essere. Non è più tornata. Nebbia, Il cagnolino, invece è ancora con me e penso ormai di non poter fare a meno della sua compagnia.

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