MAL D'AFRICA

Quando sono nato, mio padre non era con me, c'erano soltanto mia madre, le mie due sorelle nate prima di me e la zia Gina. Allo scoppio della guerra italo-etiopica, nell'ottobre del 1935, non fu uno dei primi a partire, ma fu richiamato alle armi qualche mese dopo. Lasciò la moglie incinta del terzo figlio e partì, insieme ad un folto nucleo di altri militari dislocati in Etiopia, per quella che fu una guerra di annessione.

Leo prima di nascere (2003)

Naturalmente non era contento, per il fatto che lui non era un guerriero, non condivideva la politica coloniale del fascismo ed era molto innamorato della sua famiglia, per cui avrebbe desiderato di starsene tranquillamente a casa, tanto più che era in attesa del terzo figlio che questa volta doveva essere, secondo i suoi calcoli, sicuramente un maschio, dopo due femmine nate una dopo l'altra. La notizia della nascita avvenuta il 9 giugno 1936 e la conferma del fatto che il neonato era maschio, gli arrivarono per cablogramma ed egli festeggiò l'evento lontano da casa, in terra straniera, tra commilitoni ed àscari eritrei, che erano le truppe coloniali che combattevano a fianco degli italiani, contro gli etiopici. Per fortuna, era nelle retrovie e lì restò per tutta la durata della guerra, senza essere mai impiegato con il suo reparto in scontri diretti con gli etiopici. Ciò lo faceva sentire moralmente meno responsabile nella sua qualità di occupante di una terra che non era la sua. E ancora non sapeva che lì gli italiani, sotto il comando del generale Graziani, stavano commettendo crimini di guerra con fucilazioni di massa, massacri di popolazione civile, con l'uso di gas tossici, non ammessi dalle convenzioni internazionali.

Ho detto che festeggiò, ma ho dimenticato di dire che lo fece in cella, perché in quei giorni era agli arresti per essersi rifiutato di presenziare, per protesta, all'impiccagione di un partigiano eritreo catturato durante un'azione di pattugliamento e condannato a morte dal comandante del campo. Gli fu anche vietato di scrivere una lettera a sua moglie, per felicitarsi della mia nascita ed egli, tramite un amico radiotelegrafista, riuscì a mandare solo un messaggio, col quale, mentre tentava di tranquillizzare la famiglia, non fece che aumentare le preoccupazioni di mia madre. Il messaggio, in estrema sintesi diceva enigmaticamente "Impossibilitato scrivere. Lo farò appena possibile. Firmato Giuseppe". Immaginiamoci l'apprensione delle povera puerpera, che, con la fantasia già eccitata per l'evento, lieto, ma pur sempre traumatico del parto recente, arrivò a pensare il peggio: è ferito, non può scrivere, forse è grave e non vuole dircelo e non sapeva a chi rivolgersi per avere altre notizie.

Mio padre tornò dall'Africa a guerra finita all'inizio del 1937 e potette finalmente abbracciarmi. Io ero molto piccolo, avevo appena sette mesi ed egli mi tenne in braccio a lungo, sussurrandomi all'orecchio "finalmente sono tornato, laggiù ho visto cose molto brutte e mi sarà difficile dimenticarle, ma tu mi aiuterai, a superare questo momento". Più tardi mi narrò ridendo di quando, ad Addis Abeba, al pranzo degli ufficiali, vide militari àscari servire in tavola i vittoriosi generali italiani, prendendo con le mani i maccheroni che mettevano nei piatti. Una piccola rivincita nei confronti di quelli che erano andati laggiù a "portare la civiltà". Tre anni dopo, lo scoppio della seconda guerra mondiale.

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