INDIZI DAL PASSATO
La donna si chiamava Eufrasia ed aveva l' aspetto di una che nella vita aveva dovuto affrontare molte difficoltà; volto asciutto, severo ma con sprazzi di luce che ogni tanto illuminavano il suo sguardo, per il resto del tempo spento e furtivo. Età indefinibile, vestiva di scuro e da quando la conoscevo, era sempre uguale. Conoscevo il palazzo dove abitava, dalla parte vecchia della città, per via di una ragazzetta che là prestava servizio come domestica, con la quale avevo allacciato una relazione. Per quanto ne sapevo, la signora menava una vita silenziosa e riservata, quasi sotterranea; con lei c'erano un fratello che si vedeva raramente in giro, una vecchia madre ed una zia decrepita.
Il fabbricato aveva un aspetto massiccio e poco funzionale, la facciata che dava sulla via, aveva un balcone monumentale, dalle balaustre di pietra molto spesse. Dallo scempio compiuto ad opera di passate amministrazioni comunali, con l'abbattimento della maggior parte del centro storico della città, si era salvato quel sito ritenuto di rilevanza archeologica: sul lato destro, a fianco della costruzione, in fondo ad una stradina, c'era una chiesuola dedicata a S. Caterina con una statua di cartapesta della santa e la riproduzione di una ruota, a memoria del supplizio al quale la santa fu condannata, ruota che i fedeli andavano a girare con devozione nel giorno della ricorrenza festiva a lei dedicato per impetrare grazie ed indulgenze varie (1). Sul retro c'erano i ruderi non ancora restaurati della vecchia Cattedrale di S. Anna, di epoca romana che era stata in precedenza un tempio pagano, di cui conservava tracce nei mosaici che affioravano dal pavimento riportato alla luce a seguito degli scavi eseguiti qualche tempo prima, di più strati di materiale archeologico appartenente ad epoche diverse. L'imponente portone d'ingresso era fornito di un battacchio di bronzo. Non c'era campanello elettrico. Bussando, una vecchina si affacciava da una finestrella dell'ultimo piano e, una volta accertata l'identità del visitatore, provvedeva ad azionare il sistema di funi che governava lo sblocco dall'alto della serratura ed il portone si apriva.
Tutto il complesso aveva un aspetto medioevale e il sistema di accesso faceva pensare al palazzo di Don Rodrigo, piuttosto che ad una abitazione del secolo scorso. Entrando, non c'era traccia di bravi a guardia della dimora, ma ci si trovava davanti ad un'ampia scalinata di forma circolare che portava al piano di sopra. Nell'androne, fin da quando potevo ricordare, avevo sempre notato che nel sottoscala, erano ammucchiati mobili di varie forme e dimensioni, che stonavano con l'ambiente austero ed ordinato del palazzo. Tutte le volte che avevo cercato di sapere perché quei mobili fossero lì tenuti, avevo ricevuto risposte evasive, con formule reticenti, quasi la casa nascondesse un segreto innominabile. Si sapeva soltanto che erano di proprietà di Eufrasia, la quale trovandosi nella necessità di portarli via da casa sua, non avendo dove collocarli aveva chiesto ed ottenuto dal fratello il permesso di scaricarli lì, provvisoriamente. E lì erano rimasti, per sempre.
Ora gli abitanti di quella casa sono tutti morti ed i mobili che arredavano la casa, compresi quelli del sottoscala, sono stati distribuiti tra gli eredi che hanno venduto il fabbricato. Prima che ciò avvenisse, chiesi al responsabile dell'agenzia incaricata della vendita, di poter visitare la casa che per me aveva un valore sentimentale ed in occasione di un primo sopralluogo feci alcuni rilievi, di cui, non so per quale ragione, presi appunti su un taccuino. Entrai nel palazzo con un po' di trepidazione. Il sottoscala era stato svuotato; in terra, solo stracci e resti di qualche mobile rotto. Salita la scalinata, mi trovai davanti un corridoio che si apriva nei due lati del ballatoio. Le camere erano in fila una di seguito all'altra, due da un lato e due dall'altro. Esplorai prima quelle di sinistra, poi presi a destra. Qui un scaletta di legno portava a un piano sovrastante, di altezza ridotta, con accesso ad un sottotetto, ancora ingombro di vecchie cianfrusaglie.
Trovandomi solo tra quelle stanze vuote, mano a mano che la mia vista si posava su ripostigli ed angoli poco illuminati, la mia mente evocava l'immagine di quelle persone che lì erano vissute e che avevo conosciuto indirettamente ma di cui non sapevo nulla e la mia curiosità aumentava. In quella che doveva essere stata una camera da letto, notai che in un punto del muro, ad un'altezza di circa due metri, esisteva un piccolo ripostiglio ed istintivamente feci per vedere se conteneva qualcosa. Con mia sorpresa, trovai un revolver, avvolto in un panno grezzo, insieme ad un proiettile. Per terra, un libro di preghiere, piuttosto antico, con annotazioni a mano sui margini e foglietti inseriti tra le pagine contenenti appunti per meditazioni. In un angolo alcune fotografie di un uomo giovane, con la barba ed occhi magnetici. Alla sensazione di sconforto e di squallore, si aggiunse l'inquietudine per quella scoperta.
In seguito mi recai di nuovo in quella casa e ogni volta cercavo di carpire qualche segreto a cominciare dall'aria chiusa delle stanze, ai muri, alle pareti che avevano ospitato quella gente, che avevano ascoltato i loro discorsi, muti testimoni di vite passate fra sofferenze e gioie di cui non rimaneva nulla, se non un vago sentore di muffa. Ogni volta di più uscivo con la sensazione di essere stato vicino ad una rivelazione che mi era sfuggita all'ultimo momento. Sapevo che una guardia municipale, tempo addietro era stato incaricato di eseguire un mandato di perquisizione in quella casa a seguito di una denuncia sporta da un vicino, il quale accusava l'inquilino di essersi impossessato di alcuni oggetti, forse reliquie religiose, a lui appartenenti. Incontrandolo, mi disse di ricordare bene la disposizione di quegli ambienti e di essere a conoscenza di alcuni particolari della vita dei suoi abitanti, cosa per cui gli chiesi di accompagnarmi in una delle mie perlustrazioni ed egli acconsentì.
Mi descrisse il capofamiglia come un uomo strano, una specie di misantropo, molto superstizioso; non frequentava nessuna chiesa, ma aveva una speciale devozione per la Madonna. Inoltre aveva una passione per l'avicoltura: allevava polli in un orto di sua proprietà, sito in altra parte della città, dove egli passava la maggior parte del tempo e nel quale faceva incroci con esemplari di razze diverse. In casa aveva adibito una stanza all'allevamento di uccelli esotici, tenuti in gabbie di grandi dimensioni, dove gli uccelli potevano volare da un trampolino all'altro. Aveva un debole per le donne, specie se domestiche sottomesse. Tutte quelle che passavano per la sua casa o dal pollaio, conoscevano anche il suo letto di scapolo. Da alcune di esse aveva anche avuto figli naturali mai riconosciuti.
Della sorella mi disse che aveva fatto un matrimonio sfortunato e che, rimasta sola, era tornata a vivere in casa del fratello e della madre. Dalla descrizione che me ne fece il mio informatore, era una donna astiosa ed inacidita, non disposta a concedere molto all'intero genere umano. Ma non doveva essere stata sempre così. Essendo la prima figlia, quando la famiglia si trovò ad affrontare la tragedia della morte del capo, ella fu "sacrificata" al compito di aiutare la madre nella conduzione della casa e per questo non aveva potuto studiare. Ma la cosa non la metteva a disagio: con il suo modo di fare sbrigativo ed efficiente, esercitava una grande influenza sulle sorelle tutte più istruite di lei.
La mia indagine privata sembrava con ciò arrivata ad un punto fermo, dal quale era impossibile arguire cosa fosse realmente successo. Il segreto mi si rivelò di colpo una sera, rileggendo i miei appunti sul taccuino; avevo scritto che nel sottoscala dell'ingresso avevo rilevato la presenza di materiale vario, vecchie cose, carte conservate in un cassetto rotto, che mi ero riservato di esaminare in un secondo momento. Ebbi allora un'illuminazione. Mi munii di una torcia elettrica e tornai nella "casa", benché ne fossi venuto via da poco. Non nego che, entrando, avvertii una forte emozione. Al buio la casa mi impressionava. La scala circolare, in cima alla quale mi sembrava di scorgere il profilo dell'uomo con la barba, il balcone chiuso, le stanze mute, come imbavagliate, il ricordo dei loro abitanti, sui quali non so fin quanto legittimamente (dal loro punto di vista) stessi indagando, erano elementi che mi turbavano. Diressi il fascio di luce nell'angolo più riposto del sottoscala ed illuminai quelli che potevano benissimo essere rifiuti da consegnare al servizio di nettezza urbana. Tra cianfrusaglie e carte di giornale c'era un cassettino sgangherato che doveva essere appartenuto ad uno scrittoio o tavolino. Riuscii a prenderlo non senza qualche difficoltà, essendo incastrato proprio sotto la parte più bassa del sottoscala. Conteneva lettere, una vecchia collana di corallo tarlato, ninnoli decrepiti e, sotto, una cartellina chiusa con un elastico, che mi fece balzare il cuore nel petto.
Dovetti sedermi per terra nella polvere per aprirla. Dentro trovai alcuni fogli ingialliti, appena leggibili, un ritaglio di giornale consumato dal tempo ed una foto con dedica "Alla mia cara Eufrasia con amore" firmato: Giosafatte. Il volto ritratto era quello di un bell'uomo, dagli occhi molto vivi e un baffetto spavaldo, che sorrideva con aria un po' sorniona. Tra i fogli, un certificato medico, redatto molti anni prima da un medico la cui firma era illeggibile e diceva "La sig.a Eufrasia...affetta da grave sindrome psicomotoria a sfondo depressivo con ansia, ha bisogno di riposo e cure psichiatriche". Per ultimo esaminai il ritaglio di giornale, senza data, che riportava la cronaca di un fatto accaduto a Barletta; vi erano implicati una donna venuta da fuori provincia ed un impiegato della Capitaneria di Porto di Bari, del quale non venivano riportati i dati anagrafici. La donna, dopo aver chiesto dell'uomo, una volta in sua presenza, aveva estratto una pistola ed esploso un colpo contro di lui. Mano a mano che leggevo, il quadro cominciava a delinearsi nel suo svolgimento e, alla fine della lettura, capii il perché di quella catasta di mobili ammucchiati sotto la scala di ingresso dell'abitazione. Eufrasia, quando non era più tanto giovane, aveva conosciuto un giovane pugliese, molto brillante, di carattere allegro, che aveva manifestato interesse per lei, e del quale lei, inesperta di cose sentimentali, si era subito innamorata pazzamente. Si sposarono in fretta e misero su casa con i mobili comprati da lei. Dopo un anno durate il quale a lei era sembrato di toccare il diapason della felicità, lui adducendo di aver trovato lavoro al porto di Bari, partì, lasciando sola la non giovane sposa, ma promettendole che presto, appena trovata casa laggiù, l'avrebbe invitata a trasferirsi nella nuova città, portandosi dietro i mobili che già avevano. Ma passò un intero anno senza che lui si facesse più vivo. Poi ne passarono altri due e la donna seguitava ad attendere non rassegnandosi all'idea di essere stata abbandonata. I mobili nel frattempo erano stati collocati provvisoriamente nel sottoscala e, dopo aver disdetto l'affitto di casa, era rientrata in famiglia con la madre, il fratello e la zia, iniziando quel triste percorso che sarebbe durato tutta la vita.
Senonché, un giorno, all'insaputa di tutti, partì. Prese il treno per Bari e scese al porto. Le dissero che un uomo che si chiamava come suo marito, abitava con la famiglia a Barletta. Quando, dopo diverse traversie, bussò alla porta che le era stata indicata, si trovò di fronte ad una situazione che lei temeva, ma si rifiutava di accettare: suo marito viveva con un'altra donna dalla quale aveva avuto due figli. In preda a grande agitazione, aveva esploso quel colpo di pistola che per fortuna era andato a vuoto perché lei non aveva nessuna pratica di armi, ma lo spavento per l'uomo fu grande. La donna che lei accusava di averle rubato il marito, gridò aiuto, parandosi davanti ai due figli per proteggerli, mentre lui sbiancato in volto, cadde semi-svenuto ma illeso a terra. Eufrasia tornò a casa sotto scorta della polizia nella sua città natale e sottoposta a processo per tentato omicidio, fu dichiarata momentaneamente incapace di intendere e di volere e date le circostanze in cui l'episodio si era svolto, rimessa poco dopo in libertà. Lui, processato per bigamia, fu condannato e perse il posto di lavoro. Ma come mai la pistola da me trovata non era stata sequestrata dalla polizia ed era nascosta in casa, con un proiettile? Temo che nessuno possa rispondere a questa domanda. Però è lecito pensare che nella mente della donna si agitassero altri fantasmi: quel proiettile forse doveva ancora servire a regolare un conto? E se sì, con chi? Con se stessa? Contro terzi?
Feci di nuovo il giro della casa abbandonata e mi parve di avvertire un parlottare sommesso, misto a sussurri soffocati provenire dalle pareti nude dei vari ambienti. Qualcuno da un passato ormai lontano, era ancora in attesa che venisse fatta giustizia. La vista di quei mobili, così tristi ed abbandonati nel sottoscala per decenni, coperti per metà dal telo pietosamente steso su di essi, era quel che restava di un sogno con l'illusione di una falsa felicità, tramutatosi in angoscia senza fine.
1) Si tratta non di S. Caterina da Siena, ma di S. Caterina di Alessandria, la cui iconografia è incentrata sull'episodio del miracolo dell'angelo sceso dal cielo per salvare la Santa dal supplizio della ruota. Egli, tagliando la corda in tensione dello strumento di tortura, fece rimbalzare violentemente la ruota al contrario che causò la morte dei carnefici.
Scala (Roma - 2015) |
Il fabbricato aveva un aspetto massiccio e poco funzionale, la facciata che dava sulla via, aveva un balcone monumentale, dalle balaustre di pietra molto spesse. Dallo scempio compiuto ad opera di passate amministrazioni comunali, con l'abbattimento della maggior parte del centro storico della città, si era salvato quel sito ritenuto di rilevanza archeologica: sul lato destro, a fianco della costruzione, in fondo ad una stradina, c'era una chiesuola dedicata a S. Caterina con una statua di cartapesta della santa e la riproduzione di una ruota, a memoria del supplizio al quale la santa fu condannata, ruota che i fedeli andavano a girare con devozione nel giorno della ricorrenza festiva a lei dedicato per impetrare grazie ed indulgenze varie (1). Sul retro c'erano i ruderi non ancora restaurati della vecchia Cattedrale di S. Anna, di epoca romana che era stata in precedenza un tempio pagano, di cui conservava tracce nei mosaici che affioravano dal pavimento riportato alla luce a seguito degli scavi eseguiti qualche tempo prima, di più strati di materiale archeologico appartenente ad epoche diverse. L'imponente portone d'ingresso era fornito di un battacchio di bronzo. Non c'era campanello elettrico. Bussando, una vecchina si affacciava da una finestrella dell'ultimo piano e, una volta accertata l'identità del visitatore, provvedeva ad azionare il sistema di funi che governava lo sblocco dall'alto della serratura ed il portone si apriva.
Tutto il complesso aveva un aspetto medioevale e il sistema di accesso faceva pensare al palazzo di Don Rodrigo, piuttosto che ad una abitazione del secolo scorso. Entrando, non c'era traccia di bravi a guardia della dimora, ma ci si trovava davanti ad un'ampia scalinata di forma circolare che portava al piano di sopra. Nell'androne, fin da quando potevo ricordare, avevo sempre notato che nel sottoscala, erano ammucchiati mobili di varie forme e dimensioni, che stonavano con l'ambiente austero ed ordinato del palazzo. Tutte le volte che avevo cercato di sapere perché quei mobili fossero lì tenuti, avevo ricevuto risposte evasive, con formule reticenti, quasi la casa nascondesse un segreto innominabile. Si sapeva soltanto che erano di proprietà di Eufrasia, la quale trovandosi nella necessità di portarli via da casa sua, non avendo dove collocarli aveva chiesto ed ottenuto dal fratello il permesso di scaricarli lì, provvisoriamente. E lì erano rimasti, per sempre.
Ora gli abitanti di quella casa sono tutti morti ed i mobili che arredavano la casa, compresi quelli del sottoscala, sono stati distribuiti tra gli eredi che hanno venduto il fabbricato. Prima che ciò avvenisse, chiesi al responsabile dell'agenzia incaricata della vendita, di poter visitare la casa che per me aveva un valore sentimentale ed in occasione di un primo sopralluogo feci alcuni rilievi, di cui, non so per quale ragione, presi appunti su un taccuino. Entrai nel palazzo con un po' di trepidazione. Il sottoscala era stato svuotato; in terra, solo stracci e resti di qualche mobile rotto. Salita la scalinata, mi trovai davanti un corridoio che si apriva nei due lati del ballatoio. Le camere erano in fila una di seguito all'altra, due da un lato e due dall'altro. Esplorai prima quelle di sinistra, poi presi a destra. Qui un scaletta di legno portava a un piano sovrastante, di altezza ridotta, con accesso ad un sottotetto, ancora ingombro di vecchie cianfrusaglie.
Trovandomi solo tra quelle stanze vuote, mano a mano che la mia vista si posava su ripostigli ed angoli poco illuminati, la mia mente evocava l'immagine di quelle persone che lì erano vissute e che avevo conosciuto indirettamente ma di cui non sapevo nulla e la mia curiosità aumentava. In quella che doveva essere stata una camera da letto, notai che in un punto del muro, ad un'altezza di circa due metri, esisteva un piccolo ripostiglio ed istintivamente feci per vedere se conteneva qualcosa. Con mia sorpresa, trovai un revolver, avvolto in un panno grezzo, insieme ad un proiettile. Per terra, un libro di preghiere, piuttosto antico, con annotazioni a mano sui margini e foglietti inseriti tra le pagine contenenti appunti per meditazioni. In un angolo alcune fotografie di un uomo giovane, con la barba ed occhi magnetici. Alla sensazione di sconforto e di squallore, si aggiunse l'inquietudine per quella scoperta.
In seguito mi recai di nuovo in quella casa e ogni volta cercavo di carpire qualche segreto a cominciare dall'aria chiusa delle stanze, ai muri, alle pareti che avevano ospitato quella gente, che avevano ascoltato i loro discorsi, muti testimoni di vite passate fra sofferenze e gioie di cui non rimaneva nulla, se non un vago sentore di muffa. Ogni volta di più uscivo con la sensazione di essere stato vicino ad una rivelazione che mi era sfuggita all'ultimo momento. Sapevo che una guardia municipale, tempo addietro era stato incaricato di eseguire un mandato di perquisizione in quella casa a seguito di una denuncia sporta da un vicino, il quale accusava l'inquilino di essersi impossessato di alcuni oggetti, forse reliquie religiose, a lui appartenenti. Incontrandolo, mi disse di ricordare bene la disposizione di quegli ambienti e di essere a conoscenza di alcuni particolari della vita dei suoi abitanti, cosa per cui gli chiesi di accompagnarmi in una delle mie perlustrazioni ed egli acconsentì.
Mi descrisse il capofamiglia come un uomo strano, una specie di misantropo, molto superstizioso; non frequentava nessuna chiesa, ma aveva una speciale devozione per la Madonna. Inoltre aveva una passione per l'avicoltura: allevava polli in un orto di sua proprietà, sito in altra parte della città, dove egli passava la maggior parte del tempo e nel quale faceva incroci con esemplari di razze diverse. In casa aveva adibito una stanza all'allevamento di uccelli esotici, tenuti in gabbie di grandi dimensioni, dove gli uccelli potevano volare da un trampolino all'altro. Aveva un debole per le donne, specie se domestiche sottomesse. Tutte quelle che passavano per la sua casa o dal pollaio, conoscevano anche il suo letto di scapolo. Da alcune di esse aveva anche avuto figli naturali mai riconosciuti.
Della sorella mi disse che aveva fatto un matrimonio sfortunato e che, rimasta sola, era tornata a vivere in casa del fratello e della madre. Dalla descrizione che me ne fece il mio informatore, era una donna astiosa ed inacidita, non disposta a concedere molto all'intero genere umano. Ma non doveva essere stata sempre così. Essendo la prima figlia, quando la famiglia si trovò ad affrontare la tragedia della morte del capo, ella fu "sacrificata" al compito di aiutare la madre nella conduzione della casa e per questo non aveva potuto studiare. Ma la cosa non la metteva a disagio: con il suo modo di fare sbrigativo ed efficiente, esercitava una grande influenza sulle sorelle tutte più istruite di lei.
La mia indagine privata sembrava con ciò arrivata ad un punto fermo, dal quale era impossibile arguire cosa fosse realmente successo. Il segreto mi si rivelò di colpo una sera, rileggendo i miei appunti sul taccuino; avevo scritto che nel sottoscala dell'ingresso avevo rilevato la presenza di materiale vario, vecchie cose, carte conservate in un cassetto rotto, che mi ero riservato di esaminare in un secondo momento. Ebbi allora un'illuminazione. Mi munii di una torcia elettrica e tornai nella "casa", benché ne fossi venuto via da poco. Non nego che, entrando, avvertii una forte emozione. Al buio la casa mi impressionava. La scala circolare, in cima alla quale mi sembrava di scorgere il profilo dell'uomo con la barba, il balcone chiuso, le stanze mute, come imbavagliate, il ricordo dei loro abitanti, sui quali non so fin quanto legittimamente (dal loro punto di vista) stessi indagando, erano elementi che mi turbavano. Diressi il fascio di luce nell'angolo più riposto del sottoscala ed illuminai quelli che potevano benissimo essere rifiuti da consegnare al servizio di nettezza urbana. Tra cianfrusaglie e carte di giornale c'era un cassettino sgangherato che doveva essere appartenuto ad uno scrittoio o tavolino. Riuscii a prenderlo non senza qualche difficoltà, essendo incastrato proprio sotto la parte più bassa del sottoscala. Conteneva lettere, una vecchia collana di corallo tarlato, ninnoli decrepiti e, sotto, una cartellina chiusa con un elastico, che mi fece balzare il cuore nel petto.
Dovetti sedermi per terra nella polvere per aprirla. Dentro trovai alcuni fogli ingialliti, appena leggibili, un ritaglio di giornale consumato dal tempo ed una foto con dedica "Alla mia cara Eufrasia con amore" firmato: Giosafatte. Il volto ritratto era quello di un bell'uomo, dagli occhi molto vivi e un baffetto spavaldo, che sorrideva con aria un po' sorniona. Tra i fogli, un certificato medico, redatto molti anni prima da un medico la cui firma era illeggibile e diceva "La sig.a Eufrasia...affetta da grave sindrome psicomotoria a sfondo depressivo con ansia, ha bisogno di riposo e cure psichiatriche". Per ultimo esaminai il ritaglio di giornale, senza data, che riportava la cronaca di un fatto accaduto a Barletta; vi erano implicati una donna venuta da fuori provincia ed un impiegato della Capitaneria di Porto di Bari, del quale non venivano riportati i dati anagrafici. La donna, dopo aver chiesto dell'uomo, una volta in sua presenza, aveva estratto una pistola ed esploso un colpo contro di lui. Mano a mano che leggevo, il quadro cominciava a delinearsi nel suo svolgimento e, alla fine della lettura, capii il perché di quella catasta di mobili ammucchiati sotto la scala di ingresso dell'abitazione. Eufrasia, quando non era più tanto giovane, aveva conosciuto un giovane pugliese, molto brillante, di carattere allegro, che aveva manifestato interesse per lei, e del quale lei, inesperta di cose sentimentali, si era subito innamorata pazzamente. Si sposarono in fretta e misero su casa con i mobili comprati da lei. Dopo un anno durate il quale a lei era sembrato di toccare il diapason della felicità, lui adducendo di aver trovato lavoro al porto di Bari, partì, lasciando sola la non giovane sposa, ma promettendole che presto, appena trovata casa laggiù, l'avrebbe invitata a trasferirsi nella nuova città, portandosi dietro i mobili che già avevano. Ma passò un intero anno senza che lui si facesse più vivo. Poi ne passarono altri due e la donna seguitava ad attendere non rassegnandosi all'idea di essere stata abbandonata. I mobili nel frattempo erano stati collocati provvisoriamente nel sottoscala e, dopo aver disdetto l'affitto di casa, era rientrata in famiglia con la madre, il fratello e la zia, iniziando quel triste percorso che sarebbe durato tutta la vita.
Senonché, un giorno, all'insaputa di tutti, partì. Prese il treno per Bari e scese al porto. Le dissero che un uomo che si chiamava come suo marito, abitava con la famiglia a Barletta. Quando, dopo diverse traversie, bussò alla porta che le era stata indicata, si trovò di fronte ad una situazione che lei temeva, ma si rifiutava di accettare: suo marito viveva con un'altra donna dalla quale aveva avuto due figli. In preda a grande agitazione, aveva esploso quel colpo di pistola che per fortuna era andato a vuoto perché lei non aveva nessuna pratica di armi, ma lo spavento per l'uomo fu grande. La donna che lei accusava di averle rubato il marito, gridò aiuto, parandosi davanti ai due figli per proteggerli, mentre lui sbiancato in volto, cadde semi-svenuto ma illeso a terra. Eufrasia tornò a casa sotto scorta della polizia nella sua città natale e sottoposta a processo per tentato omicidio, fu dichiarata momentaneamente incapace di intendere e di volere e date le circostanze in cui l'episodio si era svolto, rimessa poco dopo in libertà. Lui, processato per bigamia, fu condannato e perse il posto di lavoro. Ma come mai la pistola da me trovata non era stata sequestrata dalla polizia ed era nascosta in casa, con un proiettile? Temo che nessuno possa rispondere a questa domanda. Però è lecito pensare che nella mente della donna si agitassero altri fantasmi: quel proiettile forse doveva ancora servire a regolare un conto? E se sì, con chi? Con se stessa? Contro terzi?
Feci di nuovo il giro della casa abbandonata e mi parve di avvertire un parlottare sommesso, misto a sussurri soffocati provenire dalle pareti nude dei vari ambienti. Qualcuno da un passato ormai lontano, era ancora in attesa che venisse fatta giustizia. La vista di quei mobili, così tristi ed abbandonati nel sottoscala per decenni, coperti per metà dal telo pietosamente steso su di essi, era quel che restava di un sogno con l'illusione di una falsa felicità, tramutatosi in angoscia senza fine.
1) Si tratta non di S. Caterina da Siena, ma di S. Caterina di Alessandria, la cui iconografia è incentrata sull'episodio del miracolo dell'angelo sceso dal cielo per salvare la Santa dal supplizio della ruota. Egli, tagliando la corda in tensione dello strumento di tortura, fece rimbalzare violentemente la ruota al contrario che causò la morte dei carnefici.
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